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"Alright, alright" disse Münster. "Certo che lo so. Lo so che la polizia di Linden è già stata qui a parlare con voi, ma io sono dell'anticrimine di Maardam. Il commissario è una persona molto meticolosa e ha insistito perché parlassimo con voi. Non credo abbia niente in contrario se cerchiamo di fare al meglio il nostro lavoro."

 

Amelia Trotta lo osservò con espressione perplessa. Il suo grande volto liscio aveva un'aria preoccupata, benché non fosse comparsa nemmeno l'ombra di una ruga. I capelli ossigenati le arrivavano alle spalle ed erano acconciati in maniera impeccabile. Münster ripensò a una dimenticata, casta stella del cinema della sua adolescenza. Forse era proprio quella l'impressione che la signora Trotta voleva trasmettere. O almeno in passato. Ora era sulla quarantina. Alta, luminosa e vagamente irritata.

 

"A che scopo?" chiese. "Non ho niente da raccontare, purtroppo."

 

Fece una sorta di gesto titubante che poteva significare qualsiasi cosa. Münster ne approfittò per passarle davanti ed entrare in soggiorno.

 

"Il mio capo è molto cocciuto, sa" si scusò, accomodandosi in una poltrona foderata di cretonne. "Ed è famoso per non lasciare mai nulla al caso."

 

La donna annuì debolmente e si sedette sull'altra poltrona di cretonne. Si lisciò qualche piega sul vestito e sospirò.

 

"Solo un minuto" acconsentì. "Ho diverse faccende da sbrigare."

 

Münster estrasse penna e bloc-notes dalla valigetta.

 

"Grazie" disse. "Cercherò di essere breve. Barbara Hennan, dunque. La conosceva bene?"

 

"Non la conoscevo proprio per niente" rispose Amelia Trotta.

 

"Per niente?"

 

"Pochissimo. Come ho già spiegato agli ispettori che sono venuti ieri. Abitiamo qui da quindici anni, gli Hennan si sono trasferiti in aprile. Ci siamo scambiati un invito a cena, ecco tutto. Come si usa fare tra buoni vicini."

 

"Certamente" disse Münster. "E loro lo erano?"

 

"Erano cosa?"

 

"Buoni vicini."

 

La donna si strinse nelle spalle.

 

"Suppongo di sì."

 

"Suppone?"

 

"Esatto. Non c'era niente di cui lamentarsi. Solo avevano uno stile un po' diverso dal nostro, ecco."

 

"Capisco" disse Münster senza scomporsi, e si guardò intorno nello spazioso, ordinato locale. Divano, poltrone e televisore. Due grandi dipinti a olio poco appariscenti, intonati ai rivestimenti dei mobili e alle tende. E una libreria in quercia massiccia che conteneva di tutto tranne che libri.

 

Stile? pensò. Sì, sì.

 

"Che cosa pensa della disgrazia?"

 

La signora Trotta cercò nuovamente di corrugare il viso.

 

"Non penso niente. Che cosa dovrei pensare?"

 

"Sa se la signora Hennan fosse depressa?"

 

"Non ne ho la minima idea. Perché me lo chiede?"

 

"C'è la possibilità che la disgrazia non sia accaduta per caso... diciamo così."

 

"Cioè si sarebbe suicidata?"

 

"Non possiamo escluderlo. È un modo piuttosto strano di morire, non pensa?"

 

Amelia Trotta ponderò la sua risposta per alcuni secondi.

 

"La gente muore nelle maniere più strane, oggigiorno."

 

Oggigiorno? pensò Münster. Be', in effetti era così. Si ricordò di aver letto di una prostituta di Oosterdam che non molto tempo prima era rimasta soffocata da un preservativo.

 

"Le piaceva come persona?" domandò.

 

La donna rispose con un'alzata di spalle.

 

"Non molto?" interpretò lui.

 

"Le ho già detto che non li conoscevamo. Né lui né lei."

 

"Però non avevate nemmeno il desiderio di approfondire i rapporti con loro... più di quanto esiga il buon vicinato."

 

Lei esitò un istante.

 

"No" disse. "Probabilmente no."

 

"Questo vale anche per suo marito?"

 

"Sì."

 

Münster attese.

 

"C'era qualcosa... qualcosa di dozzinale, in loro."

 

"Dozzinale? Che cosa intende?"

 

"Ha capito benissimo."

 

"No" disse Münster con aria innocente. "Potrebbe spiegarsi meglio?"

 

La donna sospirò e si accomodò un po' meglio sulla poltrona.

 

"Non so" disse. "Si vedeva, e basta. Lei aveva un tatuaggio, per esempio."

 

"Un tatuaggio?" ripeté Münster.

 

"Qui" disse Amelia Trotta, indicando la parte alta del braccio sinistro. "Un uccello o qualcosa del genere. Di certo non era elegante."

 

Münster annuì e annotò.

 

"Quand'è stata l'ultima volta che l'ha vista?"

 

"Sabato."

 

"Sabato?" disse Münster stupefatto. "Ma era già morta!"

 

"Certo. Sono andata all'obitorio per identificarla. A quanto pare ci vuole anche qualcuno che non faccia parte della famiglia."

 

"In alcune circostanze, sì" disse Münster. "Ma torniamo a quando era ancora viva... Quando l'ha vista l'ultima volta prima dell'incidente?"

 

"La mattina stessa" rispose la donna senza esitare. "Poco dopo le otto. Stava uscendo in macchina, diretta in città. Ci siamo scambiate un saluto, io ero fuori con Ray."

 

"Ray?"

 

"Il nostro cane. Un volpino nano."

 

"Capisco" disse Münster. "E da allora non l'ha più rivista?"

 

"Solo all'obitorio."

 

"E il signor Hennan... cosa mi dice di lui?"

 

"Eh?" fece Amelia Trotta.

 

"L'ha incontrato giovedì?"

 

"No. Come forse avrà notato, le nostre case non si vedono l'una dall'altra."

 

"Sì, l'ho notato" disse Münster. "Avevano due auto, quindi?"

 

"Naturalmente" rispose Amelia Trotta, come se un numero inferiore di veicoli sarebbe stato impensabile, in Kammerweg. "Una Saab e un'utilitaria coreana che usava lei."

 

"Certo" disse Münster. "Giovedì sera eravate a casa?"

 

"Siamo andati a una piccola festa a casa di amici, ma verso le dieci eravamo già di ritorno. Le bambine hanno bisogno di dormire."

 

"Ha ragione" concordò Münster. "Avete notato niente di strano a Villa Zefyr, mentre rincasavate?"

 

"No."

 

"O più tardi nel corso della serata?"

 

"Niente. Da qui non si vede la villa, come le ho già detto."

 

"Avete notato se c'era qualcuno in casa? Se c'erano le luci accese o qualcosa del genere?"

 

"Glielo ripeto, da qui non si vede la casa degli Hennan."

 

La signora Trotta era chiaramente irritata. Münster abbassò lo sguardo sul bloc-notes e rifletté qualche secondo.

 

"Jaan G. Hennan" disse poi. "Mi potrebbe dare un parere personale su di lui?"

 

"Perché?"

 

"Perché glielo chiedo io."

 

La donna valutò un momento quell'argomentazione così stringente mentre si fissava le unghie delle mani smaltate di beige chiaro.

 

"Non è il nostro tipo."

 

"Questo l'ho già capito. Può essere più precisa?"

 

"Sfacciato e... infido. Non mi ha fatto una bella impressione."

 

"Insolente?" si domandò Münster.

 

"Forse non apertamente. Ma alle nostre bambine non piace. E loro di solito queste cose le percepiscono. Anche lei ha figli?"

 

"Sì" disse Münster. "Un maschietto. Sa qualcosa del passato degli Hennan?"

 

"Solo che lui ha abitato in America diversi anni. E che è un uomo d'affari."

 

"Com'erano i rapporti fra Jaan e Barbara Hennan? Ha mai notato qualcosa..."

 

La donna grattò via una macchia dall'unghia di un mignolo prima di rispondere.

 

"Lei era uguale" rispose. "Stavano bene insieme... anche se lui era più vecchio."

 

"Ma nessun contrasto, che lei sappia?"

 

La donna scosse la testa.

 

"Non credo. Ma non mi stupirebbe. Intende forse che lui... potrebbe avere qualcosa a che fare con la morte della moglie?"

 

Cercò di porre la domanda nello stesso tono neutro e distaccato che aveva mantenuto nel corso di tutta la conversazione, ma Münster colse la tensione repressa nella sua voce.

 

"Non lo escludiamo" disse. "Al mio capo non piace escludere nessuna possibilità."

 

"Aha?" fece Amelia Trotta, e per un attimo si dimenticò di chiudere la bocca.

 

"Niente di drammatico, dunque?" chiese Münster. "Ha mai assistito a litigi o altro?"

 

Era evidente che la signora Trotta avrebbe volentieri contribuito con il racconto di un piccolo diverbio fra i vicini. Rimase in silenzio un momento a frugare nella mente, ma alla fine la sua integrità morale prese il sopravvento.

 

"No" disse. "Nulla. Ma... ma le nostre case sono molto lontane."

 

Münster annuì.

 

"Bevevano?" domandò poi. "In maniera eccessiva, intendo."

 

Nemmeno su quel punto Amelia Trotta era in grado di fornire informazioni rilevanti. Invece sospirò e guardò l'ora.

 

"Credo proprio che..." esordì, ma poi si confuse, colpita di nuovo dall'improvviso pensiero. "Non intenderà veramente...?" chiese invece. "Non crederà sul serio che...?"

 

Non riuscì a concludere la frase, ma il senso della domanda rimase come sospeso sopra il tavolo dell'elegante soggiorno. Come una macchia di ketchup su una tovaglia di lino bianca, pensò Münster, e si preparò a lasciare quel luogo idilliaco.

 

"Non abbiamo un'ipotesi precisa, per il momento" spiegò alzandosi in piedi. "Ma valutare diverse alternative fa parte del lavoro dell'anticrimine. Forse dovrò scambiare due parole anche con suo marito. Potrebbe avere qualcosa in contrario?"

 

"Glielo dirò" rispose la signora Trotta condiscendente. "Ma lui è molto spesso in viaggio, per cui penso che dovrete mettervi d'accordo per fissare un incontro. Fa il pilota."

 

"Lo so" disse Münster. "Lei che lavoro fa?"

 

"Dermatologa" disse Amelia Trotta, stirandosi. "Ma starò a casa finché le bambine non andranno a scuola. Ne hanno bisogno."

 

Ne dubito, pensò Münster, sforzandosi di ricordare di cosa diavolo si occupasse un dermatologo. Pelle, gli pareva. Ma potevano anche benissimo essere pesci d'acqua dolce, o acari.

 

Decise di documentarsi appena avesse potuto. Poi ringraziò la signora Trotta per la sua gentile collaborazione e lasciò Villa Vigali. Mentre attraversava il giardino, si rese conto che la donna aveva ragione. Villa Zefyr era invisibile. Solo il trampolino bianco si intravedeva da una fessura del denso fogliame.

 

È la solita storia, pensò, infilandosi in macchina. Tutto sommato, non è molto ciò che vediamo.

 

Van Veeteren fissò uno stuzzicadenti spezzato che teneva nella mano sinistra.

 

Nella destra teneva invece la cornetta del telefono ed era quella che in realtà avrebbe voluto fissare. Ma dato che la sua fisionomia, almeno sotto certi aspetti, era assolutamente normale, questa risultava un'impresa impossibile.

 

A meno che non allontanasse da sé la voce del commissario Sachs, ma non voleva farlo. Non in quel momento.

 

"Che diavolo stai dicendo?" ruggì. "Un investigatore privato?"

 

"Verlangen" disse Sachs. "Si chiama Maarten Verlangen. È stato un poliziotto, o almeno così dice."

 

"Non mi importa se è vero o no" replicò Van Veeteren. "Così sostiene di aver avuto l'incarico di pedinare Jaan G. Hennan?"

 

"Esatto" confermò Sachs. "Dalla moglie... Mercoledì, giovedì e venerdì della scorsa settimana... anche se venerdì non ha combinato granché. Sa il cielo che cosa significhi, ma la cosa davvero interessante è che ha tenuto sotto controllo Hennan per tutto il giovedì sera. In quel ristorante, il Colombine. Sì, davvero non so come dobbiamo interpretare questa cosa..."

 

"Interpretare!" sbuffò Van Veeteren. "Qui non c'è niente da interpretare. Dov'è?"

 

"Chi?"

 

"Il ficcanaso privato, si capisce. Dove si trova adesso?"

 

"Eh..." disse il commissario Sachs.

 

"Come?" disse il commissario Van Veeteren. "Parla più forte!"

 

"Lui... se n'è andato. Ma ho..."

 

"L'hai lasciato andare via? Che diavolo...?"

 

"Ho il suo nome e numero di telefono. Gli ho detto che ci saremmo fatti vivi."

 

Van Veeteren stritolò lo stuzzicadenti e si punse sul pollice.

 

"Ahi" gemette. "Ha detto altro? Avrà pur avuto qualcosa da..."

 

"Non molto, in realtà" lo interruppe Sachs. "Non aveva la minima idea del perché dovesse sorvegliare Hennan. È rimasto quasi sempre seduto in macchina fuori dal suo ufficio... tranne giovedì sera."

 

"E sarebbe stata Barbara Hennan ad affidargli l'incarico?"

 

"Sì."

 

"A che scopo?"

 

"Non lo sa, come ti ho già detto."

 

"Non sono sordo. Che cosa credeva, allora?"

 

"Niente."

 

"Niente?"

 

"No, questo è ciò che sostiene..."

 

"All'inferno. Okay, sputa il suo numero di telefono, così proviamo a venire a capo di questa faccenda."

 

"Senz'altro" disse il commissario Sachs e lesse ad alta voce i recapiti di Maarten Verlangen, di casa e dell'ufficio.

 

"Grazie" disse Van Veeteren. "Metti giù, non ho più tempo per te adesso."

 

Cominciò con il numero di casa.

 

Non rispose nessuno.

 

Poi provò con quello dell'ufficio.

 

Niente nemmeno lì, a parte la segreteria telefonica, la quale informava che al momento all'Agenzia investigativa Verlangen non c'era nessuno, che si accettavano incarichi della più svariata natura a prezzi modici e che era possibile lasciare un messaggio.

 

Van Veeteren ponderò attentamente la frase da dire mentre aspettava il segnale acustico.

 

"Maarten Verlangen" ringhiò poi nel ricevitore. "Se ti è cara la vita, allora vedi di contattare il commissario Van Veeteren della polizia di Maardam, porca miseria. E con la massima urgenza!"

 

Ripeté il numero un paio di volte con studiata lentezza e buttò giù la cornetta.

 

Dopo di che rimase seduto un momento a imprecare fra sé e a guardarsi il pollice dolorante, prima che le rivelazioni del commissario Sachs facessero lentamente ma inesorabilmente scemare la sua indignazione.

 

Barbara Hennan aveva ingaggiato un detective privato pochi giorni prima di morire.

 

Un investigatore che tenesse sotto controllo il marito. Lo stramaledetto Jaan G. Hennan!

 

Van Veeteren cercò a tastoni una sigaretta e l'accese. Che diavolo significa tutto questo? si chiese. Quella donna doveva... doveva aver intuito qualcosa. E telefona una buona volta, dannato ficcanaso!

 

Guardò in cagnesco il telefono muto. Si rese conto che era passato soltanto un minuto da quando aveva lasciato il suo perentorio messaggio, e che non si poteva pretendere che Verlangen si materializzasse nel proprio ufficio con un tempismo così esemplare. Tirò una profonda boccata di fumo e guardò l'orologio.

 

Le due e mezzo. Era ora di andare alla partita di badminton con Münster. Spense il mozzicone, si alzò e tirò fuori racchetta e borsa dall'armadio.

 

Attento, sovrintendente, pensò. Oggi non avrò nessuna pietà.

 

Mentre scendeva con l'ascensore, si ricordò di Maarten Verlangen. E perché aveva lasciato la polizia.