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Nell'attimo stesso in cui apriva la porta del suo squallido appartamento in Heerbanerstraat, realizzò che i sacchetti dell'aspirapolvere erano rimasti nel cassetto della scrivania in ufficio.

 

D'altra parte, nel frigorifero non era rimasta nemmeno una lattina di birra, e forse le due cose si compensavano.

 

Quindi il progetto di pulire casa da cima a fondo avrebbe dovuto aspettare, ma un giorno in più o in meno non faceva differenza. L'odore di chiuso e di sporco, oltre a quello di muffa che probabilmente veniva da sotto la vasca da bagno, gli si fece incontro come una sorta di benvenuto. Non ci si deve liberare di ciò cui si è abituati, svendendo le proprie sicurezze a destra e a manca, pensò rinfrancato. Non bisogna disprezzare la polvere...

 

Sotto la buca delle lettere c'erano un mucchio di volantini pubblicitari e un paio di fatture. Raccolse il tutto e lo gettò sulla poltroncina di vimini, dove c'era già altra robaccia del genere. La mia casa è il mio castello, pensò, e aprì la porta del balcone. Si voltò di nuovo verso quella visione desolante. Osservò per un istante il letto sfatto, le stoviglie sporche e il disordine generale. Spense lo stereo che doveva essere rimasto acceso tutto il giorno. La cassa destra era guasta e avrebbe dovuto farla aggiustare.

 

Entrò in bagno. Si guardò nello specchio coperto di macchie e constatò che sembrava invecchiato di dieci anni rispetto a quella mattina.

 

Ma perché dovrei continuare a vivere? si chiese dopo essersi infilato in doccia e aver aperto il rubinetto.

 

E perché mi faccio queste domande ottimistiche tutto il santo giorno?

 

Alle otto, un'ora dopo, era riuscito a lavare i piatti sporchi di tre giorni. Si sedette davanti alla tivù e vide i primi dieci minuti del notiziario. L'omicidio di un poliziotto a Groenstadt e un incontro di ministri a Berlino per far fronte alle preoccupazioni valutarie. Un cigno impazzito che aveva causato un tamponamento a catena sull'autostrada alle porte di Saaren. Spense il televisore e telefonò a sua figlia.

 

Non era in casa, così fu costretto a scambiare due parole con il nuovo compagno della sua ex moglie. La cosa non durò più di mezzo minuto, alla fine del quale si congratulò con se stesso per non aver imprecato neppure una volta. Era pur sempre qualcosa.

 

In frigorifero c'erano quattro birre e una bottiglia di acqua minerale. Si preparò un sandwich con salame, formaggio e cetrioli - ma senza burro, si era dimenticato di comprarlo - e dopo una breve lotta interiore optò per l'acqua. Tornò a sedersi sul divano e prese il bloc-notes con gli appunti.

 

Barbara Hennan. La bella americana.

 

Nata Delgado, ma attualmente signora Hennan.

 

Poiché si era sposata con quel bastardo di Jaan G. Hennan.

 

Per qualche maledetto motivo.

 

G, pensò. Perché proprio G, fra tutti?

 

E perché cavolo proprio lui, Maarten Baudewijn Verlangen, avrebbe dovuto dedicare il poco tempo che gli rimaneva a qualcosa di così banale come pedinare Jaan G. Hennan?

 

L'uomo che lui - più o meno da solo - aveva fatto mettere dietro le sbarre esattamente... sì, quasi dodici anni prima, calcolò. Fine maggio del 1975. Quando era ancora un agente di polizia onesto e coscienzioso.

 

Quando aveva ancora un lavoro vero e una famiglia, e riusciva a guardarsi allo specchio senza distogliere lo sguardo.

 

Quando aveva ancora un futuro.

 

Agli inizi degli anni Ottanta era andato tutto in malora. Tra il 1981 e l'82. L'acquisto della casa a Dikken. I litigi con Martha. La loro vita di coppia che si era afflosciata come... come un profilattico usato.

 

Le bustarelle. La possibilità improvvisa di qualche piccolo guadagno extra semplicemente chiudendo un occhio. Non così piccolo, in effetti. Senza quegli introiti non sarebbe mai riuscito a pagare il mutuo sulla casa; aveva cercato di spiegarlo a Martha, quando ormai era stato smascherato e il suo lavoro era andato in rovina, ma lei si era limitata a scuotere la testa e a sbuffare sdegnosa.

 

E quella donna, allora? si era chiesta. Era così indispensabile per il bene del loro matrimonio andarci a letto? Poteva spiegarglielo?

 

No, non poteva.

 

Cinque anni, pensò. Sono passati cinque anni dalla catastrofe e sono ancora vivo.

 

Ormai cominciava a non stupirsene più.

 

Finì l'acqua e andò a prendere una birra. Si spostò nella poltrona con la lampada da lettura e si abbandonò contro lo schienale.

 

Barbara Hennan, pensò, e chiuse gli occhi.

 

Come diavolo faceva una donna così bella a stare con uno stronzo del calibro di G?

 

Era un mistero, veramente, ma non certo una novità. Il giudizio delle donne in fatto di uomini aveva già dimostrato di non essere infallibile, nella storia universale. Perdendosi fra maschi tutto muscoli e niente cervello. Tirò fuori le fotografie e le studiò un momento con un certo disgusto.

 

Perché? si chiedeva. Perché vuole sorvegliarlo?

 

C'era più di una risposta?

 

No, doveva essere la solita storia. Il marito infedele e la moglie gelosa. Che voleva delle prove. Nero su bianco. Dell'infedeltà.

 

Maarten Verlangen faceva l'investigatore privato da quattro anni, e a occhio e croce due terzi dei suoi incarichi erano di questo tipo.

 

Senza tener conto della compagnia di assicurazioni, dato che quel lavoro non rientrava nella sua solita attività di investigatore privato. Era una cosa diversa; la F/B Trustor aveva bisogno di un detective che controllasse certe irregolarità sospette con metodi non proprio ortodossi, e chi poteva essere più adatto di un poliziotto licenziato in tronco? O, per essere più precisi, che aveva scelto di lasciare la polizia piuttosto che essere sputtanato pubblicamente. Un gentlemen's agreement. Non era un impiego fisso, ma col passare del tempo c'erano stati incarichi un po' qui un po' là - il più delle volte con esiti positivi per la compagnia - e la collaborazione era proseguita. Quando Verlangen faceva un rendiconto delle sue misere entrate, constatava che erano grosso modo cinquanta e cinquanta. Metà dalla compagnia di assicurazioni, metà dalle altre indagini.

 

Accese una sigaretta, probabilmente la quarantesima della giornata, e cercò ancora una volta di richiamare alla memoria la bella americana. Barbara Hennan. Trentasette, trentotto anni? Non poteva averne di più. Almeno dieci anni meno del marito, quindi.

 

E dieci volte più attraente. No, non dieci. Diecimila. Perché andare con altre donne quando ne hai una come Barbara? Assurdo.

 

Tirò un paio di boccate di fumo e rifletté. Si trattava davvero della solita storia? Barbara Hennan nata Delgado si era rivolta a lui perché credeva che suo marito se la facesse con un'altra? Solo qualche mese dopo essersi trasferiti in Svezia?

 

O c'era dell'altro? E cosa, in tal caso?

 

Avrebbe voluto domandarglielo senza mezzi termini - durante il colloquio era stato sul punto di farlo diverse volte, e in questi casi di solito non si faceva problemi -, ma qualcosa l'aveva frenato.

 

Forse era solo perché non voleva offenderla. O forse c'erano altri motivi.

 

Esattamente quali non riusciva a stabilirlo. Non quando era seduta di fronte a lui in ufficio, né ora, lì nel suo squallido appartamento cercando di riflettere sulla faccenda e di mettere a punto una strategia.

 

Strategia? pensò. Idiozie. Non serve nessuna strategia. Domattina andrò là. Starò seduto in macchina fuori dal suo ufficio tutto il giorno a fissare la porta. Fumerò come un turco. Da come sono invecchiato, di sicuro non mi riconoscerà.

 

Un lavoretto facile. Un classico. Se fosse stato un film, l'edificio sarebbe dovuto esplodere intorno alle quattro e mezzo.

 

Finì la birra e valutò se farsene un'altra prima di andare a dormire. Nel corso della giornata ne aveva bevute otto. Non aveva ancora raggiunto il limite massimo - che aveva fissato a dieci -, ma perché non concedersi il lusso di sentirsi in pace con la coscienza, per una volta?

 

Due birre a suo credito? Da qualche parte dentro di lui una vocina sussurrava che dieci birre al giorno non erano esattamente un patto equo. Ma che cavolo, pensò, tutto è relativo, tranne la morte e una donna grassa arrabbiata. So what?

 

L'ultima frase l'aveva letta da qualche parte. Molto tempo prima, probabilmente, quando ancora riusciva a ricordarsi le cose che leggeva nei libri.

 

Ruttò e spense il mozzicone dell'ultima sigaretta della giornata. Rimase in bagno circa un minuto e s'infilò nel letto ancora sfatto. Il cuscino aveva un odore vagamente stantio, come di cuoio capelluto vecchio e malandato, o di sudiciume. La situazione non migliorò quando provò a girarlo.

 

Puntò la sveglia alle sei e mezzo e spense la luce.

 

Linden? pensò. Se prenoto una stanza in un hotel, per un paio di notti dormirò in un letto pulito, quantomeno.

 

Cinque minuti dopo, Maarten Baudewijn Verlangen stava già russando.