Trentatré
Malgrado i riscontri, malgrado nuovi tasselli della vicenda fossero andati a coprire alcuni vuoti del primo processo, Max Gilardi era rimasto quasi al punto di partenza. Gli sembrava impossibile che la cosa gli sfuggisse di mano in quel modo. Con accanimento, ricominciava tutto daccapo: valutava le parole degli uni e degli altri, sospettando di tutti. Nessuno innocente, nessuno estraneo. Chiedendosi il perché di una tragedia che sembrava una farsa. Un tale che passa la notte con l’amante avendo promesso a un’altra donna di volare da lei il giorno dopo per sposarla all’insaputa di tutti. Che nesso c’era con la sua morte? E c’era davvero un nesso o era tutta una messinscena? E per coprire che cosa?
Dal giorno in cui Max aveva chiesto a Elena di riportare i loro rapporti su un piano puramente amichevole e professionale era passato parecchio tempo, del quale non si era accorto. Si erano sentiti soltanto per telefono e soltanto per faccende che riguardavano il processo. I loro rapporti erano cordiali, qualcuno li avrebbe definiti normali: due amici che insieme stavano lavorando per una verità difficile da dimostrare.
Dopo la visita al cantiere la chiamò. Le raccontò rapidamente, come era sua abitudine, l’incontro con Semini. «Mi ha detto di essere socio di minoranza della società». Percepì che Elena stava ridendo. «Forse ho capito male, ma mi ha detto che voi avete altri soci, posso sapere chi sono?»
«Povera me, speriamo che come ingegnere sia meglio. La nostra è una società per azioni e comprende il cantiere di mio padre, il Jolly X, e altre attività legate alla famiglia di mio padre, in Puglia. Lui è un pulcino, gli riconosciamo dividendi per un tot di azioni che mio padre gli ha regalato, così è socio. Come faccio a dirti chi sono gli altri soci, forse migliaia. La società di mio padre è quotata in Borsa. Ti ha detto una sciocchezza. A meno che…»
«A meno che?»
«A meno che non intendesse che mio padre gli ha intestato una parte del cantiere, e questo allora non lo so. Posso informarmi, se è importante».
«Sì, vorrei saperlo. Voglio avere sempre una visione esatta di quello che ho di fronte».
«Non ti piace, vero?»
«Chi, Semini? Non lo sposerei, ecco». Si salutarono ridendo, ma Max Gilardi si accorse che Elena non era allegra.
Forse fu soltanto per questo, per quel tono quasi spento che non riconosceva. O fu perché aveva bisogno di rivederla. Soltanto un momento, da solo. Per capire che cosa stava succedendo davvero. La richiamò al telefono.
«Qualcosa non va di quello che ti ho detto?»
Max Gilardi fece una risatina, in modo che lei capisse che era uno scherzo. «Volevo salutarti. Un po’ meglio».
«Con un abbraccio cordiale, come si fa nelle lettere?»
«Con un abbraccio cordiale come si fa, magari, davanti a un aperitivo».
«Con cena?»
Non si accorse che stava scivolando. «Va bene, ti invito a cena. Verrà anche Luciano?» Sperò che lei gli rispondesse di no.
«E se ti volessi tutto per me, questa sera? Magari per parlarti male di lui?»
Un sospiro di sollievo e una risatina. «Spero di no».
«Certo, al riguardo non avrei lamentele. Ma anch’io ho voglia di vederti. Ti aspetto a casa?»
«A casa tua?»
«Sì, ti ricordi l’indirizzo, avvocato? Va bene alle otto?»
«Che cosa devo portarti?»
«Portami te, ti prego».
Non riuscì a essere puntuale. Elena gli aprì la porta senza riuscire a nascondere la propria ansia. «Ma sono quasi le nove» disse, baciandolo su una guancia.
«Scusa, ho perso tempo con mio padre, voleva parlarmi».
«Seccature?» Max scosse appena la testa. «Credevo che avessi cambiato idea».
«Mai, mi conosci».
«Davvero?» E rise.
Mangiarono in salotto, come avevano sempre fatto. Chiacchierarono, soltanto brevemente, della faccenda di Alessandro con la ragazza inglese. Gilardi non parlò del sopralluogo al cantiere, né della visita a Rosina. Si ritrovarono a parlare di mare, di vacanze, di ricordi.
«Io ho un bellissimo ricordo di noi due a Positano».
Max Gilardi la guardò, cercando di non dare alcun significato a quello sguardo. Ma era stupito dal tono della sua voce.
«Anch’io» disse. Ed era vero. Si ricordò del proprio disagio e di quella notte in cui aveva rimosso dentro di sé il pericolo di non farcela a risalire a galla. «Anch’io» ripeté.
«Non mi avresti mai sposata, vero?».
«No, cara. Non ho niente da offrirti».
«Tu, non basti?»
«Io? E credi davvero di sapere chi sono io?»
«Un uomo che combatte contro se stesso e contro un dolore che lo sta distruggendo. Questo sei». Si alzò e andò, come aveva fatto la prima volta, ad appoggiarsi alle ginocchia che Max teneva unite.
«Questo sei?»
Gli sembrò di tremare. «Ti prego…»
Se la trovò tra le braccia, come la prima volta. Si stavano baciando. Contro ogni logica. Non volendolo davvero. Eppure le sue mani stavano accarezzando il seno di Elena. La sua bocca cercava il suo corpo.
A letto, stretti uno all’altra, ora stavano ridendo come di un gioco inaspettato.
«Siamo due maledetti incoscienti» disse Max. Eppure non si sentiva colpevole. Non riusciva a pentirsi di quella notte. «E ora, da dove ricominciamo?»
«Da dove eravamo rimasti, tesoro. Io sposerò Luciano e tu sarai il mio amico del cuore. Questo era un addio. Definitivo».
«Sono d’accordo. Mi dispiace… no, non è vero. Stavo dicendoti che mi dispiace di non aver saputo resisterti, ma non è vero. Non mi dispiace, ma sono sicuro che non si ripeterà mai più. Di questo sono davvero sicuro».
«Anch’io, che cosa credi? Volevo salutarti a modo mio. E poi… sei stato tu a piantarmi, senza tanti complimenti. Ora sono io, ho salvato il mio onore di pulzella. Vestiti e esci dalla mia vita, avvocato. D’ora in avanti ti comporterai lealmente e da gentiluomo».
«Sono d’accordo». La baciò sulla tempia. «Voglio davvero che tu sia felice. Ti prego, Elena, sei felice?»
«Non so più che cosa significhi essere felice. Ma per quel che ne so, sì. Luciano è un uomo del quale mi fido». Rise, spostando con la mano i capelli che aveva sulla fronte. «Più che di me stessa, a quel che vedo. Ora vai, che ho un sacco di cose da fare…» Si alzò in punta di piedi, era scalza. «Mi fai sentire una volta sola come direbbe amore uno come te? Soltanto una volta, ti prego».
«No». Le restituì il bacio, aprì la porta e uscì.