10 dicembre 2015
Hoskins nel buio del suo bagno, alla ricerca dell’interruttore. Non lo trova subito, e per un momento viaggia all’indietro nel tempo, torna a quando era bambino e non c’era niente di peggio del buio, a quando era certo che qualcosa stesse per allungare le grinfie e agguantarlo. Ma ora è un uomo adulto, uno sbirro, Cristo santo, e il buio è l’ultima cosa di cui dovrebbe avere paura, eppure passando le dita sulla parete avverte una punta di panico. Non l’ha mai provato prima, questo guizzo di paura alla base della spina dorsale, ma a un tratto è certo che ci sia qualcuno in bagno con lui, perché i poliziotti vengono presi costantemente di mira, la settimana scorsa hanno trovato un collega nel suo garage con un foro di proiettile nella nuca, e…
Le dita trovano l’interruttore.
Hoskins si guarda intorno per controllare che non ci sia nessun altro, poi fissa lo specchio e si fa scorrere le dita sul mento e sulle borse sotto gli occhi. Sente in bocca il pizzicore ormai noto dove i tessuti molli della guancia strofinano contro i denti. Quando è stressato le labbra gli si coprono di febbri, non una ma tante, pustole colanti che gli percorrono l’interno della bocca e gli impediscono praticamente di parlare senza provare fitte di dolore. Anni prima aveva chiesto aiuto a un dottore, non riuscendo ad aprire bocca senza lanciare grida di sofferenza.
«Non sono un mago» gli aveva risposto il medico. «Deve solo avere pazienza. Faccia gargarismi con acqua salata.»
«Ma…»
«Non ho una pillola magica.»
«Non chiedo una magia. Chiedo solo un aiuto.»
Hoskins è sveglio perché stava sognando Carrie Simms e le altre due ragazze, i loro volti gonfi e anneriti, che lo rincorrevano senza che lui sapesse perché. Poi lui era inciampato e caduto, ma al rallentatore, e si era ritrovato immobilizzato, come impietrito, e a un tratto era sveglio, e aveva le lenzuola infilate in bocca per impedirsi di gridare. Ruota il rubinetto del lavandino e aspetta che l’acqua si scaldi, serrando così forte le dita sul bordo da sbiancarle. Resta così a lungo, immobile, guardando la stanza da bagno riflessa nello specchio come se potesse esserci qualcuno in agguato alle sue spalle, pronto a balzare fuori dal buio e assalirlo. È solo quando il vapore comincia a levarsi dal rubinetto che si riscuote, infila le mani sotto il getto d’acqua, se le scotta e le ritrae all’istante.
«Perché hai ucciso tutta quella gente?» aveva domandato a Seever più volte di quante ne ricordi; era l’interrogativo su cui continuavano a tornare. Ogni volta Seever dava una risposta diversa: mentiva, sbraitava e a volte non apriva bocca, ma perfino il silenzio conteneva una misura di verità.
«Non lo so» aveva detto una volta, ed era stata la risposta migliore che Hoskins avesse mai ottenuto da lui. «Una volta che ho cominciato, non sono più riuscito a smettere.»
Hoskins crede di capire. È la vita, essere ossessionati da qualcosa o perfino da qualcuno, e non riuscire a smettere, mai, nemmeno se lo si vuole.
Quando l’acqua è diventata meno calda si sciacqua il volto, massaggiandosi le borse indolenzite sotto gli occhi, poi lo immerge nell’asciugamano appeso all’asta e ne inspira l’odore di muffa. Negli ultimi giorni è stato troppo occupato dal lavoro per pensare ad altro, e la situazione in casa sta precipitando. Dovrebbe fare qualche bucato, caricare la lavastoviglie. La badante di Joe prende abbastanza soldi che ci si potrebbe aspettare di vederla alzare un dito per aiutare, ma naturalmente non lo fa. Non fa parte dei suoi compiti, e alla gente non piace fare più del minimo che ci si aspetta: questo lui lo capisce. Il che non significa che lo gradisca.
Torna in camera da letto e prende il cellulare dal comodino. Lampeggia in silenzio, avvertendolo che mentre dormiva ha ricevuto nuovi messaggi. Due. Il primo è di Ted. È breve e preciso, e riguarda i casi su cui ha compiuto le sue ricerche.
NO RISUL PERS
SCOMP ULT 5 ANNI.
SPIAC.
«Fanculo» impreca Hoskins cancellandolo. Sperava di avere avuto l’intuizione giusta, che ci fosse un qualche collegamento tra il nuovo caso e alcuni dei vecchi, ma è solo un altro vicolo cieco.
Il secondo messaggio è più interessante. Proviene da Sammie, il che potrebbe significare tutto o niente. Negli ultimi giorni lei lo ha cercato diverse volte al telefono, gli ha lasciato messaggi che lui ha cancellato. Non ha intenzione di aiutarla sul lavoro come ha fatto l’ultima volta.
TI DEVO PARLARE. È IMPORTANTE.
Si siede sul bordo del letto con il telefono in una mano, passandosi l’asciugamano sul volto con l’altra, inspirando quell’odore muschiato che è al tempo stesso sgradito e confortante e riflettendo sul messaggio di Sammie, quando a un tratto sente un grido. Sulle prime gli sembra una donna, ma poi si rende conto che è suo padre, che è successo qualcosa a Joe.
Afferra la pistola dal cassetto del comodino e si lancia in corridoio in pigiama e canottiera verso il punto da cui giungono le urla di suo padre. Devo fare più esercizio, pensa appena prima di fare irruzione nella camera da letto, se non voglio che mi venga un infarto.
È sicuro che qualcuno abbia aggredito Joe, che sia entrato in casa con l’intenzione di rubare e abbia trovato il vecchio nel suo letto. Ne è così convinto che gli ci vuole qualche istante per capire che Joe è solo: è raggomitolato in un angolo e sembra terrorizzato, indica qualcosa di invisibile e strilla come una vecchietta.
«È qui» grida, sono le uniche parole che Hoskins riesce a distinguere nel delirio, e anche quando lo afferra per le spalle e gli dà un violento scossone non cambia nulla, Joe continua a strillare, strabuzzando gli occhi mentre grumi di schiuma bianca gli si formano agli angoli della bocca.
Hoskins non sa cosa fare, il dottore aveva menzionato la possibilità di allucinazioni ma non gli aveva detto niente di questo, di queste urla inarrestabili, del fatto che il suo vecchio non sembri riconoscerlo, che contragga le mani ad artiglio e continui a gridare, indicando cose che nessun altro vede, e la sua reazione è quella di colpirlo. Gli sferra un pugno in faccia, con forza, pensando che possa riscuoterlo dal delirio, e sente uno schianto appagante quando le sue nocche gli affondano in faccia, e le urla si fermano di colpo, come se siano state tranciate con un coltello.
«Adesso sì che stai zitto, vero?» mormora, ma si rende immediatamente conto che queste parole non appartengono a lui, sono parole di Seever, e vede la testa di suo padre abbandonata sul cuscino, la bocca e un orecchio sanguinanti, e capisce di avere sbagliato, di aver commesso un errore, ma ormai è troppo tardi. Ha già avuto momenti come questo, occasioni in cui se potesse tornerebbe indietro di dieci secondi, sistemerebbe le cose, agirebbe in modo diverso.
Suo padre giace privo di sensi sui cuscini, forse morto, ma poi apre gli occhi come se non fosse successo niente e lo guarda in faccia.
«Chi sei?» gli chiede, e poi riprende a urlare, ma questa volta Hoskins non lo colpisce, indietreggia fino a uscire dalla stanza, si ferma fuori dalla porta e cerca di rallentare i battiti atterriti del suo cuore.
Più tardi, all’ospedale, il dottore gli spiegherà che sono episodi comuni tra chi soffre della stessa malattia di suo padre, e che le cose potranno solo peggiorare.
«La demenza è un problema serio» dice. «La prossima volta potrebbe farsi male. O farlo ad altri.»
«Capisco.»
«Mr. Hoskins, temo che non potrà più badare da solo a suo padre. La soluzione migliore sarebbe una residenza assistita. Posso darle del materiale da consultare. E posso rispondere a qualunque suo interrogativo.»
Gli ficca in mano qualche opuscolo, libriccini patinati con fotografie di vecchietti sorridenti e biancocrinuti. Non è in grado di prendersi cura di lui, è quello che sente Hoskins. Questa volta ha fatto una cazzata coi fiocchi.
«La ringrazio.»
«Dovremo trattenerlo in osservazione per la notte, forse fino a dopodomani. Sa per caso come ha battuto la testa?»
Hoskins esita. Infila la mano nella tasca del giaccone per nascondere le nocche contuse.
«No.»
«Okay» dice il dottore con un mezzo sorriso e una scrollata di spalle. Lo sa, pensa Hoskins. Sa benissimo com’è andata. «Non c’è problema, era solo per chiedere.»
«Okay.»
Idaho Springs si trova a nord-ovest di Denver, il primo centro sulla carta geografica dopo che la città finisce e le montagne si avvicinano. Non c’è molto: una manciata di stazioni di servizio, un solo supermercato, quartieri formati da pochi grappoli di vecchie case. È un grazioso paesello, del genere che la gente attraversa per arrivare alle stazioni sciistiche, un paese in cui non vive praticamente nessuno. Hoskins esce dalla I-70 quando alle sue spalle Denver si è ormai ridotta a una foschia scura all’orizzonte e imbocca una strada a doppia carreggiata che serpeggia verso sud fino a una zona in cui case e uffici si diradano e la natura torna padrona. Procede lentamente, nel timore che un’altra auto sbuchi all’improvviso da dietro la successiva curva cieca, ma sulla strada non c’è nessuno, né davanti a lui né dietro. È strano, qua fuori. Non gli piace più di tanto. Si sente più a suo agio in mezzo al cemento e all’asfalto, tra i palazzi di acciaio e mattoni. Qui non è tranquillo. Tutti questi alberi, così vicini tra loro da creare un muro di cortecce e foglie su ogni lato, così fitti che non riesci a vedere quasi niente in lontananza.
Supera lentamente un tornante e si ferma sullo sterrato, dove ci sono già due auto di pattuglia, basse e slanciate, i musi resi crudeli dalle griglie dei radiatori. Polizia locale e auto nuove di zecca, ma non è una gran sorpresa. A est di Denver c’è la povertà, giovani vestiti di stracci che muoiono di fame, ma da questa parte ci sono i soldi. Centocinquanta anni prima erano stati i luoghi della febbre dell’oro, poi dell’argento, e adesso ci sono sci e turismo. Diversi modi di distribuzione, identici risultati.
Hoskins parcheggia più avanti, a una certa distanza dalle altre auto, e spegne il motore. Qui fa più freddo che in città, ma la copertura di pini e sempreverdi fa sì che ci sia meno neve sul terreno. Una falena grigia si posa sul parabrezza e avanza con un ticchettio delle zampette sottili. Hoskins dà uno schiaffo sul vetro, ma l’insetto non si muove. Neanche un fremito d’ali. Lui si sporge in avanti, cercando di vedere meglio il ventre della creatura, e in quel momento c’è un colpetto metallico sul suo finestrino che lo fa sobbalzare, e la falena vola via.
«Abbassi il finestrino» grida l’agente della polizia locale, e Hoskins resta sorpreso vedendogli fare un gesto circolare con la mano, perché da quant’è che non esistono più i finestrini manuali?
Apre la portiera e scende dall’auto. La telefonata è arrivata mentre stava uscendo dall’ospedale; aveva tutte le intenzioni di tornare a casa e a letto, e adesso invece è qui, perché è stato trovato un altro corpo, e a quanto pare è una vittima di Secondamano.
«Detective Hoskins?»
«Sì.»
«Loren è già qui. Mi ha detto di aspettarla e accompagnarla sul posto.»
«È arrivato da molto?»
«Una decina di minuti.»
«Okay.»
«La vittima è stata identificata» dice l’agente. «James Galen, ma lo chiamavano tutti Jimmy. Stava andando al lavoro, ha detto sua madre. Non ci è mai arrivato.»
«Conosceva Seever?»
Si stringe nelle spalle.
«D’accordo.» Hoskins sospira e chiude la lampo del giaccone. «Andiamo a vedere cos’abbiamo.»
Il ragazzo è stato trovato a Idaho Springs da una coppietta durante una passeggiata, anche se a guardarli bene è più probabile che i due avessero parcheggiato e si fossero messi alla ricerca di un punto isolato in cui stonarsi e magari fare qualche sporcaccionata. Sul terreno non c’è molta neve, specialmente sotto tutti questi alberi, ma il fondo è umido e soffice, ed è stato lì che la coppietta è incappata nel corpo di Jimmy Galen, disteso su un letto di aghi di pino bagnati, braccia e gambe divaricate a mo’ di stella marina.
E sopra di lui c’è Loren, vestito da Seever, con gli occhiali incollati sul naso e le mani piantate sui fianchi. È una posa da Seever, e Hoskins si chiede quanto si sia esercitato per perfezionarla, se provi le sue mosse davanti allo specchio del bagno.
«Il costume da pagliaccio l’hai lasciato a casa?» gli domanda, e Loren si fa una bella ghignata, poi si tira su i calzoni e si accoscia sopra il corpo.
«La madre ha detto che era qualche giorno che non si faceva vedere, ma non era preoccupata. Era già successo che tagliasse la corda per brevi periodi. Ha spiegato che stavolta avevano litigato a proposito di un’auto, e che pensava fosse ancora arrabbiato. Il ragazzo quindi è sparito da qualche giorno, ma morto da meno di ventiquattro ore.»
«Nessuna notizia di Cole?» chiede Hoskins, curioso. E speranzoso che si arrivi quanto prima a un arresto, anche se non è ancora convinto che Alan Cole sia l’assassino.
«Ci ho messo al lavoro due colleghi» risponde Loren. «Ormai siamo vicini.»
«E nel frattempo guardiamo accumularsi le vittime?»
Gli mostra il dito indice.
Hoskins sente vibrare il cellulare contro il petto. Lo tira fuori e lo controlla mentre Loren prosegue a parlare, dicendogli che la vittima, Jimmy Galen, ai tempi aveva tagliato alcune volte l’erba del prato di Seever. La madre era stata intervistata dal giornale riguardo a Seever, e l’autrice dell’intervista era Sammie.
«Che hai detto?» chiede lentamente Hoskins alzando gli occhi dal telefono. Ha sentito il nome di Sammie, e la coincidenza è strana, perché il messaggio viene proprio da lei; l’ha già letto tre volte, cercando di assorbirlo.
«Ho detto che era stata la tua ragazza a intervistare la madre di Jimmy.»
«Sammie mi ha appena mandato un messaggio» dice aggrottando la fronte.
«Parli del diavolo e ne spuntano le corna» commenta Loren. «Se vuoi essere d’aiuto, perché non metti via quel cazzo di telefono?»
CHIAMAMI, dice il messaggio di Sammie. DEVO PARLARTI DI LOREN.
Hoskins vede le labbra del collega che si muovono, ma non sembra udire ciò che dicono. Le sue orecchie sono invase da un sibilo acuto, come quello del vento in una galleria, e poco dopo si rende conto che è il suono del sangue che gli scorre sempre più veloce nelle vene, salendogli alla testa e ridiscendendo al cuore a velocità vertiginosa.
CONTINUA A TRAVESTIRSI DA SEEVER, ha scritto Sammie. Due minuti fa, forse meno, dipende da quanto le parole hanno impiegato ad arrivare al satellite in orbita e rimbalzare verso il suo telefono. L’HO VISTO IERI SERA. MI STAVA SEGUENDO.
«Ci sei, Paulie?» chiede Loren avvicinandosi finché Hoskins può distinguere i peli ritorti delle sue sopracciglia e sentire l’odore di bacon nel suo alito. Se c’è una cosa che Loren odia è essere ignorato, e a questo punto è incazzato. «Sei diventato sordo? Ti ho detto di mettere via quel cazzo di telefono.»
DOVREI PREOCCUPARMI? è l’ultima frase del messaggio di Sammie. Hoskins si chiede quanto a lungo abbia riflettuto prima di inviarglielo, perché Sammie non è il tipo da avere paura. Un giorno gli aveva raccontato che aveva due sorelle, una maggiore e l’altra minore, e che era sempre stata il maschiaccio delle tre, quella che non piangeva mai, l’unica a non temere il buio. Ma ora Loren la seguiva travestito da Seever, e c’era un assassino che uccideva quelli che avevano avuto a che fare con Jacky, e chi ci aveva avuto a che fare più di lei? Ai tempi del college aveva fatto la cameriera in uno dei suoi ristoranti, aveva scritto abbastanza articoli su di lui da riempire un libro. Ed era stata la sua amante. La squadra speciale del dipartimento si è messa d’impegno per cercare di arrivare a tutti i conoscenti di Seever prima di Secondamano, ma nessuno ha pensato che forse dovrebbero mettere in guardia anche Sammie, che potrebbe essere lei la prossima vittima designata.
Loren la sta seguendo.
Loren, che aveva messo una buona parola per Hoskins e gli aveva permesso di conservare il posto di lavoro quando i capi erano pronti a cacciarlo. Loren, che considera le donne tutte troie ma che tiene sempre la porta aperta per loro, Loren che ha compiuto più arresti di chiunque altro nel dipartimento. Loren, che gira vestito come Jacky Seever, che indossa un costume da pagliaccio e va a fare il buffone all’ospedale di zona, Loren che dà la caccia ai criminali trasformandosi in loro, e Hoskins si è sempre chiesto cosa accadrebbe se la recita si spingesse troppo in là, perché c’è una linea sottile tra follia e sanità mentale, e Loren vacilla costantemente tra le due. Loren, l’unico oltre a Seever a chiamarlo Paulie.
«Mi hai lasciato quel quadro» gli dice lentamente. «Il quadro di Seever.»
«Come?» ribatte Loren confuso. «Sì, Seever me l’aveva fatto avere anni fa, ho immaginato che ti saresti fatto una risata. Ha dipinto un sacco di…»
Non finisce la frase e distoglie gli occhi come se avesse perso il filo, e Hoskins lo afferra per una spalla e stringe.
«Hai seguito Sammie» gli dice, ma Loren non lo ascolta, ora è lui a guardare nel vuoto, perso nei suoi pensieri, finché Hoskins non gli dà uno scossone. «Per quale motivo? Che intenzioni hai?»
«Seever dipinge» dice piano Loren. «Dipinge di continuo.»
«Cosa? Sì, questo lo sappiamo, Capitan Ovvio.»
Loren sente suonare il telefono, se lo sfila di tasca e lo guarda accigliato.
«Devo andare» dice cercando di liberarsi, ma Hoskins non molla la presa. «C’è una cosa che devo controllare.»
«Che intenzioni hai?» ripete aumentando la stretta, ma Loren sembra quasi non accorgersene.
«Lasciami» gli dice staccandosi la mano dalla spalla e spingendolo via. «Volevi tornare alla Omicidi, eccoti servito.»
«Dove stai andando?» gli grida dietro Hoskins. Li stanno guardando tutti, con le teste girate verso di loro e gli sguardi accesi dalla curiosità, tanto che sembrano animali sbucati fuori dalle tane per controllare l’origine di tutto quel fracasso. «Dove diavolo vai?»
Ma Loren non risponde, è già arrivato al centro della radura, facendo ondeggiare le braccia a ogni passo, e Hoskins si accorge che se non altro l’andatura è la sua, non è più un’imitazione di Seever. È sufficientemente assorto da essersi scordato della sua mascherata, qualcosa che ha a che fare con i dipinti e con Sammie…
«Vuoi che lo fermiamo?» domanda un altro detective affiancandosi a Hoskins. Sembra pronto allo scontro, voglioso di stendere Loren, ma non servirebbe a nulla. No, Hoskins vuole sapere cos’ha in mente il suo collega, e fermarlo sarebbe inutile. Guarda di nuovo il corpo di Jimmy Galen, i suoi occhi vitrei e atterriti rivolti verso il cielo coperto, e sospira.
«Limitatevi a seguirlo» dice. «Voglio sapere dove va. E cosa fa.»