15

 

Rockett viveva nelle vicinanze della Highway 51, in una delle estreme propaggini sud-occidentali di Charlotte. Durante la prima metà del tragitto, Slidell mi ragguagliò su quel che aveva saputo da Poland. Che era praticamente zero.

Pungolato a dovere, il barman si era deciso ad ammettere di avere incontrato qualche volta il proprietario del locale. Story non era un bevitore abituale e non era molto interessato a familiarizzare con i dipendenti.

A Poland, inoltre, pareva di ricordare che il suo datore di lavoro fosse entrato lì più spesso in compagnia di altri uomini, per affari più che per piacere. Non ne era sicuro, però, perché Story non era un tipo loquace.

Non aveva la più pallida idea di chi avesse dato inizio alla galleria fotografica, né di chi l’avesse poi proseguita nel tempo: la raccolta risaliva a ben prima della sua assunzione.

«A quanto pare» osservai, «Story e Rockett non si preoccupavano affatto di essere discreti.» Per tutto il tragitto mi ero domandata cosa ciò implicasse.

Slidell si voltò verso di me, un chewing-gum a metà strada tra il palmo e la bocca.

«Che vuoi dire?»

«Perché lasciare che la foto fosse messa in bacheca?»

«I due stronzi magari nemmeno lo sapevano.»

Forse.

Trenta minuti dopo avere lasciato South End, Skinny svoltò a sinistra, superando un cartello che annunciava LES FLEURS. Pretenzioso, lo so, ma agli abitanti di Charlotte piace dare nomi ai loro quartieri.

Le abitazioni di Les Fleurs erano per lo più villette in stile ranch e case su due livelli che risalivano agli anni Sessanta e Settanta. Quasi tutte erano piuttosto piccole ma dotate di garage staccati dall’edificio principale e una qualche variazione sul tema delle assicelle di rivestimento dai colori pastello.

Le vie erano sinuose, alberate, e avevano nomi di fiori. Mentre Slidell passava da via dei Tageti a via dei Papaveri, ad Azalea Court – l’indirizzo di Rockett – notai che ogni cortile sul retro era recintato, ogni praticello sul davanti accuratamente rasato. Qua e là una bici o uno scooter erano appoggiati a una scala, a una veranda, o abbandonati su un vialetto, su un rettangolo di cemento.

Era un quartiere che faceva pensare a ragazzini, cani e pensionati. Com’è che le chiamava Harry? Case «qui cominci-qui finisci».

Skinny accostò al marciapiede, in una via privata all’ombra di due magnolie e di un pino maestoso. Dietro ciascuna delle due magnolie c’era una villetta, una color salmone, l’altra verde. Nascosta dal pino, sorgeva una casetta a due piani che la gente del New England avrebbe definito scatola di sardine.

«Non ci trovi niente di strano, in questo posto?» Slidell aveva fatto il giro del cortile per posteggiare a muso in fuori e stava perlustrando con gli occhi la via che avevamo appena percorso. La mascella gli andava su e giù e la gomma, tra i denti, emetteva piccoli schiocchi.

Seguii la traiettoria del suo sguardo e vidi solo porte chiuse, finestre sbarrate e arbusti di azalea, nessuno in fiore.

«Sembra piuttosto tranquillo.»

«Maledettamente tranquillo.»

«Siamo in un cul de sac, nei sobborghi, un piovoso giovedì pomeriggio.»

«Bla bla bla… Cul de sac…» Slidell si sganciò la cintura, facendomi il verso. «Il tizio sta in un fottuto vicolo cieco.»

Un flash. Il volto sulla foto che avevo nella borsa.

Avvertii un moto di pietà, unito a un senso di disagio. Rockett era davvero sfigurato come appariva nell’istantanea? Perciò viveva in un «fottuto vicolo cieco»?

«La casa non è certo un posto di lusso.»

«O il nostro uomo è un contrabbandiere povero, o un astuto figlio di puttana.»

«Hai verificato da quanto vive qui?»

«Il contratto è stato registrato a suo nome nel 1991.»

«Quindi ha comprato la proprietà poco dopo aver lasciato l’esercito. Mutuo?»

«No.»

«Magari aveva dei risparmi. O forse ha ereditato una somma.»

Slidell si stuzzicò un molare con l’unghia del pollice, poi riprese a ruminare. «Chissà che ne pensano i vicini della sua abilità di giardiniere.»

Aveva ragione. Sarà stato per l’ombra perenne del pino o per mancanza di interesse: i prati, di un verde brillante su ambo i lati, s’interrompevano bruscamente al confine con il suo fazzoletto di terra ed erbacce.

«Andiamo.»

«Ricorda» l’ammonii. «Dew non sarà felice, se spingeremo Rockett ad assumere un avvocato.»

«Yeppa

Scesi dalla Taurus e mi diressi verso la casa, goccioline di pioggia che mi rinfrescavano piacevolmente il viso. Mi concentrai su quella sensazione per svuotare la mente.

Da ogni moto di pietà per Rockett.

Da ogni preoccupazione per Katy e per gli ordigni improvvisati.

La porta, dipinta di scuro, in tinta con le assicelle del rivestimento, aveva un batacchio nero in ferro battuto a forma di cannone. Slidell lo usò. Due volte.

In lontananza il traffico ronzava sulla 51a. Dall’interno non proveniva alcun rumore.

Skinny stava per battere con quell’affare una terza volta, quando una serratura scattò. Il suo corpo si tese, mentre la porta si apriva.

Anche il mio.

L’aspetto che Rockett aveva nella foto non era dovuto a un effetto della cattiva illuminazione e, da quell’epoca, i tessuti martoriati non avevano conosciuto rinascita né restauro.

Benché la giornata fosse mite, l’uomo portava un berretto nero di lana calato fino al punto in cui avrebbero dovuto trovarsi le sopracciglia. Le dita che avvolgevano lo stipite della porta erano ceree e pallide, senza unghie. Sopra la mano, il contorno di un tatuaggio spuntava dal polsino della maglia a maniche lunghe.

Rockett guardò Slidell, poi me, il lato sinistro del volto immobile, quello destro improvvisamente accigliato.

Mi costrinsi a mantenere un’espressione neutra.

Slidell mostrò il distintivo. «Dipartimento di polizia di Charlotte-Mecklenburg.»

L’occhio buono dell’uomo corse al distintivo, poi tornò su di noi.

«Che volete?» Voce roca, ma profonda.

Slidell gli rifilò la solita tiritera: giusto un paio di domande.

«Su cosa?»

«Vuole davvero che lo facciamo sotto gli occhi dei vicini?»

«Lei vede dei vicini?»

Skinny incrociò le braccia e divaricò le gambe. «O forse potremmo farlo alla centrale.»

«Ha un mandato?»

«Dovrei averlo?»

«Me lo dica lei.»

I due uomini si guardarono negli occhi. Che erano più o meno alla stessa altezza. Ma Rockett aveva il collo nerboruto, un corpo muscoloso scolpito da ore e ore di palestra.

Imitando il visitatore indesiderato, incrociò le braccia e divaricò le gambe.

Una vampa di rossore incupì il volto di Slidell.

«Davvero, non ci vorrà molto.» Sorrisi, tentando di alleggerire l’atmosfera.

«Lei chi diavolo è?» Sempre sostenendo lo sguardo di Slidell.

«Dottoressa Temperance Brennan. Io…»

«La signora lavora all’obitorio.»

Forse la guancia destra di Rockett ebbe uno spasmo appena percettibile. Seguì un attimo di silenzio, poi l’uomo inspirò dalla narice intatta, espirò lentamente. Pensai che stesse per mandarci al diavolo, invece…

«Dieci minuti.» Si scostò per farci passare.

Skinny sputò la gomma tra l’erba ed entrò. Io lo seguii in un ingresso senza finestre, con pavimenti a scacchiera, porte a soffietto a sinistra, pomelli appendiabiti sulla destra. A uno era appeso un berretto di maglia, a un altro una giacca a vento nera.

Rockett ci condusse in un salotto con una finestra panoramica chiusa da tendaggi a prova di sole. L’unica fonte d’illuminazione della stanza era una tivù a schermo ultrapiatto delle dimensioni di un biliardo. Le ultime notizie sportive scorrevano senza audio, immergendo l’ambiente in mutevoli giochi di colore.

Davanti al televisore, c’era un divano in pelle marrone, con ai lati due grezzi tavolini in legno e ferro, forse della Restoration Hardware. Accanto, disposta con una certa inclinazione, vidi una gigantesca poltrona dallo schienale reclinabile. Il telecomando della tivù giaceva abbandonato su un bracciolo.

La parete di fondo della stanza era occupata da una scaffalatura, che, per lo più, conteneva apparecchiature correlate all’impianto audiovisivo. E un veliero in bottiglia, un termometro-barometro, foto, prevalentemente di uomini in uniforme. Un riquadro di stoffa incorniciato: sul cerchio rosso al centro riconobbi l’ancora e l’aquila del corpo dei Marines; le parole TEMPESTA NEL DESERTO formavano un arco al di sopra, quelle TASK FORCE RIPPER sotto.

Ai lati della scaffalatura, contro lo zoccolino del muro, c’erano oggetti più grandi: la corazza metallica di un’armatura, una zanna intagliata, un’ascia da battaglia, un vaso dipinto in ceramica. Ogni manufatto sembrava molto antico.

Incrociai lo sguardo di Slidell, che annuì: se n’era accorto anche lui.

Rockett ci indicò il divano, ma restò in piedi. Così fece Slidell. E anch’io.

«Il tempo corre» disse il padrone di casa al detective.

«Risparmiati l’atteggiamento da duro.»

La spina dorsale dell’uomo, già dritta come un fuso, s’irrigidì ulteriormente.

«Come ha detto che si chiama?»

«Slidell.»

«Spari, Slidell.»

«Perché non parliamo un po’ di cani rubati.»

Qualcosa guizzò nell’occhio buono di Rockett. Sorpresa? Sollievo? Non disse nulla.

Skinny aspettò.

Alla fine, l’altro emise uno sbuffo: un suono asciutto e fischiante, come d’aria attraverso un filtro.

«Ha parlato con quel moscerino di Dew?»

Slidell non negò, né confermò.

«Vuole vedermi reagire?»

«Tu hai voglia di reagire?»

«Se servirà a farla uscire prima di qui, insieme a Miss Occhi Sgranati.»

«Forse.»

«“Rubati” non è la parola giusta» esordì.

«Illuminami.»

«Ho comprato quei cani da un agricoltore. Il tizio era ansioso di liberarsene.»

«L’ICE non vede di buon occhio il contrabbando di antichità.»

«Non sapevo che fossero antichi.»

«È il tuo hobby? Comprare animali mummificati?»

«Dew non ha nulla di concreto contro di me.»

Sapevo che Slidell stava portando Rockett dove voleva lui, inducendolo a credere che fossimo lì per questioni doganali.

Appena il soggetto si fosse sentito al sicuro, sarebbe partito l’affondo.

Mentre i due parlavano, spinsi lo sguardo alla fine di un corridoio, in quella che, nelle intenzioni dell’architetto, avrebbe dovuto essere, probabilmente, la sala da pranzo. Invece di tavoli, sedie e credenze, la stanza conteneva una panca, pesi, bilancieri, sacco da pugile, tapis-roulant e un’ellittica.

«All’ICE pensano che tu non sia pulito, amico» disse Slidell.

«Non possono dimostrare niente.»

«No?» Slidell indicò alle proprie spalle con il pollice. «Quella roba l’hai presa al centro commerciale?»

«Tutto ciò che possiedo è legale e documentato. Se qualcuno ha da vendere, io compro. Se qualcuno vuol comprare, io vendo.»

«Forse, ma d’ora in poi, ogni volta che passi un confine avrai un guanto in lattice che ti fruga tra le chiappe.»

«Dirò che sono vergine, di andarci piano.»

«Ti credi migliore di me, vero?» Il tono di Slidell indicava che era quasi al limite della sopportazione.

«Il piscio d’asino è migliore di te.»

Fu allora che Skinny passò il segno. «Hai tutti i documenti bene in ordine, stronzo? Lo spero per te perché Dew ti sta passando al setaccio conto in banca, dichiarazioni dei redditi, movimenti delle carte di credito, ogni fattura dell’idraulico che hai pagato o che pagherai!»

Rockett si limitò a guardarlo, furente. Forse con un filo di arroganza in meno?

«Fai una cazzata con il fisco e ne vedrai delle belle.» Lo sguardo del detective era gelido. «Sapevi che la moglie di Dew è peruviana? Per lui è una faccenda personale. E ha dei contatti laggiù. Se scampi a questo arresto – e non ci scommetterei – forse dovresti considerare la possibilità di spostare la tua base operativa. Tipo su Marte.»

Dubitavo che la storia della moglie peruviana fosse vera ed ero certa che Dew avrebbe disapprovato, ma non interruppi.

«Ogni centesimo che hai guadagnato, ogni quarto di dollaro che hai speso… Dew li sta controllando uno a uno. Chiama i tuoi fornitori, i tuoi clienti, li citerà come testimoni. Credi che il contadino e i suoi amigos andrebbero alla sbarra per te? L’unica domanda è quanto ci metteranno a decidersi ad hablar per salvarsi il culo.»

La filippica fu accolta dal silenzio. Alla fine, Rockett lo ruppe.

«Perché i miei guai con la dogana sono d’interesse della polizia di Charlotte?»

«M’interessa tutto ciò che succede nella mia zona.»

L’uomo lanciò un’occhiata al suo orologio, poi di nuovo a Slidell. «È tutto?»

«No, non è tutto. Parlami del tuo amico, John-Henry Story.»

«Non lo conosco.» Il volto rimase rigorosamente impassibile, le dita della mano illesa, però, si ripiegarono verso l’interno.

«Mentire a un funzionario di polizia ti procurerà seri fastidi.»

Che diavolo, ormai Slidell aveva già infiammato la situazione, quindi decisi di tirare fuori le foto del bar. Rockett diede una rapida occhiata, ma non fornì alcuna spiegazione.

«L’agente speciale Dew è a conoscenza della sua posizione nella S&S Enterprises» lo informai. «Del suo rapporto d’affari con John-Henry Story.»

«No comment.» Attraverso labbra quasi serrate.

«E commenti su come Story sia arso vivo, ne hai?»

Rockett non diede risposta.

«Ecco quel che si chiede Dew.» Frammenti iridati di luce danzavano sui contorni del volto di Slidell. «Dov’è che un importatore da quattro soldi pesca la grana per giocare con i pezzi grossi?»

Ancora niente.

«Uomo d’affari locale finisce in fiamme.» Slidell fece su e giù coi palmi come soppesando due oggetti. «Importatore da quattro soldi si ritrova con una vagonata di contante.»

«Sta forse insinuando che avrei qualcosa a che fare con la morte di Story?» Alle spalle di Rockett, un arbitro alzò le mani sopra la testa. Touchdown. «Le ha dato di volta il cervello?»

Intravedendo uno spiraglio nella sicumera dell’uomo, andai dritta al vero scopo della nostra visita.

«Due sere fa, una ragazza è stata uccisa da un pirata della strada vicino a Old Pineville Road.»

Presi dalla borsa uno dei miei volantini. Rockett gli rivolse una delle sue occhiate istantanee.

«La ragazza non è morta sul colpo, è riuscita a strisciare fino al margine della strada, dove è agonizzata per un po’ di tempo prima di morire. Sola. Terrorizzata.»

«E me lo sta dicendo… Perché?»

«Aveva nella borsa una cosa che apparteneva a John-Henry Story.»

«E allora?» Freddo come il ghiaccio.

«Il detective Slidell le ha accennato al fatto che lavora nella Squadra Omicidi?»

Il volto sfregiato mutò in un modo che non seppi interpretare. Gli sventolai il foglio davanti.

«Lei conosceva Story. La ragazza conosceva Story. Sa per caso chi è?»

«Quella puttana di Mary Poppins.»

Mi sentii ribollire. Eroe di guerra o no, Rockett era repellente.

«Un’altra cosa. Il medico legale ha trovato tracce di sperma sul corpo della ragazza. I campioni sono ora all’esame del DNA.»

Lui scrollò le spalle. «Esaminate quel che vi pare.»

«La ragazza aveva una tessera di Story. Story è tuo socio d’affari e compagno di bevute» ricapitolò Slidell, condividendo palesemente la mia avversione. «Siete collegati, stronzo. Chi era lei?»

«Fuori dalle palle.»

Il detective non si mosse.

«Un’altra cosa, signor Rockett.» Il mio tono era glaciale. «Ieri ho ricevuto una soffiata. La persona al telefono sosteneva di conoscere la ragazza. Ha detto che era spaventata.»

«Be’?»

«Qualcuno o qualcosa ha terrorizzato questa ragazzina.» Gli agitai il volantino a pochi centimetri dal naso. «E io scoprirò chi o che cosa.»

Con una manata rabbiosa, Rockett mi fece volare il foglio dalla mano alzata. Lo raccolsi dal pavimento e lo posai sul tavolo a faccia in su.

«Io non mi fermerò finché la ragazza non sarà identificata. Il detective Slidell non si fermerà finché l’assassino non sarà arrestato. Ci ha mentito sul fatto di conoscere Story: dev’esserci un motivo se lo ha fatto e quindi riteniamo che lei sia in qualche modo coinvolto.»

«E ricorda, stronzo.» Skinny piazzò la faccia a pochi centimetri da quella di Rockett, fece su e giù con le sopracciglia. «Mi ha dato di volta il cervello.»

Senza aggiungere altro, uscimmo di casa e ce ne andammo.

Fine della storia.

Per i successivi giorni non avrei scoperto niente di nuovo sulla ragazza con la borsetta rosa e il fermacapelli di plastica nella cella frigorifera dell’obitorio.