Dagli archivi della dottoressa Kathy Reichs

 

Di ossa, traumi, traiettorie di proiettili,
Operation Thriller e traffici d’esseri umani

 

 

ALLARME SPOILER! SE NON HAI FINITO IL LIBRO,
TI CONVIENE RIMANDARE LA LETTURA DI QUESTE PAGINE

 

Come avviene per tutte le avventure di Temperance Brennan, ho attinto le idee per Le ossa dei perduti sia dall’ambito professionale sia da quello personale.

La mia professione è ricchissima di spunti. A tutti è noto quale sia il campo d’azione dell’antropologo forense; Tempe stessa lo spiega nel primo capitolo del romanzo, rispondendo ad alcune domande in un’aula di tribunale: l’antropologia forense si occupa di ossa e di cadaveri compromessi.

E invece no! Sorpresa: capita a volte che i miei colleghi e io ci troviamo a esaminare corpi ancora integri o persino gente viva e vegeta.

Può verificarsi, per esempio, il caso di un adolescente di età indefinita. Va processato come adulto? Gli si può concedere asilo in quanto minore? È libero di scegliere autonomamente un trattamento medico? In simili evenienze, l’analisi antropologica mira a stabilire se l’individuo sia al di sopra o al di sotto di un’età significativa dal punto di vista giuridico.

Talvolta, invece, il soggetto è morto di recente, ma rimane d’identità, etnia o età incerta, o, ancora, si è in presenza di una frattura da trauma dall’andamento complicato.

Sono tutti casi in cui l’analisi dello scheletro può aggiungere informazioni preziose a quelle scaturite dall’autopsia dei tessuti molli.

Nel romanzo, la vicenda della ragazza senza nome, investita dal «pirata della strada», si ispira a un fatto realmente accaduto. Un uomo era stato trovato morto sul selciato di un grande deposito di camion e, secondo una versione dei fatti, era stato travolto accidentalmente da un veicolo, mentre si trovava in piedi, secondo un’altra, schiacciato intenzionalmente, mentre era già steso a pancia in giù, dopo una rissa.

Il patologo incaricato del caso si era chiesto se un’analisi del trauma cranico potesse dirimere la questione. E così era: un cranio sottoposto a un carico enorme che lo comprime sul cemento si frattura in modo diverso da un cranio che colpisce il suolo a seguito di una caduta.

Ho trasformato il camionista ucciso in una ragazzina sola su una strada a due corsie.

Quanto al dilemma sulla traiettoria dei proiettili…

Alcuni anni fa mi è stato chiesto di fare da consulente in un’inchiesta sulla morte di un detective di polizia, avvenuta nel 1969. L’uomo era stato ritrovato a bordo della sua auto con una ferita d’arma da fuoco al petto. Quando si dichiarò che la causa del decesso era un suicidio, la famiglia insorse, dicendosi certa che l’investigatore, in realtà, fosse stato eliminato per aver testimoniato sulla corruzione in seno al Dipartimento. Sostenne che gli avevano sparato alle spalle e che il foro di proiettile sul petto era di uscita, non di entrata come dichiarato dal coroner. Ventisette anni dopo la morte dell’uomo, i famigliari trovarono un patologo che concordava con la loro versione degli eventi, sulla base delle vecchie foto in bianco e nero della scena del crimine e della sala d’autopsia.

Fu costituita una commissione governativa e messo insieme un team per seguire l’esumazione del defunto. Il patologo incaricato era Michael Baden, l’antropologa forense, io.

Benché tre decenni sottoterra avessero ridotto i resti al puro scheletro, l’andamento della frattura sullo sterno era classico: il proiettile era penetrato anteriormente e fuoriuscito posteriormente, portando con sé frammenti d’osso. Il dottor Baden e io concordammo sulla traiettoria antero-posteriore.

Suicidio? Omicidio? Non stava a noi dirlo, ma di certo, a quell’uomo, non avevano sparato alla schiena.

Il patologo della famiglia, allora, sostenne che il foro era un’anomalia congenita detta forame sternale, e, successivamente, che il danno non era stato prodotto da un proiettile, ma dalla nostra analisi.

Invano. La tesi iniziale del suicidio rimase.

Ho trasformato il detective in due afghani, uno giovane, uno di mezza età, e il dilemma suicidio/omicidio nel dilemma omicidio intenzionale/legittima difesa.

Ma perché ambientare la vicenda in Afghanistan?

È qui che entra in gioco la sfera personale.

Nell’autunno 2011 ho avuto l’onore e il privilegio di essere invitata dalla USO (United Service Organizations) e dalla ITW (International Thriller Writers) a recarmi, insieme a Clive Cussler, Mark Bowden, Sandra Brown e Andrew Peterson, in Afghanistan e in Kirghizistan, per ringraziare i nostri soldati del loro coraggio e della loro dedizione. Sorprendenti l’audacia, l’abnegazione e l’ottimismo di tutte le persone che ho incontrato!

Il periodo trascorso in Medio Oriente rimane tuttora un collage di vividi ricordi: la levataccia alle cinque per poi crollare in branda a mezzanotte; le scarpinate dalla baracca alla toilette insieme a Sandra, mia compagna di alloggio; il brusco atterraggio in picchiata di un Hercules C-130J nero pece; il volo a bordo di un elicottero Blackhawk insieme a Mark Bowden, autore di Falco nero; l’elmetto e i venti chili di tenuta antiproiettile che dovevamo indossare…

Soprattutto, però, rammento le persone: il sergente dell’esercito che si accingeva a scrivere il suo primo romanzo; madre e figlia che si erano arruolate insieme in aviazione, insieme si erano addestrate e insieme erano giunte alla base; la tenente di marina che si trovava in zona di guerra, mentre, a casa, il suo bimbo metteva il primo dentino.

Far parte dell’Operation Thriller II è stata un’esperienza di quelle che ti fanno sentire umile; un’esperienza commovente e gratificante: prima ancora di rimettere piede negli Stati Uniti, avevo deciso di condividerla con i lettori.

Perché il traffico di esseri umani?

Stessa risposta: è un fatto personale.

In molti dei miei libri, sfrutto le imprese di Tempe per mettere in luce un importante problema sociale: la natura predatoria di culti e sette, il traffico di specie protette, la tragedia dell’abuso dei diritti umani, il mercato nero degli organi, la pedopornografia su Internet… Le ossa dei perduti segue questa tradizione.

Mia figlia, Courtney Reichs Mixon, è infermiera BA, BSN, RN, ONC (piccolo inciso: la mia prole ha in atto da sempre una scherzosa competizione sul numero di sigle da posporre alla firma e, benché i suoi fratelli siano entrambi avvocati, Courtney al momento è in testa alla classifica).

Da quando ha conseguito l’RN, l’abilitazione professionale, Courtney si è dedicata ad approfondire il suo interesse per l’infermieristica forense e ha affiancato, in quell’ambito, infermiere specializzate nell’assistenza alle vittime di violenza sessuale. Ha compreso, così, che queste persone subiscono spesso gravi traumi psicologici, e oggi si sente particolarmente chiamata ad aiutare quanti soffrono a seguito della tragica esperienza del traffico di esseri umani.

Courtney è membro di varie organizzazioni sorte allo scopo – tra cui NC Stop Human Trafficking (www.ncstop-humantrafficking.wordpress.com) e All We Want Is Love: Liberation of Victims Everywhere (www.allwewantislove.org) – e si dedica alle più diverse attività a sostegno della causa: etichettare saponette destinate ai bagni di alberghi, motel e punti di sosta autostradali con un numero verde dedicato al problema; organizzare eventi per la raccolta di fondi; rispondere agli utenti della hotline; seguire corsi che le permetteranno di tenere seminari e momenti di formazione in scuole, circoli di lettura, chiese e altre organizzazioni.

È stata la passione di mia figlia per il problema del traffico di esseri umani (oltre alle sue instancabili insistenze ogniqualvolta mi apprestavo a cominciare un nuovo romanzo) che mi ha indotto a trattare questo tema gravissimo e straziante.

Sfera personale, sfera professionale… suggestioni in libertà nella mia mente. Fatti, ricordi, impressioni. Elementi slegati tra loro e riconfigurati in un tutto.

Et voilà: un nuovo romanzo di Temperance Brennan.