8.
«Lei è un gran presuntuoso, signor Reynolds!» Elisabeth Scarlatti stava bollendo di rabbia. La sua veemenza era diretta all'uomo anziano che le stava di fronte, perfettamente calmo, guardandola da sopra gli occhiali. «Non mi piace la gente presuntuosa e non tollero i bugiardi!»
«Sono spiacente. Davvero.»
«Lei ha ottenuto questo appuntamento con l'inganno. Il senatore Brownlee mi ha detto che lei rappresentava l'Agenzia Fondiaria e che si occupava degli affari tra la Scarlatti e il ministero degli Interni.»
«E precisamente quello che crede.»
«Allora è ancora più stupido di quanto pensassi. E ora lei mi minaccia! Mi minaccia con degli infami pettegolezzi di seconda mano su mio figlio! Immagino che sia pronto a essere interrogato in contraddittorio in tribunale!»
«E questo che desidera?»
«Può costringermi a farlo! Non conosco la sua posizione, ma conosco un mucchio di gente a Washington, e di lei non ho mai sentito parlare. Posso solo concludere che se uno come lei può riportare simili storie, anche altri devono averle sentite. Si, mi può costringere a ricorrere al tribunale. Non sopporterò quest'insulto!»
«E se fosse vero?»
«Non è vero, e lo sa quanto me! Non c'è una ragione al mondo per cui mio figlio dovrebbe mettersi in... simili attività. È già ricco. Tutti e due i miei figli hanno dei titoli in proprietà fiduciaria che rendono loro ogni anno delle somme favolose.»
«Allora dobbiamo eliminare il movente profitto, giusto?» Benjamin Reynolds inarcò un sopracciglio.
«Non eliminiamo niente perché non c'è niente! Se mio figlio ha fatto un po' di baldorie, va criticato - non bollato come un criminale! E se sta usando la vile tattica di calunniare il nome Scarlatti a causa delle sue origini, lei è un uomo spregevole e la farò licenziare!» Benjamin Reynolds, che ci metteva parecchio ad arrabbiarsi, ora stava toccando un pericoloso livello d'irritazione. Dovette ricordare a sé stesso che quell'anziana donna stava difendendo la sua famiglia ed era più difficile di quanto sarebbe stata in altre circostanze.
«Vorrei che non mi considerasse un nemico. Non sono né un nemico né un fazioso. Francamente, mi offende di più la seconda implicazione della prima.»
«Ancora una volta lei si comporta da presuntuoso» ribatté Elisabeth Scarlatti. «Non le riconosco la statura di un nemico. Penso che lei sia un ometto che usa la diffamazione per i suoi fini personali!»
«L'accusa di essere il mandante di un omicidio non è diffamazione!»
«Come ha detto?»
«E l'accusa più grave che abbiamo... Ma ci sono circostanze attenuanti, se può confortarla.» L'anziana donna fissò con disprezzo Benjamin Reynolds, che ignorò quello sguardo.
«L'uomo che è stato ucciso - che suo figlio ha ordinato di uccidere - era un noto killer anche lui... Il capitano di una nave da carico che lavorava coi peggiori elementi del porto. Era responsabile di molti omicidi.» Elisabeth Scarlatti si alzò dalla sedia. «Non lo tollererò» disse a bassa voce. «Lei fa l'accusa più terribile che si possa immaginare e poi si ritira dietro un muro di allusioni.»
«Viviamo in tempi strani, madame Scarlatti. Non possiamo essere dappertutto. Né lo vogliamo, francamente. Non ci doliamo delle guerre tra gangster. Ammettiamolo. Spesso ottengono di più di quanto possiamo fare noi.»
«E lei mette mio figlio in questa... questa categoria?»
«Io non l'ho messo da nessuna parte. L'ha fatto da sé.» Elisabeth andò lentamente dalla sua scrivania a una finestra che dava sulla strada. «Quante altre persone a Washington conoscono questo mostruoso pettegolezzo?»
«Tutto quello che le ho detto?»
«Tutto.»
«Ci sono state alcune voci al Tesoro. Niente che qualcuno avesse voglia di controllare. Per quanto riguarda il resto, solo il mio immediato subordinato e l'uomo che fu presente al fatto.»
«I nomi?»
«Oh, no.»
«Posso scoprirli facilmente.»
«Non le gioverebbe affatto.» Elisabeth si voltò. «Capisco.»
«Mi chiedo se è vero.»
«Qualunque cosa lei pensi, io non sono un'idiota. Non credo a una parola di questa storia. Ma non voglio che il nome di Scarlatti sia infangato... Quanto, signor Reynolds?» Il direttore del Gruppo Venti restituì lo sguardo a Elisabeth senza darle tregua. «Niente. Neanche un soldo, grazie... Andrò avanti. Lei mi invoglia a denunciarla.»
«Stupido vecchio!»
«Per la malora, ci dia un taglio! Tutto quello che voglio è la verità... No, non è tutto quello che voglio. Voglio che finisca. Prima che qualcun altro ne paghi le conseguenze. Lo dobbiamo a un eroe decorato. Specialmente in questi tempi assurdi... E voglio sapere perché!»
«Fare delle ipotesi significherebbe riconoscere la sua premessa. Mi rifiuto!»
«Ma, Gesù! Lei è un osso duro.»
«Più di quanto non si renda conto.»
«Non riesce a capire? La cosa non andrà avanti. Finisce qui! Cioè, finirà qui se lei riuscirà a far cessare ogni futura... attività, come le chiama lei. Noi pensiamo che possa farlo... Ma mi pare che dovrebbe voler sapere perché. Dal momento che tutti e due sappiamo che suo figlio è ricco, perché?» Elisabeth si limitò a fissarlo e Reynolds capì che non avrebbe risposto. Lui aveva fatto quello che poteva, detto quello che doveva dire. Il resto dipendeva da lei.
«Arrivederla, madame Scarlatti... Devo dirle che terrò d'occhio il padrone Scarlatti.»
«Il chi?»
«Chieda a suo figlio.» Reynolds uscì con passo lento dalla stanza. Le persone come Elisabeth Scarlatti lo sfibravano. Probabilmente, pensò, perché non credeva che meritassero tutti quegli sforzi. Coi giganti era sempre così.
Elisabeth - ancora alla finestra - osservò il vecchio chiudere la porta dietro di sé. Aspettò finché non lo vide scendere i gradini d'ingresso e incamminarsi verso la Quinta Strada.
Il vecchio alzò gli occhi sulla figura nella finestra e i loro sguardi s'incontrarono.
Nessuno dei due batté ciglio.
***