28.
In una stanza del ministero dell'Interno, James Derek tirò fuori un dossier. «Jacques Louis Bertholde, quarto marchese di Chatellerault.» Il responsabile dell'archivio entrò nella stanza. «Ciao, James. Fai tardi stasera, vedo.»
«Temo di si, Charles. Mi porto fuori una copia. Hai avuto la mia richiesta?»
«Ecco qua. Spiegami tutto che ti firmo il permesso. Ma per favore falla breve. Devo tornare nel mio ufficio a giocare a carte.»
«Breve e semplice. Gli yankee sospettano che il loro personale d'ambasciata venda di nascosto titoli americani qui da noi. Questo Bertholde bazzica i giri diplomatici. Ci potrebbe essere una connessione col giovane Scarlatti.» Il custode dell'archivio prese le dovute note. «Quando è successo tutto questo?»
«Circa un anno fa, se ho ben capito.» Il custode smise di scrivere e guardò James Derek. «Un anno fa?»
«Si.»
«E questo americano vuole affrontare il personale d'ambasciata adesso? E qui?»
«Esatto.»
«È dalla parte sbagliata dell' Atlantico. Tutto il personale d'ambasciata americano è stato trasferito quattro mesi fa. Adesso non c'è rimasto nessuno di quelli ch'erano a Londra un anno fa.»
«E molto strano» disse pacatamente Derek.
«Direi che il tuo amico americano non è in gran rapporti col suo dipartimento di Stato.»
«Il che significa che mente.»
«Credo proprio di si.» Janet e Matthew uscirono ridendo dall'ascensore al settimo piano e si avviarono per il corridoio verso l'appartamento di Elisabeth. In un percorso di circa trenta metri, si fermarono quattro volte per abbracciarsi e scambiarsi dei baci.
La ragazza estrasse una chiave dalla borsetta e la porse a Canfield.
L'uomo l'inserì e nello stesso tempo girò la maniglia prima di muovere lateralmente la chiave. La porta si aprì e in una frazione di secondo lui fu più sobrio che mai.
E si precipitò all'interno della stanza.
Elisabeth Scarlatti sedeva sul sofà vittoriano alla fioca luce che emanava dall'unica lampada accesa. Non si mosse se non per levare lo sguardo su Canfield e sulla nuora.
«Vi ho sentiti in corridoio.»
«Le avevo detto di chiudere a chiave queste porte!»
«Mi dispiace, mi son dimenticata.»
«Storie! Ho aspettato finché non ho sentito il rumore del saliscendi e del catenaccio!»
«Ho ordinato al bar che mi mandassero del caffè.»
«Dov'è il vassoio?»
«Nella mia camera da letto, che suppongo sia privata.»
«Fa male a crederlo!» Canfield corse verso la stanza da letto.
«Mi scuso ancora! Ho chiamato perché venissero a prenderlo. Sono molto confusa. Mi perdoni!»
«Perché? Cosa c'è?» Elisabeth rifletté rapidamente e cominciò a parlare guardando la nuora. «Ho avuto una telefonata che mi ha angosciato moltissimo. Una questione di affari che non ha niente a che fare con lei. C'è di mezzo un mucchio di soldi e devo prendere una decisione prima che apra la Borsa inglese.» Guardò il contabile.
«Posso chiedere che cosa c'è di tanto importante da far si che lei non segua le mie istruzioni?»
«Parecchi milioni di dollari. Forse lei potrebbe aiutarmi. Secondo lei le Industrie Scarlatti devono concludere l'acquisto delle ultime obbligazioni convertibili della coltelleria Sheffield e, operando le conversioni, acquistare il controllo della società, o no?» Ancora non convinto, l'uomo chiese: «Perché è un problema così... angoscioso?»
«Perché la società perde costantemente denaro.»
«Allora non compri. Una cosa del genere non dovrebbe tenerla sveglia tutta la notte.» La vecchia signora lo guardò freddamente. «La coltelleria Sheffield è una delle più vecchie e raffinate industrie d'Inghilterra. I suoi prodotti sono stupendi. Il problema non è dato né dall'amministrazione né dalle condizioni della mano d'opera, ma da un grosso afflusso di imitazioni giapponesi. La domanda è: il pubblico degli acquirenti verrà a saperlo in tempo utile per invertire la tendenza?» Elisabeth Scarlatti si alzò dal divano e andò in camera da letto, chiudendo la porta dietro di sé. Il contabile si rivolse a Janet Scarlett. «Fa sempre così? Non ha dei consulenti?» Ma Janet stava ancora fissando la stanza da letto. Poi si tolse il mantello e si avvicinò a Canfield. Parlò a voce bassa. «Non dice la verità.»
«Come fai a saperlo?»
«Dal modo in cui mi guardava mentre parlava a te. Stava cercando di dirmi qualcosa.»
«Qualcosa come?» La ragazza si strinse nelle spalle con gesto d'impazienza e continuò in un sussurro. «Oh, non so, ma capisci cosa voglio dire. Sei con un gruppo di gente, e cominci a raccontare una grossa bugia o a esagerare qualcosa, e mentre lo fai, guardi tuo marito o un amico che conosce meglio la storia... e lui capisce che non deve correggerti...»
«Mentiva sulla società di cui parlava?»
«Oh, no. Quello è vero. È da sei mesi che Chancellor Drew cerca di convincerla a comprare quella ditta.»
«Tu come lo sai?»
«Aveva già rifiutato.»
«Allora perché ha mentito?» Come Canfield fece per mettersi a sedere, la sua attenzione fu attirata dal coprischienale di lino della sedia. Dapprima non notò niente di particolare, poi guardò di nuovo. La stoffa era stropicciata, come se fosse stata strapazzata o stretta in pugno. Era una stonatura in un appartamento immacolato. Guardò più da vicino. C'erano dei fili strappati e delle inconfondibili impronte di dita. Chiunque avesse afferrato quella sedia, l'aveva fatto con considerevole forza.
«Cosa c'è, Matthew?»
«Niente. Dammi qualcosa da bere, per favore.»
«Certo, tesoro.» Janet andò al mobilebar mentre Canfield girava attorno alla sedia fermandosi davanti alla porta-finestra. Senza un motivo particolare, scostò le tende ed esaminò la finestra. Girò il saliscendi e spalancò la parte sinistra. Vide quello che ormai stava cercando. Il legno attorno al gancio era scalfito. Riuscì a distinguere sul davanzale un punto in cui la vernice era stata scolorita dall'impronta di un pesante, grosso oggetto, probabilmente uno stivale o una scarpa con la suola di gomma o di para. Non di cuoio. Non c'erano graffi sulla vernice. Aprì la parte destra e guardò fuori. Sotto c'erano sei piani a piombo; sopra due piani, e più in alto quello che ricordava essere un tetto fortemente inclinato. Richiuse la finestra e la serrò.
«Cosa diavolo stai facendo?»
«Abbiamo avuto visite. Un ospite non invitato, direi.» La ragazza restò impietrita. «Oh, mio Dio!»
«Non aver paura. Tua suocera non farebbe mai una sciocchezza. Credimi.»
«Ci sto provando. Che cosa facciamo?»
«Scopriremo chi era. Ora cerca di stare calma. Avrò bisogno di te.»
«Perché lei non ha detto niente?»
«Non lo so, ma tu potresti riuscire a scoprirlo.»
«Come?»
«Domani mattina probabilmente discuterà l'affare della Sheffield. Se lo fa, tu dille che ti ricordi che s'era rifiutata di comprarla per Chancellor. Dovrà darti una spiegazione.»
«Se mamma Scarlatti non vuole parlare, non lo farà e basta. Lo so.» , «Allora non insistere. Ma dovrà dire qualcosa.» Sebbene fossero quasi le tre, nell'atrio c'era un continuo flusso di reduci delle ultime feste. La maggior parte era in abito da sera, molti barcollavano e ridacchiavano, tutti erano allegramente stanchi.
Canfield s'avvicinò al banco e disse all'impiegato, in tono cortese: «Ehi, amico, avrei un piccolo problema.»
«Si, signore. Posso esserle utile?»
«Be', è un po' delicato... Sono in viaggio con madame Elisabeth Scarlatti e sua nuora.»
«Ah, si, certo. Signor... Canfield, vero?»
«Esatto. Be', la signora Scarlatti sta invecchiando, capisce, e la gente che sta al piano sopra di lei tira sempre molto tardi.» L'impiegato, che conosceva la leggenda della ricchezza Scarlatti, si prosternò in scuse. «Sono terribilmente desolato, signor Canfield. Andrò su immediatamente. Una cosa estremamente imbarazzante.»
«Oh, no, per favore, adesso è tutto tranquillo.»
«Bene, posso assicurarle che non si ripeterà. Certo devono fare parecchio rumore. Come sono certo lei saprà, il Savoy è la più perfetta delle costruzioni.»
«Be', immagino che tengano le finestre aperte, ma, la prego, non dica niente. Sarebbe molto seccata con me se pensasse che gliene ho parlato...»
«Non capisco, signore.»
«Mi dica solo chi sono e andrò io a parlargli. Sa, amichevolmente, bevendo una cosa assieme.» L'impiegato non avrebbe potuto essere più contento della soluzione proposta dall'americano. «Be', se insiste, signore... Nell'appartamento otto ovest uno stanno il visconte e la viscontessa Roxbury, una coppia deliziosa e piuttosto anziana, credo. Molto strano. Comunque è possibile che ricevano.»
«Chi c'è sopra di loro?»
«Sopra di loro, signor Canfield? Non penso...»
«Me lo dica lo stesso, per favore.»
«Ecco, al nove ovest uno c'è...» L'impiegato voltò la pagina. «Non è occupato, signore.»
«Non è occupato? È strano in questo periodo dell'anno.»
«Dovrei dire piuttosto che non è disponibile, signore. L'appartamento nove ovest uno è stato affittato per tutto il mese per riunioni d'affari.»
«Vuol dire che di notte non ci abita nessuno?»
«Oh, certamente ne hanno diritto, ma non si è verificato.»
«Chi l'ha affittato?»
«La ditta Bertholde et Fils.»
***