35.
Il monoplano trasvolò la Manica senza problemi - il vento era debole, la visibilità eccellente. Era una fortuna per Scarlett, perché la tormentosa irritazione delle sue ferite non del tutto rimarginate, unita all'ira violenta che lo possedeva, avrebbe reso disastroso un viaggio già di per sé difficile. Riusciva a malapena a badare alla bussola, e quando vide la costa della Normandia, al primo momento gli sembrò una terra sconosciuta. Eppure aveva fatto quella stessa rotta una dozzina di volte.
Al piccolo campo di atterraggio di Lisieux venne a riceverlo il gruppo di Parigi, composto da due tedeschi e da un guascone francese, il cui dialetto gutturale eguagliava quasi quello dei suoi soci.
I tre europei si aspettavano che l'uomo - di cui non conoscevano il nome - ordinasse loro di tornare a Parigi, in attesa di nuovi ordini.
Ma l'uomo aveva altri programmi, e insistè perché si stringessero tutti e tre sul sedile davanti mentre lui occupava l'intero spazio di dietro. Ordinò che la macchina si dirigesse a Vernon, dove due di loro scesero e dovettero arrangiarsi per tornare a Parigi. L'autista doveva rimanere.
Questi protestò debolmente quando Scarlett gli ordinò di continuare a ovest verso Montbéliard, una cittadina vicino alla frontiera svizzera.
«Mein Herr! Un viaggio di quattrocento chilometri! Ci vorranno dieci ore o più su queste strade interminabili!»
«Allora dovremmo arrivare per l'ora di pranzo. E stia calmo!»
«Sarebbe stato più semplice per mein Herr fare rifornimento e continuare il volo...»
«Io non volo quando sono stanco. Si rilassi. Le troverò del buon whisky a Montbéliard. Le fa bene variare un po' la dieta. Stuzzica il palato.»
«Jawohl, mein Herr!» Kircher sorrise, riconoscendo nell'uomo un vero Oberfiihrer.
Scarlett rifletteva. Gli spostati! Un giorno avrebbero fatto piazza pulita degli spostati.
Montbéliard non era molto più sviluppata di un grosso paesotto.
Il principale mezzo di sussistenza dei suoi abitanti erano i prodotti agricoli, gran parte dei quali veniva spedita in Svizzera o in Germania. La moneta, come in molte altre città di frontiera, era un misto di franchi francesi, di marchi e di franchi svizzeri.
Scarlett e l'autista vi giunsero poco dopo le nove di sera. A parte alcune soste per fare benzina e per una colazione a metà pomeriggio, avevano sempre tirato diritto senza parlare. Il silenzio agì come sedativo dell'ansia di Scarlett, che riuscì finalmente a pensare senza rabbia sebbene questa fosse sempre presente. L'autista aveva detto giusto: volare da Lisieux a Montbéliard sarebbe stato più semplice e meno arduo, ma Scarlett non poteva rischiare che la stanchezza gli giocasse dei brutti scherzi.
Prima o poi, quel giorno o quella sera - l'ora precisa non era stata stabilita - si sarebbe incontrato col prussiano, l'importantissimo uomo che poteva compiere quello che pochi altri potevano. Doveva essere all'altezza di quell'incontro, con ogni singola cellula cerebrale perfettamente funzionante. Non poteva permettersi che i recenti problemi interferissero con la sua concentrazione. Il colloquio col prussiano rappresentava il punto culminante di mesi, di anni di lavoro. Dal primo macabro incontro con Gregor Strasser alla conversione dei suoi milioni in capitale svizzero. Lui, Heinrich Kroeger, possedeva quelle sostanze così disperatamente indispensabili ai nazionalsocialisti. Ormai la sua importanza per il partito era riconosciuta.
I problemi. Problemi irritanti! Ma lui aveva deciso. Howard Thornton l'avrebbe isolato, forse ucciso. L'uomo di San Francisco li aveva traditi. Se l'operazione di Stoccolma era stata scoperta, la colpa era sicuramente di Thornton. Avevano usato i suoi contatti svedesi, e chiaramente lui aveva manovrato in modo che grandi quantità di titoli ritornassero nelle sue mani al prezzo ridotto.
Bisognava liquidare Thornton.
Come si era fatto col dandy francese, Jacques Bertholde. Thornton e Bertholde! Due spostati! Due avidi, stupidi spostati! Che cosa era successo a Boothroyd? Evidentemente era stato ucciso sulla Calpurnia. Ma come? E perché? A parte tutto, meritava di crepare! E così pure suo suocero. L'ordine di Rawlins di uccidere Elisabeth Scarlatti era un'idiozia! La scelta del momento era stata pazzesca! Era così difficile da capire per Rawlins che Elisabeth avrebbe lasciato delle lettere, dei documenti dietro di sé? Era molto più pericolosa da morta che da viva. Almeno fino a quando non fosse stata raggiunta - come l'aveva raggiunta lui, minacciando i suoi preziosi Scarlatti. Ormai poteva morire! Ora non avrebbe più avuto importanza. E, morto Bertholde, morto Rawlins, e morto Thornton - era questione di poco -non sarebbe rimasto più nessuno a conoscenza della sua vera identità. Nessuno! Lui era Heinrich Kroeger, uno dei capi del nuovo ordine!
Si fermarono a l'Auberge des Moineaux, un piccolo ristorante con una buvette e stanze per i viaggiatori o per chi desiderasse starsene solo per altri motivi; Per Scarlett era il luogo stabilito per l'incontro.
«Porti la macchina in fondo alla strada e la parcheggi» disse a Kircher. «Salirò in camera. Lei intanto ceni. La chiamerò più tardi... Non ho dimenticato la mia promessa.» Kircher sorrise.
Ulster Scarlett uscì dalla macchina e si sgranchì le gambe. Si sentiva meglio, la pelle gli dava meno fastidio e il pensiero dell'imminente riunione gli procurava una vaga euforia. Questo era il tipo di lavoro che avrebbe sempre dovuto fare! Problemi di vaste proporzioni. Problemi di potere!
Attese fino a quando la macchina fu abbastanza lontana perché Kircher non potesse vederlo nello specchietto retrovisore. Allora ritornò, allontanandosi dalla porta, verso il sentiero di ciottoli e lo seguì. Agli spostati non si doveva mai dire niente che non fosse indispensabile per il loro specifico uso.
Giunse a una porta buia e bussò parecchie volte.
La porta si aprì e un uomo abbastanza alto con folti capelli neri ondulati e sopracciglia scure, sporgenti, apparve nel vano come per sbarrare l'ingresso, non per dare il benvenuto all'ospite. Portava una giacca grigia alla bavarese e pantaloni marrone. Aveva una faccia da cherubino accigliato, i suoi occhi erano grandi e fissavano intensamente. Si chiamava Rudolf Hess.
«Dove sei stato?» Hess fece cenno a Scarlett di entrare e chiuse la porta. La stanza era piccola: c'era una tavola con delle sedie attorno, una credenza e due lampade a stelo che illuminavano l'ambiente. Un'altra persona, che era stata alla finestra a guardare fuori, ovviamente per identificare l'uomo che si avvicinava, fece un cenno a Scarlett. Era un uomo molto piccolo, brutto, con tratti da uccello e il naso adunco. Zoppicava.
«Joseph?» gli disse Scarlett. «Non mi aspettavo di vederti qui.» Joseph Goebbels guardò Hess. Aveva una scarsa conoscenza dell'inglese. Hess tradusse rapidamente le parole di Scarlett e Goebbels alzò le spalle.
«Ti ho chiesto dove sei stato!»
«Ho avuto delle difficoltà a Lisieux. Non ho potuto trovare un altro aeroplano e così sono dovuto venire in macchina. È stata una giornata molto lunga, quindi, per favore, non mi esasperare.»
«Ach! Da Lisieux? Un bel viaggio. Ti faccio portare qualcosa da mangiare, ma devi fare presto. Rheinhart aspetta da mezzogiorno.» Scarlett si tolse la giacca da aviatore e la gettò sul ripiano della credenza. «Come sta?» Goebbels riuscì a capire quel tanto da intromettersi nella conversazione. «Rheinhart? Im-pa-zien-te!» Pronunciò piuttosto male la parola e Scarlett sogghignò. Goebbels pensò tra sé che quel gigante era fisicamente mostruoso. L'opinione era reciproca.
«Lascia stare il cibo. Rheinhart aspetta da troppo tempo... Dov'è?»
«Nella sua stanza. Numero due, nel corridoio. E andato a fare una passeggiata questo pomeriggio, ma pensa sempre che qualcuno lo possa riconoscere e così è tornato indietro dopo dieci minuti. Credo sia arrabbiato.»
«Va' a chiamarlo... E porta anche del whisky.» Guardava Goebbels sperando che quell'orribile ometto se ne andasse. Non era bene che fosse presente mentre lui e Hess parlavano con l'aristocratico prussiano. Goebbels sembrava un insignificante ragioniere ebreo.
Ma Scarlett sapeva benissimo che non c'era niente da fare. Hitler era tutt'uno con quell'uomo.
Joseph Goebbels sembrava leggesse nel pensiero del gigante. «Resterò qui mentre lei parla.» Portò una sedia contro la parete e si sedette.
Hess uscì nel corridoio e i due uomini rimasero soli nella stanza.
Nessuno fiatò.
Pochi minuti dopo Hess ritornò. Lo seguiva un tedesco un po' avanti negli anni, più basso di poche dita di Hess, che indossava un abito nero a doppio petto e una camicia col colletto alto. Il viso era gonfio di grasso, i capelli bianchi erano tagliati corti. Stava perfettamente eretto e nonostante l'aspetto imponente, Scarlett pensò che c'era qualcosa di molle in lui, che non c'entrava con la sua corporatura. Avanzò impettito nella stanza. Hess chiuse la porta a chiave.
«Signori. Il generale Rheinhart.» Hess si mise sull'attenti. Goebbels si alzò dalla sedia e si inchinò, battendo i tacchi. Rheinhart lo guardò con indifferenza.
Scarlett osservò l'espressione di Rheinhart. Si avvicinò al vecchio generale e gli tese la mano.
«Herr General.» Rheinhart si mise di fronte a Scarlett e anche se si sforzò di dissimularla, la sua reazione alla vista del suo viso fu evidente. I due uomini si strinsero la mano con gesto meccanico.
«Prego, si accomodi, Herr General.» Hess era soggiogato dai suoi ospiti e non lo nascondeva. Rheinhart sedette a un capo del tavolo. Scarlett per un attimo si innervosì. Aveva desiderato sedersi proprio nello stesso posto perché quella era la posizione di comando.
Hess chiese a Rheinhart se voleva whisky, gin o vino. Il generale fece un cenno di rifiuto con la mano.
«Neanch'io» aggiunse Ulster Scarlett, sedendosi sulla sedia a sinistra di Rheinhart. Hess ignorò il vassoio e si mise anche lui a sedere. Goebbels, zoppicando, si ritirò sulla sedia vicina al muro.
Scarlett cominciò a parlare. «Mi scuso per il ritardo. Imperdonabile ma inevitabile. Ci sono stati degli affari urgenti con i nostri soci di Londra.»
«Il suo nome, prego?» Rheinhart lo interruppe, parlando inglese con un forte accento teutonico.
Scarlett diede una breve occhiata a Hess prima di rispondere. «Kroeger, Herr General. Heinrich Kroeger.» Rheinhart non gli tolse più gli occhi di dosso. «Non credo che sia questo il suo nome, signore. Lei non è tedesco» disse con voce atona.
«I miei sentimenti sono tedeschi. Al punto di essermi scelto come nome Heinrich Kroeger.» .
Hess interruppe. «Herr Kroeger è stato per noi d'inestimabile valore. Senza di lui non avremmo mai fatto i progressi che abbiamo fatto.»
«Amerikaner... È lui la ragione per cui non stiamo parlando tedesco?»
«A questo rimedieremo presto» disse Scarlett. Infatti parlava un tedesco quasi impeccabile, anche se si sentiva ancora in svantaggio nell'uso di questa lingua.
«Non sono un americano, generale...» Scarlett guardò fisso a sua volta Rheinhart e non gli dette tregua. «Sono un cittadino del nuovo ordine! Ho dato altrettanto, se non di più, di qualunque altra persona viva o morta, per vederlo nascere... La prego di tenerlo presente nel nostro colloquio.» Rheinhart si strinse nelle spalle. «Sono sicuro che lei ha i suoi motivi, come li ho io, per sedersi a questo tavolo.»
«Può starne sicuro.» Scarlett si rilassò e si sistemò nella sedia. «Benissimo, signori, mettiamoci al lavoro. Se è possibile, vorrei lasciare Montbéliard stanotte.» Rheinhart mise una mano nella tasca della giacca e ne tirò fuori un foglio piegato. «Il vostro partito ha fatto dei passi non irrilevanti nel Reichstag. Dopo il vostro fiasco di Monaco, si può anzi dire che sono stati compiuti dei passi notevoli...» Hess lo interruppe entusiasticamente. «Siamo solo all'inizio! Dall'ignominia del tradimento e della disfatta, la Germania risorgerà! Saremo i padroni di tutta l'Europa!» Rheinhart teneva in mano il foglio piegato e guardava Hess. Rispose a voce bassa, con tono autorevole. «Per noi può bastare essere padroni della sola Germania. Tutto quello che chiediamo è di poter difendere la nostra patria.»
«Questa sarà la più piccola delle garanzie che lei riceverà da noi, generale.» La voce di Scarlett non superò quella di Rheinhart.
«E l'unica garanzia che vogliamo. Non siamo interessati agli eccessi predicati dal vostro Hitler.» A sentire pronunciare il nome di Hitler, Goebbels si alzò ritto in avanti sulla seggiola. Era arrabbiato, perché non riusciva a capire. «Che c'entra Hitler? Che cosa state dicendo di lui?» Rheinhart rispose a Goebbels nella sua lingua. «E un imbecille.»
«Hitler è la via! Hitler è la speranza della Germania.»
«Per lei forse.» Ulster Scarlett studiò Goebbels. Gli occhi del piccoletto brillavano di odio, e Scarlett pensò che un giorno Rheinhart avrebbe pagato per quelle parole. Il generale riprese a parlare mentre apriva il foglio.
«Il momento che sta attraversando il nostro Paese esige insolite alleanze... Ho parlato con von Schnitzler e Kindorf. Krupp non discuterà sull'argomento, come sono certo voi già sapete... L'industria tedesca non è in condizioni migliori dell'esercito. Noi siamo entrambi pedine della Commissione Alleata di Controllo. Le restrizioni di Versailles un momento ci tirano su, il momento dopo ci sbattono a terra. Non c'è stabilità. Non c'è nulla su cui possiamo contare. Abbiamo un obiettivo comune, signori. Il Trattato di Versailles.»
«Questo è solo uno degli obiettivi. Ce ne sono altri.» Scarlett era soddisfatto, ma il suo piacere fu di breve durata.
«È l'unico obiettivo che mi ha condotto a Montbéliard. Se l'industria tedesca deve poter prendere fiato, esportare liberamente, allo stesso modo l'esercito tedesco deve poter mantenere una forza adeguata! La limitazione a centomila uomini con più di venticinquemila chilometri di frontiera è ridicola! Si fanno promesse, sempre promesse - poi minacce. Niente su cui si possa contare. Nessuna comprensione. Nessuna concessione per il necessario sviluppo.»
«Siamo stati traditi! Siamo stati orrendamente traditi nel '18 e quel tradimento continua. I nostri detrattori esistono ancora in tutta la Germania!» Hess agognava più di ogni altra cosa al mondo di essere annoverato tra gli amici di Rheinhart e dei suoi ufficiali. Rheinhart lo capì, e la cosa non gli fece né caldo né freddo.
«Ja. Ludendorff sostiene ancora questa teoria. La Mosa-Argonne non è facile da mandare giù per lui.» Ulster Scarlett fece quel suo grottesco sorriso. «È così per alcuni di noi, generale Rheinhart.» Rheinhart lo guardò. «Non intendo andare avanti su questo argomento con lei.»
«Ma un giorno dovrà farlo. È questa la ragione per cui sono qui - almeno in parte.»
«Mi ripeterò, signor Kroeger. Lei ha le sue ragioni; io ho le mie. Io non sono interessato alle sue, ma lei è costretto ad essere interessato alle mie.» Rheinhart guardò Hess e poi la figura in ombra vicino alla parete, Joseph Goebbels.
«Sarò esplicito, signori. E un segreto mal custodito, nel migliore dei casi... Oltre il confine polacco, nelle terre dei bolscevichi, ci sono migliaia di ufficiali tedeschi frustrati. Uomini senza una professione nel loro Paese. Essi preparano i comandanti russi. Organizzano l'armata rossa contadina... Perché? Alcuni semplicemente per avere un impiego. Altri si giustificano dicendo che delle fabbriche russe ci passano di contrabbando cannoni, armi, proibiti dalla Commissione Alleata... Non mi piace questo stato di cose, signori. Non mi fido dei russi... Weimar è impotente. Ebert non potrebbe guardare in faccia la verità. Hindenburg, ancora meno! Vive in un passato monarchico. Bisogna costringere i politici ad affrontare le conseguenze di Versailles! Noi dobbiamo essere liberati dall'interno!» Rudolf Hess appoggiò entrambe le mani sul tavolo, con i palmi aperti.
«Avete la parola di Adolf Hitler e di quelli di noi presenti in questa stanza che la prima voce dell'agenda politica del partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori è il ripudio incondizionato del trattato di Versailles e delle sue restrizioni!»
«Questo lo immagino. Ma mi interessa capire se voi siete in grado di unire efficacemente le diverse aree politiche del Reichstag. Non posso negare che voi esercitiate un richiamo. Molto più degli altri. La domanda a cui vorremmo una risposta, come sono certo la vorrebbero anche i nostri colleghi del commercio, è: voi avete la capacità di resistere? Potete durare? Durerete? Vi hanno messo fuori legge alcuni anni fa. Non possiamo permetterci di legarci a una cometa politica destinata a spegnersi da sé.» Ulster Scarlett si alzò dalla sedia e guardò l'anziano generale tedesco. «Che cosa direbbe se le assicurassi che noi possediamo delle risorse finanziarie superiori a quelle di qualunque altra organizzazione politica in Europa? E forse dell'emisfero occidentale?»
«Direi che lei esagera.»
«Oppure se io le dicessi che noi possediamo territori tanto vasti da poter addestrare su di essi migliaia e migliaia di soldati scelti - sfuggendo al controllo delle squadre d'ispezione di Versailles?»
«Dovrebbe provarmelo.»
«Lo posso fare.» Rheinhart si alzò e si avvicinò a Heinrich Kroeger.
«Se lei dice la verità... avrà l'appoggio dei generali imperiali tedeschi.»
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