36.



Janet Saxon Scarlett, gli occhi ancora chiusi, cercò con la mano sotto le lenzuola il corpo del suo innamorato. Non lo trovò, così aprì gli occhi e alzò la testa e la stanza si mise a girare vorticosamente. Si sentiva le palpebre pesanti e lo stomaco le faceva male. Era ancora sfinita, ancora un po' ubriaca.

Matthew Canfield era seduto allo scrittoio, con indosso solo la biancheria. Teneva i gomiti sul tavolo, il mento tra le mani. Fissava attentamente un foglio davanti a lui.

Janet lo guardò, consapevole che lui non si accorgeva di lei. Si voltò sul fianco per poterlo osservare.

Non era un uomo comune, pensò, e d'altra parte non era neppure un tipo straordinario, se non per il fatto che lei lo amava. Si domandò che cosa trovava in lui di tanto attraente. Non era come uno degli uomini del suo ambiente - anche di quello più vasto che aveva acquisito ultimamente. La maggior parte di quelli che conosceva erano brillanti, raffinati, eccessivamente curati e preoccupati solo delle apparenze. Matthew Canfield non poteva quadrare con quel mondo. Era brillante, di un'intelligenza intuitiva che non aveva nessun rapporto con le buone maniere. E per altri versi aveva una certa goffaggine; quel po' di sicurezza che era in lui derivava da un giudizio ponderato, non era innata.

Certo, altri uomini erano molto più belli, anche se Matthew poteva essere messo nella categoria di quelli 'di bell'aspetto', del genere tagliato con l'accetta... Era così, rifletté: sia nell'aspetto sia nelle azioni, dava un'impressione di sicura indipendenza, ma nel comportamento privato era diverso. In privato era straordinariamente delicato, quasi debole...

Si domandò se era davvero debole. Sapeva che era profondamente turbato e sospettava che Elisabeth gli avesse dato del denaro per i suoi servigi... Matthew non era affatto a suo agio con i soldi. Lo aveva visto durante le due settimane passate insieme a New York. Gli avevano detto naturalmente di spendere tutti i soldi che gli servivano per costruire il loro rapporto - era lui che l'aveva suggerito - e tutti e due ci avevano riso sopra perché quello che facevano con i fondi del governo era in sostanza un'esibizione della verità... Sarebbe stata felice di pagare lei. Aveva pagato per altri e nessuno le era caro come Matthew Canfield. Nessuno mai le sarebbe stato più caro. Lui non apparteneva al suo mondo. Preferiva un mondo diverso, meno cosmopolita, pensò. Ma Janet Saxon Scarlett sapeva che si sarebbe adattata, se ciò voleva dire poterselo tenere.

Forse, quando tutto fosse stato finito, se doveva mai finire, avrebbero trovato una strada. Ci doveva pur essere una strada per quel giovane uomo buono, rude, tenero, che era il migliore di tutti quelli che aveva conosciuto nella sua vita. Lo amava molto, e si accorse di essere preoccupata per lui. Era una cosa straordinaria per Janet Saxon Scarlett.

Quando era tornata la sera prima alle sette, scortata da Ferguson, l'uomo di Derek, aveva trovato Canfield solo nel salotto di Elisabeth. Le era sembrato teso, irritabile, perfino arrabbiato, e non sapeva perché. Si era debolmente scusato per il suo umore e infine, senza spiegazioni, l'aveva portata fuori.

Avevano pranzato in un piccolo ristorante di Soho. Tutti e due avevano bevuto molto, e lui le aveva trasmesso la sua paura. Ma non aveva voluto dirle cosa lo preoccupava.

Erano ritornati in albergo portandosi una bottiglia di whisky.

Soli, nel silenzio, avevano fatto l'amore. Janet sapeva che Matthew era il tipo d'uomo che si aggrappava disperatamente a dei miti dai quali non voleva staccarsi per paura di precipitare.

Mentre lo osservava allo scrittoio, istintivamente comprese la verità - la temuta verità che aveva sempre sospettato dal terribile momento in cui, qualche giorno prima, lui le aveva detto: Abbiamo avuto visite. Un ospite non invitato, direi.

Quel visitatore era suo marito.

Janet si appoggiò al gomito. «Matthew?»

«Oh... Buongiorno, cara.»

«Matthew... Hai paura di lui?» Canfield sentì i muscoli dello stomaco irrigidirsi. Lei sapeva.

Ma certo, sapeva.

«Non credo che avrò paura... quando lo troverò.»

«È sempre così, vero? Si ha paura di qualcuno, o di qualcosa che non si conosce, o che non si riesce a trovare.» Gli occhi di Janet cominciavano a dolere.

«È quello che ha detto Elisabeth.» Janet si mise a sedere, tirandosi la coperta sulle spalle; e si appoggiò allo schienale del letto. Sentiva freddo e il dolore agli occhi si era fatto più forte. «Te lo ha detto lei?»

«Alla fine... Non voleva. Non le ho lasciato nessuna alternativa... Ha dovuto dirmelo.» Janet guardava fisso dritto davanti a sé, nel vuoto. «Lo sapevo» disse a bassa voce. «Sono terrorizzata.»

«È naturale... Ma non devi esserlo. Non può farti niente.»

«Come mai sei così sicuro? Non credo che lo fossi ieri notte.» La ragazza non se ne rendeva conto, ma le mani presero a tremarle.

«No, infatti... Ma solo per il puro e semplice fatto che lui esistesse... Lo spettro dannato in carne e ossa... Anche se ce l'aspettavamo, è stato un colpo. Ma ora il sole è sorto.» Prese la matita e fece un appunto sul foglio.

All'improvviso Janet Scarlett si buttò di traverso sul letto. «Oh Dio, Dio, Dio!» Seppellì la testa nel cuscino.

In un primo momento Canfield non si accorse dell'implorazione contenuta nella sua voce; Janet non aveva né gridato né invocato aiuto, e lui era tutto concentrato sui suoi appunti. Il suo pianto soffocato era di tormento, non di disperazione.

«Jan» disse lui distrattamente. «Janet!» Matthew lasciò cadere la matita e si lanciò verso il letto. «Janet! Amore, ti prego, non fare così. No, ti prego, Janet!» La cullò tra le sue braccia, facendo del suo meglio per consolarla. E poi a poco a poco la sua attenzione fu richiamata dagli occhi di lei.

Le lacrime le scorrevano a fiumi sulle guance ma lei era muta e ansimava soltanto. Ciò che lo sconvolse furono i suoi occhi.

Invece di sbattere le palpebre per le lacrime, rimanevano immobili e spalancati come se Janet fosse caduta in trance. In preda all'orrore.

Matthew la chiamò ripetutamente. «Janet... Janet... Janet, Janet...» Ma lei non rispose. Sembrava che sprofondasse sempre più giù nel terrore che si era impadronito di lei. Cominciò a gemere, da principio a bassa voce, poi sempre più forte.

«Janet! Smettila! Basta! Tesoro! Basta! Janet...» Ma lei non lo sentiva.

Anzi cercava di spingerlo via, di liberarsi di lui. Il suo corpo nudo si contorceva sul letto: le braccia sbattevano nel vuoto, colpendolo.

Matthew la tenne ancora più stretta. Per un attimo temette quasi di farle male.

All'improvviso Janet smise di dimenarsi. Gettò la testa all'indietro e parlò con una voce soffocata che non le aveva mai sentito prima.

«Va' all'inferno, maledetto... Maledetto, maledettooooo!» E quell'ultima parola, 'maledetto', crebbe fino a diventare un urlo.

Lentamente divaricò le gambe, sopra il lenzuolo, riluttante. Sussurrò con la stessa voce gutturale, soffocata: «Sei un porco! Porco! Porco! Porco!» Canfield la guardò pieno di terrore. Il suo corpo stava prendendo una posizione del rapporto sessuale, diventando rigido come l'acciaio per il terrore che l'aveva invaso e che cresceva irresistibilmente.

«Janet, per l'amor di Dio, Jan... Non fare così, non fare così... Nessuno ti toccherà! Ascoltami, tesoro!» La ragazza scoppiò in una risata isterica, orribile.

«Tu sei la carta, Ulster! Tu sei il dannato fante di... fante di...» Incrociò rapidamente le gambe, con movimento energico, una sopra l'altra, e si portò le mani a coprire i seni. «Lasciami in pace, Ulster! Ti prego, mio Dio, Ulster, lasciami in pace! Mi lascerai in pace?» Si raggomitolò su sé stessa come un neonato e cominciò a singhiozzare.

Canfield prese la coperta dal fondo del letto e la stese su Janet. Aveva paura.

Era spaventoso che lei potesse all'improvviso, di punto in bianco, diventare la riluttante puttana di Scarlett.

Ma era li, sotto i suoi occhi, e lui doveva accettarlo.

Janet aveva bisogno di aiuto. Forse molto più di quanto lui potesse offrirne. Con delicatezza le accarezzò i capelli e si stese vicino a lei.

I suoi singhiozzi si quietarono diventando un respiro profondo, mentre le si chiudevano gli occhi. Matthew sperò che si fosse addormentata, ma non ne era sicuro. L'avrebbe lasciata riposare. Così avrebbe avuto il tempo di pensare a una maniera per dirle tutto quello che doveva sapere.

Le prossime quattro settimane sarebbero state terribili per lei. Per tutti e tre.

Ma c'era un elemento in più che prima non esisteva e Canfield ne era contento. Sapeva benissimo che non avrebbe dovuto esserci, perché andava contro ogni suo istinto professionale.

Era l'odio. Il suo odio personale.

Ulster Scarlett non era più soltanto la preda inseguita in una caccia internazionale. Ora era l'uomo che Matthew Canfield aveva intenzione di uccidere.



***