III

Ad ora di vespro, un volante di monsignor Airoldi mandato a casa dell’abate Vella a portare in dono un biancomangiare e dei biscotti al sesamo, cose di cui l’abate era goloso, e monsignore frequentemente si premurava di mandargliene, trovò i due sbirri sulla soglia del portone che si crogiolavano di noia.

Domandò “E che succede?” allarmato.

“Niente succede, stiamo a pettinare il gatto” rispose uno dei due: ché ritenevano senza sugo quel far di guardia alla stalla da cui già erano stati furati i buoi.

“E l’abate?”

“Se ne sta a letto, beato lui.”

Il portone era aperto Il volante andò su, con l’intenzione di lasc1are i doni in anticamera, se l’abate davvero stava a letto. Tutte le porte erano aperte: e si sentiva, da una camera vicina, una specie di rantolo rotto da acuti singulti e parole smozzicate. L’uomo stette un momento indeciso, la guantiera in mano: non voleva commettere l’indelicatezza di entrare nella camera da letto dell’abate ma d’altra parte quei suoni gli parevano di un moribondo più che di un addormentato.

Senza lasciare la guantiera passò la soglia della camera da letto. Nella mezza luce, in fondo all’alcova, la faccia dell’abate pareva quella di un impiccato: arrovesciata sui cuscini, gli occhi bianchi senza pupille, che gli schizzavano fuori; la bocca aperta.

Il volante si avvicinò al letto, chiamò “Abate, abate Vella…” e il rantolo si fece più forte, i singulti più frequenti.

Poi venne un più coerente delirio: sui codici, sul furto, sulla gente che gli voleva male.

“Poveretto, vedi come l’hanno ridotto” mormorò il volante, poi “Abate, vengo da parte di sua eccellenza… Monsignore Airoldi, vi ricordate di monsignore Airoldi?” come ad un bambino “E mi ha mandato a portarvi questo biancomangiare, e i biscotti col sesamo che vi piacciono…”

Le pupille dell’abate affiorarono da quel bianco d’impiccato, si posarono per un momento sulla guantiera che il volante gli mostrava.

“Posala qui” disse l’abate indicando la colonnetta che aveva a lato al letto.

E riprese a delirare.

Così, prima di sera, tutta Palermo seppe che l’abate Vella stava per morire. E la notizia suscitava reazioni e giudizi contrastanti, interminabili discussioni, persino scommesse. Chi diceva che la malattia era, come il furto, una finzione, e chi invece ci credeva e faceva compianto; chi l’attribuiva allo spavento per l’impostura che stava per scoprirsi, e chi all’ingiusta persecuzione ed al furto.

Agli sbirri toccò, in serata, correre prima all’Albergaria, dove una zuffa si era accesa tra donne che, nei riguardi dell’abate Vella, avevano preso partito netto alcune a compiangerlo e altre a vituperarlo; e poi alla Kalsa, dove dei pescatori stavano sbudellandosi in pro e contro l’autenticità del Consiglio d’Egitto.

Alla Gran Conversazione, a palazzo Cesarò, le opinioni dei nobili sul caso Vella trascorrevano invece in più unanime sentimento: che era, al momento, di indignazione per il procedere del Grassellini e di sospetto nei riguardi dell’abate: ma un sospetto vago ed esitante, velato da un rispetto che apparentemente era tributato allo studioso ma in realtà al ricattatore ancora temibile, ancora saldo sugli spalti della carta stampata e del regale favore.

“Nemmeno lo sbirro è buono a fare” diceva il principe di Partanna “Gli denunciano un furto e lui va a perquisire la casa del derubato: cose da pazzi…”

“È un ruffiano, ecco che cosa è” disse il marchese di Geraci.

“Sì, senz’altro: di natura è un ruffiano… Lo faceva col paglietta: la bella festa d’addio che gli mise su!… Ha tentato di farlo col principe di Caramanico, buon’anima… Un ruffiano… Ma io mi domando: a chi regge il moccolo, stavolta?… Al canonico Gregorio? È da escludere. Al marchese Simonetti? Ma non credo che il marchese abbia interesse a sdirupare il Vella, dopo averlo tanto protetto All’arcivescovo? Ma l’arcivescovo di questa storia se ne fotte… A chi dunque?” domandava don Francesco Spuches girando intorno un vacuo sguardo.

“Forse a voi” disse il marchese di Villabianca.

“Dico a voi per dire a me, a noi, a tutti noi: alla nobiltà, msomma.. Pensate un po’ a quel che succederebbe se il Grassellini riuscisse a portar prove, prove concrete, prove sbirresche, ai sospetti del canonico Gregorio e di quell’austriaco… Come si chiama, l’austriaco?”

Hager.

“… e dell’Hager: che il Consiglio di Sicilia e il Consigtio d’Egitto sono dei falsi…”

“Impossibile” disse il Cesarò.

“E voi che ne sapete?”

“Ma uomini come monsignor Airoldi, come il principe di Torremuzza; credete che uomini come loro si siano lasciati ingannare? E il Tychsen, dove lo mettete il Tychsen?”

“Lo lascio stare dove si trova… E in quanto a monsignor Airoldi e al principe di Torremuzza: faccio tanto di cappello alla loro dottrina; ma credete che il canonico Gregorio e questo Hager siano da meno?… E del resto io sto facendo una semplice ipotesi: che i codici dell’abate Vella siano falsi… Che succede se il Grassellini da un lato e l’Hager dall’altro danno sicura prova che i codici sono falsi?”

“Una vastasata, succede: e rideranno fino a crepare anche i selvaggi delle Americhe” disse il Meli.

“Per voi c’è soltanto la faccia ridicola, in questa mia ipotesi; ma per noi c’è l’interesse, un preciso interesse… Sapete che cosa porterebbe a noi la lampante prova che i codici dell’abate Vella sono falsi?”

“Lo so: il fisco della Corona dovrebbe rinunciare a tutte quelle rivendicazioni che, col Consiglio d’Egitto alla mano, va facendo sui vostri beni…”

“Che gran figlio di… Scusate, voglio dire: certo che quest’abate Vella ha tirato a rovinarci” disse lo Spuches mutando d’un tratto sentimento nei riguardi dell’abate.

“E che cosa non ha dato alla Corona, col Consiglio d’Egitto? Spiagge, feudi, fiumi, tonnare: tutta roba che da secoli né i re né i vicerè avevano mai messo in dubbio che ci appartenesse” disse il marchese di Geraci.

“Vedete quale servizio ci renderebbe il Grassellini?” concluse il marchese di Villabianca.

“Ma chi l’ha pregato?” disse il principe di Partanna, che nemmeno nella rosea prospettiva della falsità dei codici riusciva a spegnere l’antipatia per il Grassellini “E intanto la vostra è soltanto una ipotesi: quel che c’è di certo è che il Grassellini sta facendo una soperchieria, e io quando vedo una soperchieria divento una bestia.”

“E il Consiglio d’Egitto forse che non è fonte di soperchierie?” disse il Ventimiglia.

“Queste sono considerazioni che si possono avanzare se, e quando, la falsità dei codici venisse provata… Per ora abbiamo un pover’uomo che sta morendo” disse il duca di Villafiorita.

“Un brav’uomo” disse il Ventimiglia.

“Uno studioso” disse lo Spuches.

La compassione per l’abate risorse, il malinconico ricordo delle sue qualità: come per un uomo già morto. Ma si avvertiva l’incrinatura da cui un diverso sentimento cominciava a filtrare.