43.
Nella sua semplicità, l’idolo tra le mani di Johannes Bollandus aveva un che di mostruoso. Consisteva in una croce alta poco piú di una spanna, in legno, con una figura umana inchiodata sopra. Il volto aveva le sembianze di un Cristo barbato, ma il resto del corpo era femminile, fasciato da una stretta tunica.
Dopo aver aiutato Capiferro a rimettersi in piedi, lo Svampa tornò a fissare l’obbrobrio. – E questo sarebbe…
– Non so cosa sia, – mise in chiaro il gesuita.
– Cosa intendete?
Bollandus posò il crocifisso sul ripiano del cassettone. Ogni traccia della sua giovialità era eclissata. – Quando messer Ferrante me lo consegnò, desiderava che gli dessi conferma delle sue supposizioni, ovvero che si trattasse di una rappresentazione di un dio pagano.
– Ammone? – chiese l’inquisitore.
Il segretario, pulendosi la bocca con un fazzoletto, sbuffò con scetticismo. – Credevo avesse le corna di capra. O meglio, d’ariete.
– Non necessariamente, – spiegò l’agiografo. – La sua caratteristica principale è un’altra, ovvero di essere ermafrodito. Inoltre, l’aspetto sacrilego dell’oggetto che vi ho mostrato potrebbe forse attribuirsi a un sincretismo maturato in seno a un circolo cristiano-gnostico. L’Oriente trabocca di questo genere di sovrapposizioni magico-cultuali. Per dirne una, la fusione tra le figure dell’arcangelo Michele e del dio Anubi… – S’interruppe un istante, scrutando le espressioni dei due domenicani. – Io però, all’inizio, proposi al cavaliere di Santo Stefano una spiegazione diversa.
– Ovvero?
– Che si trattasse di Vilgefortis.
– Un’altra divinità pagana?
Bollandus scosse il capo. – Come vi ho accennato poc’anzi, sono uno studioso di santi. Santi dei tempi antichi, per l’esattezza. Il mio mestiere è rintracciare le testimonianze dei loro mirabilia tra cumuli di vecchie pergamene custodite nelle biblioteche di mezzo mondo… Ebbene, Vilgefortis è una martire vissuta prima dell’anno Mille. Figlia di un re che la promise in sposa a un principe pagano, nutrí una fede cosí sincera in Cristo che pregò il Signore di preservarla nella castità. E fu cosí che, il giorno prima delle nozze, la principessa si risvegliò da un lungo sonno con il viso coperto da una barba fluente che le dava l’aspetto di un uomo. Il modo in cui la provvidenza, in sostanza, venne in suo soccorso per preservarla. Il pretendente infatti la ripudiò e il padre, in preda all’ira, la fece crocifiggere.
Capiferro era impressionato. – Ora che conosco la storia, – ammise, – riesco a guardare quel feticcio con meno ribrezzo.
– Fino a due giorni fa propendevo in toto per questa versione, – continuò Bollandus. – Ero persuaso che messer Ferrante avesse portato dall’Oriente una statuetta devozionale di Vilgefortis e, consultati i miei appunti, attendevo d’incontrarlo di nuovo per spiegarglielo, dissuadendolo cosí delle sue ossessioni –. Sorrise amaro. – Ma inizio a credere che il cavaliere di Santo Stefano avesse ragione.
Vincendo il disgusto, lo Svampa prese in mano l’ermafrodito crocifisso. – Dunque anche voi sareste convinto che…
– Che questo sia Ammone, sí, – confessò il gesuita. – Proprio come sostenevano messer Ferrante e monsignor Gonzaga.
L’inquisitore ripose immediatamente l’idolo. – Avete detto Gonzaga?
– Monsignor Alfonso Gonzaga, sí. Sua grazia il vescovo di Rodi.
Lo Svampa sentí un’ondata di stupore salire dal petto fino alle tempie. Si sforzò di nasconderla, a costo di digrignare i denti con una smorfia arcigna. – Vescovo in partibus, – ribatté, lanciando una frecciata diretta a Capiferro.
– Immagino di sí, – commentò Bollandus, disorientato dal suo mutamento d’espressione.
L’inquisitore non gli concesse requie. – Quale nesso esisteva tra messer Ferrante e il vescovo Gonzaga?
– Da quel che so giunsero al porto di Roma a bordo dello stesso veliero, – gli rispose. – Ferrante Cattaneo, insieme ai pochi cavalieri di Santo Stefano sopravvissuti alla sconfitta di Negroponte, fu soccorso dall’imbarcazione del vescovo che proprio in quel momento stava solcando i flutti verso Occidente. Un intervento della provvidenza, oserei asserire. Ma messer Ferrante non amava soffermarsi sui dettagli e si limitò a dirmi che, durante la navigazione, entrò in confidenza con monsignor Gonzaga. Al punto da raccontargli tutto sull’idolo e sul suo proposito di scovare e debellare il culto di Ammone radicato a Roma.
– Se affermate il vero, – tirò le somme lo Svampa, – il vescovo di Rodi potrebbe aver giocato un ruolo negli eventi che portarono alla morte il cavaliere di Santo Stefano.
– Non dite baggianate! – proruppe Capiferro. – Il vescovo di Rodi è giunto a Roma per ricevere la porpora cardinalizia, non certo per invischiarsi negli affari di un cavaliere di Santo Stefano pescato dal mare prima che andasse alla deriva.
– Tacete! – lo fulminò l’inquisitore. – Indago su questo delitto da nemmeno una settimana e non faccio altro che imbattermi nel nome dei Gonzaga. Mi rifiuto di credere che si tratti di una coincidenza! E pure di credere che voi, monsignor Ridolfi e quell’impicciona di donna Basile siate stati completamente sinceri al riguardo.
Il segretario glissò con una risata nervosa. – La volete smettere di esprimervi a suon di dichiarazioni di guerra?
– È assai difficile, – gli rinfacciò con asprezza fra’ Girolamo, – dal momento che per ben due volte ho rischiato la pelle.
– Be’, la prima vi siete salvato grazie a me. Perciò fidatevi.
– Mi fido soltanto del mio raziocinio, – chiuse la discussione lo Svampa, per poi tornare al gesuita. – E voi, – disse ancora alterato, – cos’altro sapreste su messer Ferrante e sul vescovo di Rodi?
– Su loro poco e nulla… – si affrettò a rispondere Bollandus. – Ma sulla grotta…
– Quale grotta?
L’agiografo si adombrò. – Si tratta del motivo per cui ho sposato le convinzioni di messer Ferrante sul culto di Ammone. Non solo riguardo il crocifisso dell’ermafrodito, ma anche sul fatto che un culto degenere abbia raggiunto l’Urbe. Due giorni or sono, mentre stavo per concludere le ricerche sull’idolo, ho trovato la mappa che conduce a un luogo segreto. Un luogo molto antico, ma che reca tracce di una frequentazione assai recente. Io l’ho visto, ho seguito il sotterraneo e…
– E…? – lo spronò Capiferro, che non stava piú nella pelle.
– Non ci sono parole per descriverlo, – affermò Bollandus, tradendo una punta di spavento. – Dovreste visitarlo e… giudicare di persona.