56.

Villa Giulia.

La forma a imbuto della ghiacciaia si stringeva grigia intorno ai tre catafalchi. Sopra il primo, il cadavere di Ferrante Cattaneo era stato coperto da un sudario per trattenere i miasmi della decomposizione. Le livide nudità di Antonio Maria Berti e di Antonaccio si stagliavano invece al bagliore dei lumi.

Diviso tra il senso di disgusto e la stanchezza per la notte insonne, lo Svampa avvicinò la lente d’ingrandimento all’inguine del lenone per verificare se l’escrescenza violacea all’altezza delle pudenda somigliasse a quelle trovate sulle altre due vittime. Capiferro, Cagnolo e mastro Zacchia aspettavano trepidanti il suo responso.

– Non c’è dubbio, – concluse l’inquisitore, indicando la coppia di forellini al centro del bubbone. – Anche quest’uomo è stato ucciso dal punctum diabolicum.

– Ma… – obiettò il chirurgo. – Quale nesso ci sarebbe con gli altri due decessi? Quel mentecatto non era certo un cavaliere di Santo Stefano.

– Forse, – suppose lo Svampa, – rappresentava un intralcio per l’assassino.

– Alludete alla donna mascherata? – chiese il segretario.

Annuí. – Tutto parrebbe risalire a lei, la misteriosa femmina incontrata dai compagni d’arme di messer Ferrante e ancor prima da padre Bollandus. Il lenone le ha causato un contrattempo e l’unico modo di liberarsene è stato attirarlo fuori dall’osteria e ucciderlo.

– Con un maleficio, – chiosò il confratello.

– Restate con i piedi per terra, – lo ammoní il commissarius. – Non abbiamo prove che si tratti di stregoneria.

– E cos’altro potrebbe cagionare una ferita del genere? – insistette Capiferro, puntando un dito verso il bubbone.

Lo Svampa rievocò l’immagine del compasso da carteggio scorto sul tavolo della sala nautica. Era sicuro che se ne avesse accostato le punte gemelle al doppio foro praticato nella carne delle vittime sarebbe combaciato alla perfezione. D’altra parte, meditò, restava da capire se fosse possibile uccidere un essere umano con un ordigno del genere. Si allontanò dal corpo e consegnò la lente a mastro Zacchia. – Ancora non lo so, – rispose laconico.

– E forse mai lo saprete, – puntualizzò Capiferro.

– Cosa intendete?

– Che potrebbe trattarsi di qualcosa di inconoscibile. Di sovrumano.

– A dispetto della vostra sapienza, – gli rise in faccia, – non perdete occasione di esprimervi alla guisa di un chierichetto superstizioso.

– Negate forse l’esistenza del soprannaturale?

All’improvviso lo Svampa si rese conto d’aver osato troppo. Quelle ultime parole gli erano state rivolte con un velato tono d’accusa e la risposta non avrebbe potuto essere pronunciata alla leggera. Capiferro era sí un amico e un compagno d’avventura, ma era ancor prima un difensore dei dogmi di Santa Romana Chiesa. Avrebbe continuato a torchiarlo fino a constatare la sua buonafede. O a portare alla luce il germe nascosto di un’eresia. Gli si pose dunque di fronte con aria di sfida. – E voi sapreste confermarla?

– Attraverso i miracoli, sí, – rispose il segretario, combattivo. – I miracoli operati dai santi per volere della divina provvidenza.

– E se i miracoli fossero dei fenomeni naturali che ancora sfuggono alla nostra comprensione? – propose l’inquisitore, esprimendosi in forma ipotetica. – Se Dio operasse non sovvertendo l’ordine delle cose da lui stesso creato, ma servendosene attraverso vie invisibili, misteriose ma non necessariamente inconoscibili?

– Se fosse vero, – replicò con prontezza il segretario, – qualsiasi prodigio che sovvertisse l’ordine naturale delle cose, anche se all’apparenza volto al bene, sarebbe opera non di Dio ma di Satana e… Oh, accidenti a voi! – sbottò all’improvviso. – L’avete fatto di proposito, vero? Mi avete fatto arrotolare la lingua intorno a un sillogismo aristotelico!

– Sarebbe opera di Satana, – riprese il suo discorso lo Svampa. – Di Satana o di un individuo tanto subdolo e acuto da riuscire a far passare per soprannaturale quel che in realtà è mero frutto dell’umano ingegno.

Capiferro lo scrutò basito. – Dove intendete parare, di preciso?

Senza dargli tempo di riflettere, il commissarius tese verso di lui il palmo della mano. – Mostratemi i vaselli che avete trovato nel monastero sotterraneo, – ordinò. – Orsú, non fatevi pregare. So bene che li avete portati con voi.

– Eccoli, eccoli, – bofonchiò Capiferro, estraendoli da sotto la cappa.

– Li avete aperti? – volle sincerarsi lo Svampa.

– Soltanto una sbirciata, a onor del vero. In questo frenetico avvicendarsi di eventi…

– Bene, è ora di farlo, – e invitò mastro Zacchia ad avvicinarsi. – Perché a meno che questi piccoli vasi non contengano degli spiriti maligni o dello zolfo d’inferno, potrebbero offrirci la chiave per comprendere l’ingegno malefico, ma molto umano, di cui ho appena accennato.