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«Oh, e ho trovato delle fantastiche mazze da golf antiche in un negozietto, oggi, Robbie».

«Uh-huh…». Roberta si strofinò il sapone sulle mani, con il cellulare schiacciato tra l’orecchio e la spalla. «Ma sei sicura di avere bisogno di altre mazze da golf?»

«Non sono per giocarci, sono decorative. Sei mazze in una bellissima sacca di cuoio e tela, con tanto di piedistallo. Potrei metterla in soggiorno, accanto al…».

Il resto del discorso fu fagocitato dal ruggito dell’asciugamani elettrico.

«…Per cena?»

«Sì, credo di sì». Roberta si tirò su i pantaloni. «Lo sai che i pantaloni mi stanno molto più larghi di prima? Devo aver perso peso. Sì, sto deperendo perché non mi nutri abbastanza».

«Non stai deperendo. E smettila di chiamarmi quando sei in bagno, non è igienico».

«Ah, be’, sarà meglio tornare al lavoro. Ho un idiota che mi aspetta». Attaccò e uscì dal bagno delle donne. «Ed eccolo».

Ciuffo era appoggiato contro il muro, all’esterno, e sembrava annoiato. Poverino.

Dio solo sapeva cosa ci trovasse in lui quell’agente dei crimini contro gli animali. Quel viso affilato con ancora qualche traccia di vernice rossa nelle piccole rughe; e l’ombra sporca dell’occhio nero. E quell’aria perennemente imbronciata.

Esalò uno di quei suoi sospiri da adolescente. «Possiamo andare, adesso?»

«Ehi, quando la natura chiama, non le puoi dire di lasciare un messaggio. A volte, devi proprio… Oh, per l’amor del cielo».

Il nervosissimo agente ragazzino del giorno prima, quello che faceva le commissioni per l’ispettore capo Bastardo Rutherford, scese di corsa le scale e si fermò di colpo davanti a lei. Annaspando e sbuffando come un bollitore rotto. Aveva il viso rosso e umido di sudore. «Se… sergente?»

«Di nuovo tu?».

L’agente Nervi si afferrò alla ringhiera delle scale per mantenere l’equilibrio. «Sergente… l’ispettore capo… l’ispettore capo Rutherford vi vuole… entrambi nel suo ufficio».

«Ho da fare».

«È stato… molto specifico… al riguardo… ha detto… subito».

Lei strinse gli occhi e lo pungolò. «Inizi davvero a farmi saltare i nervi, tu».

 

Rutherford se ne stava in piedi dietro alla scrivania, con le spalle rivolte verso la stanza e le mani dietro la schiena, a guardare fuori dalla finestra del suo ufficio. Come se stesse osservando una parata nel parcheggio sul retro dell’edificio, sei piani più in basso. Non si mosse, mentre Roberta entrava. Non disse una sola parola. Tronfio idiota.

Ma Rutherford non era da solo nella stanza.

Sid Sibilo era seduto, dritto come la moglie di un vicario, in una delle sedie davanti alla scrivania. Le lanciò uno sguardo deluso, scuotendo piano la testa.

L’ispettore Vine era sull’altra sedia. E sembrava furioso. «Era ora».

Alle sue spalle, Ciuffo imprecò a bassa voce tra i denti.

E quel povero sciocco non aveva neanche torto: era finita, ormai erano morti. Sid Sibilo non si sarebbe presentato lì, con il suo bel completo e la sua borsa di pelle, se Jack Bastardo Stupratore Wallace non avesse sporto un altro reclamo. E ora Rutherford avrebbe tenuto fede alla sua parola, e Roberta e Ciuffo sarebbero stati messi davanti al plotone d’esecuzione. Aveva dato loro un’ultima possibilità, ma ormai erano morti. Morti, rovinati, fottuti, distrutti, devastati, massacrati, e del tutto, completamente morti.

Non significava, comunque, che se ne sarebbe andata senza lottare.

Tirò su con il naso. Rivolse un cenno a Sid Sibilo. «Sarà una di quelle riunioni, eh?»

«Sergente Steel». Rutherford continuò a guardare fuori dalla finestra, ma ci si sarebbe potuti depilare le gambe con la sua voce. E congelarsele pure, nel frattempo. «Il signor Moir-Farquharson mi ha detto che lei è tornata fuori dalla casa di Jack Wallace. quando io le avevo ordinato specificamente di non farlo!».

Quelle parole riecheggiarono nella stanza, rimbalzando su schedari e lavagne magnetiche prima di disperdersi.

Ciuffo si leccò le labbra e arretrò verso la porta. «Forse io dovrei…».

«Oh, no, neanche per sogno: tu resti dove sei!». Rutherford sciolse le mani, stringendole a pugno. «Sergente Steel, cosa le avevo promesso che sarebbe successo, se avesse commesso un’altra infrazione? Che avrei ritenuto responsabile delle sue azioni l’agente Quirrel. Ebbene, congratulazioni».

Lei sollevò il mento, con le spalle dritte. «Qualunque cosa abbia detto Jack Wallace, è uno stronzo bugiardo».

Sid Sibilo sospirò. «A dire il vero, questa volta il signor Wallace ha le prove. Una serie di foto della sua auto parcheggiata fuori dalla sua proprietà, in non meno di una dozzina di occasioni».

«No, mi spiace, non le credo. Sono sicuramente finte».

Rutherford si girò, a quelle parole, con il volto cupo e tremante. «Per l’amor del cielo, sergente, lei non è il presidente degli Stati Uniti; non può dire che tutto quello che la incrimina è falso!». Poi tese la mano. «Signor Moir-Farquharson?».

Sid Sibilo infilò una mano nella valigetta e tirò fuori lo stesso portatile sottile dell’ultima volta. Lo posò sulla scrivania e lo aprì. Premette qualche tasto.

Sullo schermo comparve una foto della sua mx-5, parcheggiata sotto gli alberi all’esterno della casa di Wallace, con i colori offuscati dall’oscurità. Un clic. Un’altra foto in notturna: la sua auto, parcheggiata a un paio di case di distanza. Un clic. Ed eccola, appoggiata contro uno di quegli alberi, con una nuvola di vapore illuminata da un lampione, mentre fumava la sua sigaretta elettronica. Un clic. Ancora la sua auto, con il viso di Roberta visibile attraverso il parabrezza bagnato di pioggia, mentre fissava la casa.

Sid Sibilo sospirò. «E, ultima ma non meno importante…». Un clic. In quell’ultima foto, stava rovistando nel bidone dell’immondizia di Wallace, con una torcia stretta tra i denti.

Merda. Aveva davvero delle foto.

Rutherford posò i pugni sulla scrivania. Incombendo sul portatile. «Ebbene?»

«So che sembrano incriminanti, ma…».

«Sembrano? Che cosa le avevo detto?»

«Stavo seguendo un’indagine, e…».

«le avevo ordinato di stare lontana da lui!».

All’esterno, una sirena prese a ululare, e sparì in lontananza.

Il suono di un telefono che squillava filtrò fino a loro dall’ufficio accanto.

Ciuffo si spostò da un piede all’altro. «Ehm… posso…?». Indicò il portatile.

Vine si girò a guardarlo. «Cosa?»

«Ecco, non ho potuto fare a meno di notare che il sergente Steel indossa una camicia verde e il suo completo blu, in quell’ultima foto».

«Questa non è una sfilata di moda, agente, e non siamo qui per sentire i suoi consigli sugli abbinamenti di colore!».

«No, sì, voglio dire, abbiamo portato quel completo in tintoria due settimane fa, perché George Scabbia ci aveva vomitato sopra quando l’abbiamo arrestato per aver fatto pipì dall’ultimo piano del parcheggio di Chapel Street. E non l’ha ancora riavuto indietro». Avanzò lentamente e indicò di nuovo il portatile. «Quindi, posso…?».

Sid Sibilo si strinse nelle spalle. «Non ho obiezioni».

Ciuffò armeggiò con il touchpad.

Rutherford fissò Roberta. «È vero, sergente Steel?»

«La storia di George Scabbia? Oh, sì. Si era scolato una bottiglia di sidro forte da due litri, mettendoci una mattinata intera. Ha detto che se la società sentiva di essere in diritto di pisciargli addosso dalla mattina alla sera, gli sembrava giusto ricambiare».

Ciuffo sollevò una mano. «Ecco. Guardate». Si scostò dallo schermo. Aveva aperto una finestra con le informazioni sui file, adesso. «Le date di creazione delle foto risalgono a diverse settimane fa. Queste foto non sono recenti».

Ooh, adorabile piccoletto salvatore.

Roberta sorrise. «Quindi, non potete accusarci di nulla».

«Prego?». Vine puntò il dito contro il bracciolo della sedia. «Questo non cambia assolutamente i fatti».

«Oh, invece sì. Queste foto sono state tutte scattate prima della nostra deliziosa riunione di ieri».

«Lei stava molestando Jack Wallace!».

Quell’idiota di Vine non stava capendo nulla, a quanto pareva.

Riprovaci, con più calma. «Ha scattato quelle foto molto tempo fa, dico bene? Poi è venuto qui ieri e mi ha perdonato tutto, ricorda? Ricorda che mi ha perdonato tutto? Durante la riunione? Era presente o no?». Poi si girò e scattò sull’attenti davanti all’ispettore capo Rutherford. «Lei mi ha ordinato di lasciar perdere, signore, ed è quello che ho fatto!». Ci mise perfino un saluto militare, per buona misura.

Rutherford la guardò, accigliato, per qualche secondo, piegando la testa di lato. Poi annuì. «Molto bene. Dunque, signor Moir-Farquharson, perché il suo cliente ci fa vedere queste foto adesso?».

Lei sbatté i tacchi insieme. «Posso rispondere io a questa domanda, signore. È perché è una merda che cerca di agitare le acque».

Sulle labbra di Moir-Farquharson comparve un breve sorriso, che l’avvocato si affrettò a sopprimere.

«Capisco». Rutherford si abbandonò sulla sedia. «Quindi, non sta più sorvegliando la casa di Jack Wallace?»

«E disobbedire a un suo ordine diretto, capo? Non me lo sognerei neppure».

 

L’ispettore Vine era sulle scale, e la guardò male mentre le porte dell’ascensore si chiudevano.

Roberta gli rivolse un cenno di saluto e un occhiolino prima che sparisse.

Miserabile stronzo leccaculo.

La cabina non era di certo così grande. Ma quando ci si ficcavano dentro un ispettore capo, un avvocato penalista molto costoso, un sergente sexy, e un’adorabile stellina a forma di Ciuffo, somigliava più che altro a una bara che andava su e giù.

Nessuno disse nulla, se ne rimasero lì in un imbarazzato silenzio, cercando di non strusciarsi tra loro per non rischiare che l’imbarazzo crescesse ulteriormente.

Roberta si spostò verso Ciuffo e gli sussurrò all’orecchio: «Speriamo che nessuno scorreggi!».

Lo sguardo che lui le rivolse fu già piuttosto gratificante.

 

Le porte dell’ascensore si aprirono con un tintinnio, e tutti si riversarono fuori come il contenuto di un brufolo schiacciato.

Rutherford si girò a stringere la mano a Sid Sibilo. «Molto bene, la lascio con il sergente Steel, che la accompagnerà all’uscita». Si allontanò, con le braccia che ondeggiavano ai fianchi e la schiena rigida. Dest’, sinistr’, sinistr’ dest’ sinistr’.

Non appena fu abbastanza lontano, Roberta piantò l’indice sul petto di Sid Sibilo, contro la camicia immacolata. «Grazie tante per questo, eh».

Lui si spolverò la camicia, stirando il segno lasciato dal dito di Roberta. «Niente di personale, sergente, te l’assicuro. Il mio cliente mi ha chiesto di presentare quelle foto alla polizia, e io l’ho fatto».

Ciuffo armeggiò con la tastierina numerica e tenne le porte aperte per loro.

Lei gli mollò una pacca sulla schiena, mentre lo superava. «Metti su il tè. Ti sei guadagnato un biscotto ripieno».

Lui riuscì a tirare fuori un piccolo sorriso. «Sì, sergente». Poi si allontanò.

Un vecchietto in tuta e felpa con il cappuccio era afflosciato su una delle sedie di plastica della reception. A parte lui, il luogo era vuoto.

«Non ti pare di essere un po’ troppo in alto per fare il fattorino, Sandy?».

Lui la seguì oltre il logo della Polizia di Scozia incastonato nelle piastrelle del pavimento. «Grazie al cielo, i soci del signor Wallace sono molto generosi. E, in tutta sincerità, ogni tanto mi piace fare una passeggiata, in un giorno di sole».

«Generosi…». Lei si fermò, con una mano sul pulsante “disattivato” per aprire la porta d’ingresso. Aggrottò la fronte. «Che intendevi, quando hai detto che i miei amici mi sono venuti in aiuto e così anche i suoi?»

«Ho detto questo? Oh, be’, interessante».

«Sandy!».

Non ci fu risposta.

«Mi hai confessato di aver accettato di difendermi senza chiedere nulla in cambio a causa di tutti quegli assassini e stupratori che avevi fatto uscire!».

«È stata una piccola bugia. L’individuo che ha coperto le tue spese legali non voleva che si sapesse il suo nome».

Oh, al diavolo.

Roberta arretrò di un passo. «Non era una persona losca, vero? Non so, un rapinatore o uno spacciatore di droga?»

«No, anzi, tutto il contrario. Ma temeva che se avessi saputo il suo nome, avresti rifiutato il mio aiuto».

«Sì, perché secondo te sarei stata così stupida da rifiutarlo?». Premette il pulsante e le porte si aprirono. Lei attivò la sigaretta elettronica e uscì, sbuffando vapore e ficcando le mani in tasca. Il sapore sarebbe dovuto essere “mandarino e guava”, ma sembrava più che alto Fanta. «Dopo che quel traditore ipocrita sacco di merda mi ha consegnato agli Affari Interni, avevo bisogno di tutto l’aiuto che potessi…».

A quel punto, fissò Sid Sibilo.

Lui le rispose con un calmo sorriso. Poi inarcò un sopracciglio.

Non poteva essere… non era possibile!

«No, no, no, no, no. Mi stai prendendo per il culo. Non può essere andata così!».

«L’ispettore McRae riteneva che i sentimenti che provavi per lui avrebbero finito per offuscare il tuo giudizio. Aveva perso da poco una persona cara, ed ereditato una grossa somma di denaro. È stato così che ha potuto coprire le tue spese legali».

«Oh, per l’amor del cielo!».

 

Ciuffo aprì la porta dell’ufficio del cid e fece capolino all’interno. La Lund, Harmsworth e Barrett dovevano essersi allontanati per il pranzo, perché c’era soltanto la Steel, all’interno, seduta con i piedi sulla scrivania e intenta a guardare con aria cupa fuori dalla finestra.

Altri quattro peni erano comparsi accanto al primo sulla lavagna magnetica, ma apparivano tristi e delusi. Uccelli spompati che non sembravano volersi impegnare.

Un po’ come la Steel.

«Sergente?».

Lei continuò a guardare fuori, accigliata. «Ti è mai capitato di sentirti come se qualcuno avesse tirato via di colpo la tovaglia, ma invece di rimanere fermi sulla tavola, bicchieri e piatti fossero caduti tutti?».

Molto profondo.

«Non immaginerà mai chi c’è qui sotto».

«È stato McRae. Quando la sua ragazza è morta, l’assicurazione sulla vita deve avergli consegnato un’ingente somma di denaro. Ed è così che ha potuto pagare Sid Sibilo per difendermi».

«Visto? Glielo dicevo io che è una brava persona».

Lei fece una smorfia che rese ancora più profonde le rughe intorno alle sue labbra piegate all’ingiù. «Guarda che non avrei mai avuto bisogno di un avvocato così viscido e costoso, se McRae non mi avesse fottuto all’inizio!».

Ecco, quello era lo spirito.

«Comunque, qui sotto c’è la vicina della signora Galloway, quella con il bambino piccolo».

La Steel tornò a guardare fuori dalla finestra. «Ma per quale motivo fottermi e poi pagare una fortuna perché Sid Sibilo mi tirasse fuori dai guai? Non ha alcun senso…».

«Vuole fare un esposto».

«Gah…». La Steel rovesciò la testa all’indietro. Si coprì il viso con le mani e gemette. Poi sospirò. «Certo che vuole farlo, perché è così che funziona questo orrendo lavoro. Nessuno ci aiuta e tutti si lamentano». Grugnì e si alzò, con le spalle curve e afflosciate. «Meglio togliersi subito il dente».

 

Uno strano odore di spaghetti cinesi in scatola riempiva la reception. Forse c’era sempre stato? O forse era arrivato lì insieme alla vicina della signora Galloway? La donna era seduta con le spalle alla porta, con una tuta della afc un po’ troppo sgargiante e lucida per non essere un’imitazione. Il figlioletto era sulla sedia accanto, intento a disegnare cerchi irregolari rossi e verdi su un foglio di carta.

La Steel si lasciò cadere sulla sedia di fronte a quella della donna e sospirò. «Mi è stato detto che vuole fare una denuncia».

Ciuffo tirò fuori il taccuino.

Lei annuì, facendo ondeggiare la coda di cavallo. «Sì». Prese un respiro profondo ed esclamò tutto d’un fiato: «Ho visto Phil Innes prendere a calci la porta della signora Galloway. È stato lui ad aggredirla. Ho sentito tutto».

Ciuffo inarcò le sopracciglia, rivolgendo un enorme sorriso alla Steel.

«Cos…? Lui…?».

La donna incrociò le braccia, e sembrò quasi che delle scintille di elettricità statica danzassero sulle maniche lucide della tuta. «Ebbene? Ora lo arresterete?».

Ciuffo picchiettò con la penna sul taccuino. «Cominciamo dall’inizio, vuole?».

Dopotutto, era un buon modo per cominciare.

 

«…E poi all’Ufficio dello sceriffo». La Steel si sfregò le mani come il signor Burns de I Simpson. «Voglio un mandato di perquisizione, per passare attraverso la casa di Philip Innes come un chilo di lassativi».

Ciuffo le rivolse un rapido saluto militare. «Sì, capitano, mio capitano».

Lei si girò per andarsene, ma Big Gary sbucò dal corridoio, diretto verso di loro.

«Ehi! Dove pensate di andare?»

«A fare del vero lavoro di polizia, Gary. Non so se te lo ricordi, ma…».

Lui gonfiò il petto, diventando ancora più enorme. «Non finché non avrete visto il mucchio di persone che affolla la mia povera reception. Assolutamente no». Puntò l’indice verso la porta con il tastierino numerico.

Dall’altra parte del vetro antiproiettile, la reception era gremita. Venti, forse trenta persone affollavano le file di sedie, giravano per il luogo e osservavano i poster della gente scomparsa.

«E, prima che me lo chieda: sì, sono tutti qui per vedere lei».

Ciuffo si avvicinò al vetro. «Wow. Sembra che mezza Cairnhill Court si sia presentata qui!».

Inserì il codice nel tastierino numerico e tenne la porta aperta per la Steel e Gary. Li seguì, lasciando che la porta si richiudesse alle sue spalle.

Un vecchietto si alzò a fatica dalla sedia e agitò il bastone contro di loro. «Voglio denunciare Philip Fottuto Innes. Non gli avevo restituito venti sterline e mi ha distrutto il televisore!».

Una giovane donna si fece avanti, con dei jeans troppo attillati e una T-shirt esageratamente stretta per la sua stazza. «Phil Innes ha molestato mia madre per via di un prestito. E ha cinquantatré anni!».

Una donna con i capelli ricci, le borse sotto agli occhi e due mocciosetti al guinzaglio dichiarò: «Ha picchiato a sangue mio marito».

La Steel sollevò le mani, a bocca spalancata. Sbatté le palpebre un paio di volte, poi esordì: «C’è qualcuno che non vuole denunciare Philip Innes?».

Nessuno.

Lei si piegò verso Ciuffo e sussurrò: «Avremo bisogno di una barca più grande».