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Un applauso si levò dal tavolo d’angolo, quando la Steel e Ciuffo entrarono nel Flare and Futtrit. La Lund e Barrett erano in piedi, intenti a urlare e fischiare allegramente nei loro vestiti presi in prestito dall’ufficio Standard Commerciali.

Harmsworth restò seduto e applaudì lentamente. «Era ora!».

Il jukebox riempiva di note di classici una sala che probabilmente era stata alla moda più o meno ai tempi dei capelli cotonati e delle spalline enormi. Forme astratte fatte di neon dai colori pastello scintillavano intorno alla tappezzeria a scacchi grigi. E c’era una moquette che non avrebbe sfigurato sui sedili di un autobus.

Un vasto assortimento di vassoi copriva il tavolo: fritti, sandwich, patatine, rustici, tartine, altri fritti, piccoli pasticci di maiale, e altri fritti ancora.

Barrett alzò verso di loro una mezza pinta di birra scura, come in un brindisi. «Hanno detto che ci faranno anche le patate fritte. Vi vanno?».

La Lund strillò di entusiasmo e buttò giù un bicchierino di qualcosa. «Patate fritte!».

«Ora, se non vi dispiace», intervenne Harmsworth, rimuovendo la pellicola da uno dei vassoi, «possiamo finalmente cominciare? Perché io sto morendo di fame…».

«Ehi!». La Steel gli lanciò un sottobicchiere. «Non così in fretta, ingordo. Ho qualcosa da dire, prima».

Lui si afflosciò sulla sedia e si coprì il viso con le mani. «Argh, per quanto ancora vorrà torturarci?»

«Ascoltatemi, ragazzi: oggi siamo stati molto bravi… o meglio, io e Ciuffo siamo stati molto bravi a rincorrere e fermare due trattori che sparavano merda, mentre voi ve ne stavate lì a gocciolare come calzini di ricambio in un’orgia. Ma la cosa importante è questa: abbiamo evitato una rivolta». Li guardò tutti, severa. «Il sovrintendente capo Campbell, l’ispettore capo Rutherford, l’ispettore Vine… loro pensano che siamo solo degli idioti. Che possono tenerci lontani dai guai facendoci perdere tempo con degli stupidi telefoni rubati. Che non possiamo occuparci di cose più importanti. Be’, sapete cosa? Al diavolo. Al diavolo tutti loro, ecco cosa!».

Sì, be’… se voleva essere un discorso esaltante, non stava funzionando.

«Siamo degli ottimi poliziotti. Siamo i migliori. Nessuno ha poliziotti migliori di quelli che ho io nel mio team! E non permetteremo loro di trattarci ancora come gli scemi del villaggio. Finché dei bastardi stupratori come Jack Wallace continueranno a girare a piede libero, noi saremo quelli che li fermeranno. Noi saremo quelli che lo arresteranno prima che possa fare del male a qualcun altro. E se l’ispettore capo Furbonzo Rutherford pensa che torneremo a occuparci di dannati telefoni da restituire, può ficcarseli tutti nel suo culo da fottizìo!». Sbatté il pugno sul tavolo. «Non sono entrata in polizia per fare l’aiutante di Babbo Natale nel suo ufficio degli oggetti smarriti, e voi?».

Barrett scosse la testa. Harmsworth grugnì. La Lund sollevò il mento in aria: «Al diavolo, no!».

«Faremo la dannata differenza, vero?».

La risposta fu un tantino più entusiastica, questa volta. Borbottii cupi e cenni d’assenso da parte di tutti.

«Dimostreremo a quelle scimmieinculo che cosa sanno fare i veri poliziotti!».

«Sì!».

Adesso erano tutti in piedi.

«Jack Wallace non la passerà più liscia. Lo troveremo in mezzo ai cespugli! Lo troveremo nei locali notturni. Lo troveremo per le strade e non ci arrenderemo mai!».

La Lund lanciò un potente: «whoooo!».

Barrett applaudì con forza. «Giusto!».

Ciuffo sollevò un pugno in aria. «Assolutamente sì!».

«Urrà, eccetera eccetera». Harmsworth tornò a sedersi. «Ora possiamo mangiare?»

«Oh, d’accordo, brutto traditore». La Steel si fregò le mani. «Allora, chi ha la cassa? La zia Roberta ha una certa sete, stasera».

 

Ciuffo si piantò un dito nell’orecchio e si spostò dall’altro lato della sala, accanto al tavolo da biliardo. Cercò di usare un tono pacato e sobrio. Niente voce impastata da ubriaco. No, no e poi no. «Mi chiedevo quali fossero i tuoi programmi per domani».

Il jukebox suonava un lento, e la Lund era in piedi e ballava da sola. Agitandosi e facendo cose con le mani che andavano vicine all’oscenità, senza tuttavia passare il confine.

«Domani?». L’agente Mackintosh sembrò esitare per un attimo, come se non fosse sicura di cosa fosse il “domani”, o perché uno strano tipo l’avesse chiamata per chiederglielo.

«Sono l’agente Quirrel, comunque. Ricordi? Quello del crematorio».

«Sì, lo so. Me l’hai già detto tre volte».

«Scusami. Non sono ubriaco, stiamo solo festeggiando un po’. Per quella storia dei trattori». Stava rovinando tutto. Sì, stava davvero rovinando tutto. Interrompere la missione. interrompere la missione! «Scusami, non avrei dovuto chiamarti. Io… scusa».

«Devo andare a trovare mia madre, domani, fino alle cinque. E poi farò il bucato. Se ti va, potresti venire ad aiutarmi a piegarlo».

Ciuffo si sentì allargare il cuore nel petto. «Oh, bene. Sì, mi piacerebbe. Sì. Bene».

«Ottimo. Porta del vino». Ci fu una piccola pausa. «Come te la cavi a stirare?».

 

Non erano affatto male, in realtà. I suoi ragazzi. I suoi compari. I suoi scagnozzi. E una scagnozza. Roberta sorrise, mentre Barrett posava un bicchierino pieno davanti a ognuno di loro. Perfino Harmsworth non era così male, quando lo si conosceva un po’ meglio. Sempre che non ci si dovesse passare troppo tempo, con quel vecchio brontolone sempre pronto a lamentarsi. E sempre che gli si potesse dire di andare a deprimersi da un’altra parte.

«Okay», Barrett bussò sul tavolo, «al tre. Non tre e poi via, al tre. Okay? Okay». Il suo sorriso cominciava a tremare un po’ agli angoli, e anche i suoi occhi. «Uno. Due. Tre!».

Afferrarono tutti un bicchiere e lo svuotarono. Per poi sbatterlo di nuovo sul tavolo.

Quel sapore floreale e chimico le si fece strada nel petto, con il respiro che si trasformava in una perdita di gas che aspettava soltanto il proverbiale fiammifero. «Ohhhh!».

La Lund sbatté i palmi sul tavolo. «Altra tequila!».

«Avete sentito la signora». Barrett pescò un mucchietto di monete da una busta richiudibile. «Avanti, coraggio: venti sterline ciascuno per la cassa».

Perché, a essere onesti, duecentocinquanta sterline non potevano durare a lungo, in cinque. Perfino con lo sconto speciale che il Flare and Futtrit faceva ai poliziotti.

E la notte era ancora giovane.

 

Ciuffo la pungolò. «Stai russando».

Ma non faceva alcuna differenza, la Lund rimase dov’era: afflosciata sulla sedia, con la bocca aperta, continuando a emettere rumori simili a quelli che avrebbe fatto una sega elettrica in un bidone di metallo. Be’, non era l’unica ad aver bevuto troppo, comunque.

Harmsworth, per esempio: un braccio intorno alle spalle della Steel, mentre la scuoteva da una parte all’altra. «No, davvero. Ti amo. Davvero». Un’altra scossa. «Sei il miglior sergente del mondo».

La Steel annuì. «Sì… questo è molto, molto vero. Sono…». Singhiozzò. «Sono deliziosa».

Ciuffo diede una gomitata a Barrett. «Penso che Owen sia un po’ sbronzo».

Barrett non alzò lo sguardo dalle due cosce di pollo con cui stava giocando, facendole danzare intorno a due rotoli alla salsiccia incrociati che fungevano da spade. «Hop, hop, hop, hop».

«Ti ho parlato dei suoi capelli, Davey?». Ciuffo lo punzecchiò di nuovo. «I capelli dell’agente Mackintosh sono come… come quel campo di grano all’inizio de Il gladiatore. Solo… solo che non ci sono in mezzo tutti quei cadaveri».

«Hop, hop».

Ciuffo sbatté la mano sul tavolo, facendo sobbalzare le spade di salsiccia. «Sambuca! Facciamoci portare… Sambuca flambé!».

 

«Oops». Ogni volta che cercavano di sistemare la Lund sul taxi, lei scivolava di nuovo fuori.

Non sembrava che le desse fastidio, tuttavia, continuava a cantare, mentre Harmsworth e Barrett la raccoglievano dall’asfalto del parcheggio.

«Il mio cowboy non vuole mucche, si fa solo i suoi cavalli,

gli piaceva farsi i cani, ma non erano troppo belli…».

Il sole stava scendendo oltre i tetti, avvolgendo ogni cosa in una luce gialla e arancione, che faceva sembrare il paesaggio una vecchia fotografia degli anni Settanta.

La sistemarono sul sedile posteriore. «Resta lì. Resta lì…».

Lei ricominciò a scivolare fuori:

«Si scopava anche maiali e galline, sicuro,

e una volta ha scopato un canguro…».

«Okay». Barrett salì sul taxi. «Aspetta, veniamo anche noi… Avanti… Avanti, Owen».

«Una volta un ornitorinco, e una volta anche un’oca, lo dico…».

Anche Harmsworth salì a bordo. «Whee!».

«Una volta si è fatto un gerbillo, si fa di tutto che gli sia amico…».

Owen chiuse lo sportello, facendola zittire.

Il taxi si mosse, con i tre che salutavano dal finestrino mentre si allontanava, lasciando Ciuffo e la Steel soli nel parcheggio.

La Steel gli mollò una pacca sulla spalla, tendendo l’altra mano a palmo in su. Ondeggiando sui piedi malfermi. «No. Avanti, dammi le chiavi».

Lui chiuse un occhio. «Ma…».

«No. Le chiavi!». Lo colpì di nuovo, più forte. «Gli amici non lasciano che gli amici guidino… guidino ubriachi».

Sì, aveva proprio senso.

«Oh. Okay». Pescò le chiavi dalla tasca e gliele lasciò cadere nel palmo. Ondeggiò un po’ di lato, per poi raddrizzarsi. Ma era tutto a posto: nessuno l’aveva notato. Nessuno, nessuno, nessuno. Ciuffo allungò una mano e batté a lei una pacca sulla spalla. Perché gli sembrava buona educazione. «Owen è un miserabile testa di cavolo».

«Sì, lo è».

«Ma!». Ciuffo sollevò l’indice. «Ma ha ragione. , ne ha da vendere. Lei è una deliziosa sergente. Sì, proprio così. Proprio così».

Lei annuì solennemente. «Sì, lo sono». Ondeggiò ancora un po’. «E tu… tu sei un delizioso agente. E un oooo-ttimo detective».

«Ed è per questo… è per questo che arresteremo Jack Wallace».

«sì, dannazione!».

«Shhhh!». Ciuffo si guardò rapido intorno per assicurarsi che nessuno stesse ascoltando. «Noi… noi ci inventeremo un piano e… e lo beccheremo con le mani nel sacco!».

«Sì, e glielo ficcheremo su per dove dico io!».

«Su per…». Ciuffo aggrottò la fronte. «Un momento, un momento». Accennò al pugno chiuso della Steel. «Io non ho la macchina! Quelle… quelle sono le sue chiavi».

«Oh…». Lei gliele restituì. «Forse dovremmo prendere un taxi?»

«E… e io la accompagnerò fino alla… fino alla porta di casa, perché… è da gentiluomini».

La Steel sorrise, annuì e poi si lasciò sfuggire un rutto da far tremare i vetri.

 

Il taxi si fermò fuori da una grossa casa di granito su una strada fiancheggiata di alberi e altre case di granito. Quel genere di luogo in cui di solito vivevano banchieri e squali della finanza. Sopra di loro, il cielo stava passando da una tonalità violacea a un blu intenso, e i lampioni brillavano tra gli alberi.

Il tassista si guardò alle spalle. «Sono quindici sterline».

La Steel armeggiò con lo sportello e uscì a fatica, mollando Ciuffo alle prese con il tassametro.

Tipico.

Lui recuperò il portafoglio e passò i soldi all’uomo. Facendolo con attenzione, in modo che tutti capissero che non era affatto ubriaco. «Quindici, a lei».

Il tassista li prese. Li contò. Poi gli lanciò uno sguardo severo. «Ehi, spero proprio che tu non voglia approfittare di quella povera signora ubriaca».

«Oh, Dio, no». Ciuffo uscì barcollando tra le ultime luci del giorno.

La Steel si girò di scatto sul marciapiede. «Non sono una signora: sono una lesbica!». Allargò le braccia, come in croce, copiando il gesto di Tommy Shand. Poi rimase lì a dondolare, con la sua salopette e la camicia rossa di chiffon a fiori.

Il tassista roteò gli occhi. «I poliziotti non reggono l’alcol…». Si affrettò a effettuare un’inversione in tre tempi e tornò verso il centro.

Ciao ciao.

Ciuffo alzò lo sguardo sul grosso edificio di granito, stringendo gli occhi. Qualcosa non andava per il verso giusto. «Ma… io abito qui?»

«No… no…». Lei gli si avvicinò, rigida come un pollo robot. «È casa mia. Ma… ma abbiamo del whisky».

Lui sollevò un dito. «Lo dica nel modo giusto».

La Steel tirò fuori il suo miglior accento di Aberdeen. «Abbiamo il whisky?»

«Sì!».

«Shhhhh!». Lei lo prese per un braccio. «Segreto. E ora dammi… dammi le chiavi».

Lui le recuperò e la Steel ci mise un po’ a tentare di infilare una Yale d’ottone nella toppa. Poi, finalmente, ci riuscì.

Aprì la porta ed entrò in silenzio. «Shhhhh!».

Era buio, all’interno. Niente luci accese.

Ma il riflesso arancione che filtrava dall’esterno bastava a vederci un po’ meglio. C’era un ingresso dal soffitto alto con un’enorme scalinata di legno da un lato e un mucchio di foto di vacanze sulla parete opposta. La Steel e una bella donna bionda in costume, shorts e infradito e… Oh, cielo. Quella era la Steel in bikini, in una specie di posa da Marilyn Monroe… tutta sensuale e intrigante.

Che brivido.

Già era stato abbastanza orribile nel pomeriggio, quando si era spogliata per lavarsi con la pompa, ma almeno non fingeva pose sexy e non si potevano vedere…

Oh, che profondo e sconvolgente brivido.

Era come beccare la propria nonna in calze autoreggenti mentre cercava di sedurre il fattorino.

Ciuffo si premette una mano sulla bocca. Non lo aveva detto ad alta voce, vero?

La Steel posò le chiavi in una ciotola vicino ai ganci per i cappotti, poi si girò e gli sorrise.

Oh, grazie a Dio: non l’aveva detto ad alta voce.

«E… e Ciuffo disse: “Che sia la luce”». Fece per premere l’interruttore, ma lei gli allontanò la mano con uno schiaffo.

«No!». Sentì la sua voce, ridotta a un sussurro rauco: «È… segreto e silenzio! Capito? Non lo diciamo a Susan. Shhhh…».

Ah. Lui annuì. «Shhh…».

«Bene». Gli mollò un buffetto sulla guancia. «Vai in cucina e… e prendi i bicchieri. Io vado a dare il bacio della buonanotte a Jasmine e Naomi. E… forse anche a fare pipì…!».

Pipì. Ottima idea. Ma prima che potesse chiedere dove fosse il bagno, lei stava già salendo le scale, aggrappata alla ringhiera di legno come se fosse l’unica cosa in grado di tenerla in piedi.

Te la dovrai tenere, Ciuffo. Ora, bicchieri. Pipì, dopo.

Okay, okay.

Prese un respiro profondo e si addentrò nella casa.

Cucina? Dove sei, piccola, cara cucina? Vieni dallo zio Ciuffo…

Oh, eccola: in fondo al corridoio e un po’ a sinistra. Dopo un paio di gradini.

E non era una piccola cucina, niente affatto: era la cucina di Godzilla. Enormi superfici scintillanti sotto la luce che filtrava dalla portafinestra e dalle finestre. Un giardino che si intravedeva nella luce del tramonto, all’esterno, con tanto di altalene e struttura per arrampicarsi. Ohh, sarebbe stato divertente. Non si arrampicava da secoli su una di quelle cose.

No. Non farti distrarre. Devi trovare i bicchieri del whisky.

Sì.

Fece per cercare l’interruttore, ma poi ritrasse la mano.

Cattivo, Ciuffo. È un segreto, ricordi?

Era ora di usare un po’ di furtività. Pescò dalla tasca del giubbotto la sua torcia a led, lunga come un dito ma molto, molto più luminosa. Il raggio sottile e bianco passò sul pavimento piastrellato e sui pensili di quercia. C’erano un bancone per la colazione e un tavolo con sei sedie. Una lavastoviglie che ronzava e sciaguattava. Un grosso frigo in stile americano, coperto di orrendi disegni infantili.

Quello era forse un Tyrannunicornus Rex vestito da pirata? E dov’era allora il suo pappagallo? Eh? Dov’era? Ah, i bambini di oggi.

Un momento, perché stava…?

Ah, sì: bicchieri.

«Venite fuori, bicchierini belli, non vi nascondete dallo zio Ciuffo…».

 

Il serbatoio dell’acqua sibilava, riempiendosi, mentre Roberta chiudeva la porta. Si sistemò la salopette. Era quello il bello delle salopette, tanto spazio. E non scivolavano giù tutto il tempo, tirandosi dietro anche le mutande. Avrebbe dovuto indossarle sempre.

Un po’ un cliché, magari, ma erano comode.

A patto di non sedersi troppo in fretta.

Bene: era il momento di trasformarsi in una mamma affettuosa e sobria.

Avanzò in punta di piedi lungo il corridoio, fino a una porta rosa con un grosso cartello al centro: teschio ghignante e tibie incrociate, con la scritta: “malvagio dungeon della morte di jasmine!”.

La porta cigolò un minimo, mentre la apriva, ma la figura sotto alla trapunta di Skeleton Bob non si mosse. Era una delle stanze migliori della casa, quella. Niente di troppo femminile, con fiori, cuori, pizzi o altro del genere. Un originale miscuglio di decorazioni e particolari, un bizzarro incrocio tra My Little Pony e Il trono di spade, il tutto appena visibile nella semioscurità.

Jasmine era girata su un fianco, con un pollice in bocca e un braccio avvinghiato all’orsacchiotto Mr. Stinky. Ormai calvo intorno alle orecchie per quanto era stato abbracciato e baciato.

Roberta si avvicinò in silenzio e baciò Jasmine sulla fronte. Poi baciò anche Mr. Stinky, in modo che non fosse geloso. Posò l’indice sulle labbra per raccomandargli il silenzio.

Uscì dalla stanza.

Susan poteva anche aver vinto la Great Hazlehead Ladies Challenge Cup, ma anche Roberta si meritava una coppa, come Madre del Dannatissimo Anno. Sì. Proprio così. Una figlia baciata, l’altra ancora da baciare. E poi… whisky!

Passò in punta di piedi alla porta di fronte: arancione, con la scritta: “stanza di naomi” sopra. Stava per abbassare la maniglia, quando il pavimento scricchiolò alle sue spalle.

E poi una voce maschile: «Ti sono mancato?».

Lei si portò l’indice alle labbra. «Shhh… ti avevo detto…».

Oh, dannazione.

Non era Ciuffo.

Era Jack Wallace!

Si girò, ringhiando, i pugni pronti a…

Qualcosa di duro la colpì sulla tempia, facendo vorticare e pulsare l’intera casa. Un lampo caldo dietro agli occhi. Le ginocchia non riuscivano… non potevano…

Poi la moquette del corridoio le saltò addosso.

Un tonfo.

Buio.

 

Ci fu un tonfo, al piano di sopra.

Inginocchiato sul pavimento della cucina, Ciuffo alzò la torcia, incerto, verso il soffitto.

E quella aveva pure il coraggio di dire a lui di fare silenzio e tutto? Sembrava che ci fosse un elefante su un trampolino a molla, di sopra.

Be’, in fondo, bastava che portasse il whisky.

Abbassò la torcia, tornando a illuminare la piccola dispensa. I bicchieri scintillarono sotto la luce chiara e intensa. «Whisky, whisky, whisky, whisky».

Attenzione… non doveva romperli. Fu attento come poteva esserlo un pesce tra gli scogli.

Tirò fuori due bicchieri da whisky come se fossero le barre radioattive di una centrale nucleare. Richiuse l’anta e si alzò. Andò in punta di piedi verso il bancone della colazione.

I bicchieri tintinnarono contro il pianale di granito.

«Whisky, whisky, whisky…».

Uh-oh.

Il suo senso di Ciuffo pizzicava.

C’era qualcuno, alle sue spalle, vero.

Qualcuno…

«Cucù».

Qualcosa fischiò nell’aria e lui scattò a sinistra, girandosi.

Qualunque cosa fosse, lo colpì alla spalla invece che alla testa, piantandogli giri di filo spinato nel muscolo.

Un’ombra a forma di uomo incombeva nell’oscurità, con i lineamenti indistinguibili. Un naso, una bocca, un paio di occhiali. Ciuffo li schiantò con un pugno, facendo scattare indietro la testa dell’intruso con un grugnito molto soddisfacente.

Il Bastardo Ombra gli si lanciò addosso, sbattendolo sul pavimento della cucina mentre entrambi finivano contro le piastrelle lucide in un groviglio di braccia e gambe. Gomiti e ginocchia. Continuando a rotolare l’uno sull’altro.

Finirono contro una credenza, facendone tintinnare il contenuto.

Poi rotolarono via, di nuovo.

Un lampo di fuoco invase il polso di Ciuffo, quando Ombra lo morse, conficcando i denti nella carne. «aaaargh!».

Rotolarono dalla parte opposta e bang, contro il frigorifero, aprendone lo sportello. Una fredda lama di luce si proiettò nella stanza.

Era un uomo grosso, peloso e brutto. Rivoli scarlatti gli rigavano il volto, fluendo dal naso appena rotto. I denti scoperti, macchiati di rosso per il suo sangue o quello di Ciuffo. Bastardo mordace. «ti ammazzo!».

Un grosso pugno sibilò accanto al viso di Ciuffo.

Oh, no, non lo farai.

Afferrò Ombra all’altezza della nuca e gli sbatté la testa contro il frigo aperto, più volte, con lo sportello che dondolava e le bottiglie e i barattoli all’interno che tintinnavano forte. Confezioni di burro e vasetti di yogurt rotolarono fuori, schiantandosi sul pavimento intorno a loro.

Ancora un colpo, e Ombra si afflosciò.

Ciuffo lo trascinò fuori dal frigo e lo voltò sulla pancia. Afferrò le manette e il polso dell’uomo, strattonandoglielo dietro la schiena. «Sei davvero…».

Ancora quella sensazione.

Si girò. Troppo lento.

Ebbe appena il tempo di notare una figura grassa e calva al bagliore spettrale del frigo, prima che un lampo di luci violente e gialle gli esplodesse nella testa, cancellando la vista della cucina. Non sentì neanche dolore, quando sbatté con la nuca contro le fredde piastrelle del pavimento.

Delle dita grasse si allungarono verso di lui, mentre il mondo, lentamente, scompariva…

 

Mnnnghfff… dunk. Tutto saltava su, e poi ricadeva di botto. dunk. Su e poi giù. dunk. Su e poi giù.

La sveglia stava suonando, era ora di alzarsi.

dunk.

O forse erano sirene?

dunk.

Un momento, ma quelle… Cosa ci faceva sulle scale?

Roberta aprì la bocca, ma l’unico suono che ne uscì fu un prolungato: «Unnnngggghhhh…».

dunk.

E perché la sua gamba era…? Qualcuno la stava trascinando giù per le scale tirandola per una gamba.

Ma cosa…?

Una figura indistinta tornò finalmente a fuoco. Jack Wallace. Lo vide sorriderle. «Oh, ci divertiremo così tanto!».

dunk.

dunk.

dunk.

E poi tutto tornò nero.