Al Gaggia piaceva pensarla in grande. Non parlava che di lavoro, se lo sognava anche. Stare secondo dietro qualcuno gli dava fastidio. Quindi, per guadagnare il primo posto in classifica che gli faceva gola da un bel po’, nel giugno 1969 aveva lanciato una campagna di vendita promozionale con la quale mirava a sbaragliare ogni concorrenza e diventare il maggior fornitore della riva orientale del lago: sconti e omaggi da far girare la testa, anche a costo di perderci qualcosa all’inizio. Si sarebbe rifatto poi, una volta agganciati i nuovi clienti. S’era inventato anche il regalo di scadenti profumi alle signore per invogliare i rispettivi mariti a servirsi da lui. E, soprattutto, aveva imbesuito i rappresentanti di promesse: quanto più avessero venduto, tanto più li avrebbe gratificati, e non solo a parole questa volta. Li aveva convocati apposta, un pomeriggio, nel suo ufficio. Dovevano mettersi in testa, tutti!, che la ditta Gaggia era arrivata a una svolta epocale: era, aveva detto, un’occasione per entrambi. Non c’erano alternative. Bisognava vincere. Altrimenti, con una vena di commozione nella voce, aveva confessato che stava cominciando ad accarezzare l’idea di chiudere. Tanto lui, a sessant’anni, ne aveva abbastanza per vivere di rendita.

Il Manera era stato tra i migliori e il migliore assoluto quale risultato singolo, un capolavoro di parole e promesse, poiché l’acquirente, conoscendolo bene, non se l’era mai filato: aveva infatti piazzato al più grande bar del paese, il caffè dell’Imbarcadero, la bellezza di ottanta casse di bevande tra vini, liquori e bibite. Il furgoncino della ditta aveva dovuto fare due viaggi da Lecco per evadere quel solo ordine. L’Animalunga, dopo quel colpaccio, si aspettava una bella gratifica con la quale meditava di versare la prima rata per l’acquisto di una macchina. A dire la verità aveva già dato la cosa per scontata con la Venera, progettando gitarelle domenicali di qua e di là. Aveva dovuto disilludersi bruscamente però quando il grossista, convocatolo nell’ufficio per fargli i complimenti, gli aveva comunicato che il premio era pronto e che manteneva la promessa fatta: anziché solo parole, il dipendente poteva scegliere ben cinque casse di bevande, senza distinzione tra vini, liquori o bibite, anche gassate.

Di botto al Manera era mancata la voce. Che cazzo se ne faceva di cinque casse di bevande, anche gassate.

Si poteva trattare così un onesto lavoratore? Per il dispetto, l’Animalunga era stato lì per mandare a dar via il culo quella faccia di merda del Gaggia e licenziarsi: che andasse lui a vendere i suoi liquori schifosi. Che ci mandasse qualcun altro a farsi il mazzo su e giù per le valli! L’avevano frenato due pensieri: quello della Venera, che ogni sera lo accoglieva felice chiedendogli come fosse andata la giornata, e soprattutto quello del figlio che pendeva dalle sue labbra sentendolo raccontare quanto e come aveva venduto. Tuttavia non aveva potuto rinunciare a essere quello che era: quindi, mentre usciva dall’ufficio del grossista, s’era giurato che la meritatissima gratifica se la sarebbe data da sé. Come, era presto per saperlo. Bisognava aspettare l’idea, l’occasione giusta.

E non gli era toccato attendere più di tanto, un paio di settimane, esattamente il pomeriggio del 16 luglio.