Quel pomeriggio in paese non si parlava d’altro. Pure i clienti che aveva visitato in giornata sembravano svaniti: lui parlava di bibite e liquori e loro rispondevano tirando in ballo l’argomento del giorno. Persino il piccolo Manuele la sera, durante la cena, come se fosse un vero esperto, aveva disquisito intorno all’Apollo 11, partito alla conquista della Luna.

Il Manera era gnecco, non gli era andata un granché bene, pochissimi ordini, come da gran tempo non gli capitava. Inoltre ne aveva piena l’anima di sentir parlare di Luna, Apollo 11 e compagnia bella, gli avevano riempito le orecchie con quelle storie. Picchiando una manata sul tavolo che aveva fatto sobbalzare i piatti s’era lasciato sfuggire un acre commento.

«Non gli basta dominare il mondo a quelli lì, adesso vogliono fregarsi anche la Luna.»

Gli americani gli stavano sul gozzo già da un po’ per via della difficoltà con la quale, stante la concorrenza della Coca-Cola, non gli riusciva di piazzare una bibita scura e dolciastra che secondo il Gaggia era molto meglio.

«Rubarla?» aveva esclamato il figliolo impallidendo.

«Vedrai», rispose il genitore, interrompendosi poi bruscamente e guardando nel vuoto.

La Venera e il Manuele s’erano a loro volta scambiati uno sguardo, cercando di comprendere cosa stesse succedendo nella testa dell’Animalunga. Questi, per tutta risposta, s’era portato un dito sulle labbra.

Silenzio!

Solo di un po’ di silenzio aveva bisogno, perché in quell’istante l’idea buona era nata e adesso si trattava di darle forma, farla crescere.

Quali erano, si stava chiedendo, i giorni migliori per mettere a segno un colpo coi fiocchi? Natale, Pasqua, Ferragosto, quando la gente è impegnata ad abbuffarsi e scambiarsi regali oppure è in gita fuori porta o a visitare parenti. Distratta dal clima di festa, insomma. Bene, s’era detto, stava per arrivare una specie di Natale. Dalla rabbia il viso dell’Animalunga era passato a un sorriso disteso. Non aveva detto niente a moglie e figlio, sebbene la loro espressione fosse quella di chi aspettava di sapere cosa gli fosse passato per la zucca. Alzandosi da tavola e dichiarando di essere stanco dopo una giornata particolarmente dura, aveva dato la buonanotte e s’era infilato in camera da letto dove, nel buio e senza distrazioni, aveva elaborato con comodo il suo piano d’azione.

La mattina seguente s’era svegliato fischiettando e, come al solito, era partito per il lavoro a cavallo della motoretta. Così, perlomeno, era sembrato alla Venera. L’Animalunga invece aveva deciso di prendersi un giorno di ferie. Per mettere a segno il piano gli servivano infatti un paio di soci ed era necessario contattarli. Il primo era il meccanico, quello che gli rilasciava i conti falsi. Indispensabile perché era un mago dei motori e aveva elaborato un motocarro in grado di viaggiare con un rumore appena percepibile, utilissimo per spostare refurtiva ingombrante durante le ore notturne. Faceva Rògeno di cognome, come se il destino avesse voluto indicargli sin dalla nascita la sua sviscerata passione per i motori. Ascoltato il progetto dell’Animalunga, non aveva avuto alcuna incertezza: della Luna e degli americani anche a lui fregava niente. Meglio mettersi in tasca qualche soldino fuori busta. Il secondo invece faceva Perdé di soprannome e aveva già lavorato con l’Animalunga in piccoli furtarelli: uomo di fatica, aveva sempre detto al Manera che sarebbe bastato un fischio. Aveva accettato anche lui, pur non comprendendo bene in cosa consistesse il progetto. A entrambi l’Animalunga aveva lasciato un messaggio ben preciso: tenersi pronti, perché la notte dell’allunaggio, come scrivevano i giornali o dicevano i bene informati, c’era un lavoretto da fare.