Nota editoriale.

 

Diamo in appendice una cronistoria della vicenda giudiziaria di Massimo Carlotto, alla quale si fa riferimento in molti punti del racconto.

 

Il 20 gennaio 1976 viene uccisa a Padova, nella sua abitazione, una studentessa di 25 anni, Margherita Magello, con cinquantanove coltellate.

Massimo Carlotto, diciannove anni, studente e militante di Lotta Continua, scopre casualmente la vittima, insanguinata e morente, e si reca dai Carabinieri per raccontare il fatto; viene fermato, arrestato e imputato di omicidio.

Il 5 maggio 1978, Massimo Carlotto, dopo oltre un anno di istruttoria e a seguito di tre dibattimenti (il primo termina con un'ordinanza che dispone il rifacimento delle perizie e un supplemento di istruttoria, il secondo viene interrotto per malattia del Presidente) è assolto per insufficienza di prove dalla Corte di Assise di Padova.

Il 19 dicembre 1979 la Corte d'Assise d'Appello di Venezia rovescia il verdetto e condanna Massimo Carlotto a diciotto anni di reclusione.

Il 19 novembre 1982 la Corte di Cassazione respinge il ricorso della difesa e conferma la condanna.

Il 2 febbraio 1985 Massimo Carlotto torna dal Messico e si costituisce alle autorità italiane.

Nel corso dello stesso anno nasce il "Comitato Internazionale Giustizia per Massimo Carlotto", con sede a Padova, Roma, Parigi e Londra, che organizza una campagna di informazione e una raccolta di firme a favore della revisione del processo. Ne vengono raccolte migliaia. Il primo firmatario in Italia è Norberto Bobbio, a livello internazionale lo scrittore Jorge Amado che nel giugno 1986, con altre decine di intellettuali, lancia dalle pagine di "Le Monde" un appello internazionale per la revisione del processo.

Nel frattempo Massimo Carlotto si ammala gravemente in carcere e inizia una nuova campagna per la sua scarcerazione.

Nel febbraio del 1987 scende in campo la Fédération Internationale des Droits de l'Homme che apre un'inchiesta sul caso e invia a Padova una commissione, guidata dallo stesso segretario generale, l'avvocato Patrick Baudoin. Dopo aver esaminato gli atti processuali e sentite le parti, la Federazione si schiera a favore della revisione del processo.

Il 12 novembre 1987, Massimo Carlotto dopo una serie di perizie e udienze di fronte al Tribunale di Sorveglianza, ottiene il differimento della pena per gravi motivi di salute.

Il 20 giugno 1988 i difensori, al termine di un lungo iter propedeutico di fronte alla Corte d'Appello di Venezia, presentano l'istanza di revisione alla Corte di Cassazione.

Il 30 gennaio 1989 la Cassazione concede la revisione del processo sulla base di tre nuove prove. Annulla la sentenza di condanna e rinvia gli atti alla Corte d'Appello di Venezia per il nuovo giudizio.

Il 20 ottobre 1989, quattro giorni prima dell'entrata in vigore del nuovo codice di procedura penale, ha inizio il nuovo processo davanti alla Corte d'Assise d'Appello di Venezia. Nel 1990, nel corso del processo, per la prima volta nella storia della giustizia italiana, la Fédération Internationale des Droits de l'Homme invia in qualità di osservatori alcuni esperti, tra cui il capo di gabinetto della polizia scientifica di Parigi, al fine di accertare la correttezza delle indagini peritali. Ma il loro rapporto, totalmente a favore dell'imputato, non viene acquisito dalla Corte per limiti procedurali.

Il 22 dicembre 1990, dopo quattordici mesi di istruttoria dibattimentale la Corte non emette una sentenza bensì un'ordinanza che rimette gli atti alla Corte Costituzionale. Ritenendo pienamente provata una delle tre prove nuove e sostenendo, come giudizio finale, che l'imputato dovrebbe essere assolto per insufficienza di prove, la Corte dichiara di non sapere quale codice applicare.

Il 5 luglio 1991 con sentenza interpretativa pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, la Corte Costituzionale stabilisce che la Corte di Venezia avrebbe dovuto applicare al caso il nuovo codice e assolvere Massimo Carlotto con formula piena già il 22 dicembre 1990.

Il 21 febbraio 1992, tornati gli atti della Corte Costituzionale ha inizio il secondo giudizio di fronte a una nuova Corte d'Assise d'Appello perché nel frattempo il Presidente era andato in pensione.

La Corte decide di non procedere a una nuova istruttoria dibattimentale e di recuperare la precedente tramite lettura degli atti.

Il 27 marzo 1992 la Corte conferma la sentenza di condanna del 1979, ribaltando le conclusioni della Corte precedente.

Il 28 marzo 1992, la Procura Generale di Venezia emette l'ordine di carcerazione per l'esecuzione della pena.

Il 13 maggio 1992, dopo quarantasette giorni di carcere, Massimo Carlotto viene nuovamente scarcerato per gravi motivi di salute e gli viene concesso un anno di differimento della pena.

Il 24 novembre 1992, la Corte di Cassazione conferma la sentenza di condanna. Già dalla sera stessa si comincia a parlare di grazia come "unico strumento, correttivo ed equitativo dei rigori della legge, in grado di chiudere il caso con giustizia e umanità". Anche in considerazione delle condizioni di salute di Massimo Carlotto, nel frattempo ulteriormente aggravatesi.

Il 25 novembre 1992, a meno di ventiquattro ore dalla sentenza, alcuni consiglieri comunali di Padova consegnano al Presidente della Repubblica, in occasione di una sua visita in città, un dossier sul caso. Interpellato sulla grazia nel corso un incontro pubblico con la cittadinanza, il Presidente risponde che esaminerà con estrema attenzione il caso.

Il 14 dicembre 1992 i genitori di Massimo Carlotto presentano la domanda di grazia al Tribunale di Venezia per l'istruttoria formale.

I Comitati lanciano un appello per una raccolta di firme a favore del provvedimento. Ne raccoglieranno diciottomila in tre mesi. Primo firmatario l'ex presidente della Corte Costituzionale Ettore Gallo. In tutta Italia si organizzano iniziative, dibattiti, spettacoli; il Consiglio Comunale di Padova vota un ordine del giorno a sostegno della richiesta.

Il 7 aprile 1993, il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, concede la grazia a Massimo Carlotto.