Da “Black Mirror” al mondo delle idee di Platone
Black Mirror è lo specchio nero – ovvero il monitor dei nostri pc, tablet, smartphone – una volta spento o fuori uso. Ci rendiamo conto del potere della tecnologia e della nostra dipendenza solo quando viene meno o non possiamo accedervi o, come accade nella serie, diventa pericolosa.
Gli episodi sono tutti ambientati in un futuro prossimo, dove le nostre attuali tecnologie sono leggermente potenziate. Al punto tale da far diventare la nostra vita un inferno, più di quanto non lo sia già.
Pensate solo a cosa è diventata la scuola, con il successo degli smartphone. Ogni giorno un professore si sveglia e sa che dovrà impedire che lo studente di turno si distragga o perda tempo in classe con il suo gioiello tecnologico. Ogni giorno uno studente si sveglia e sa che dovrà utilizzare le più sottili arti del camuffamento per poter passare il suo tempo con il cellulare. Se non si prendono misure adeguate, attenzione e partecipazione in classe vanno a farsi benedire.
Il messaggio di Black Mirror sui pericoli delle nuove tecnologie è molto chiaro (e per nulla divertente): non sottovalutate le potenzialità distruttrici della tecnologia, soprattutto la capacità di sostituire, sempre di più, la vita reale. Il messaggio di Platone, in poche parole, anche se il nostro filosofo se la prendeva con le tecnologie del suo tempo: la scrittura, le arti (in particolare pittura e poesia) e i discorsi ingannevoli dei sofisti, come Protagora e Gorgia.
Questi ultimi erano i suoi grandi avversari: non veri filosofi, perché non credevano a una verità oggettiva, ma maestri di retorica, capaci di abbindolare soprattutto i giovani. Oggi sarebbero i maggiori inventori delle bufale online e delle notizie false in generale.
Per Platone i sofisti producevano con le loro parole “immagini” ingannevoli, capaci di far credere le cose più diverse, come gli artisti, come pittori e poeti che raffigurano e raccontano producendo immagini che rimpiazzano la vita vissuta, creando storie di divinità o animali che non potremo mai incrociare. Ma per il nostro filosofo bisogna ribadire le differenze tra le immagini fini a sé stesse o illusorie, le immagini che descrivono in modo verificabile il mondo e il mondo stesso.
Le immagini sono “copie” delle cose del mondo. E l’attività di copia deve essere ben indagata e sorvegliata, altrimenti le copie possono illudere, dare informazioni false e così via. Anche perché le cose del mondo, a loro volta, sono anch’esse già delle copie. Copie della loro essenza ideale, che possiamo cogliere con il pensiero.
Prendiamo una sedia o un letto, direbbe Platone. Chi li realizza ha prima pensato a una loro “idea”, per poi realizzare una sedia o un letto. C’è un’idea della sedia che ritroviamo come motivo comune a ogni sedia materiale. Per cui ogni sedia materiale è una copia della sedia ideale. A questo punto l’immagine della sedia che può dipingere un pittore sarà una copia della copia.
Per Platone, dunque, non tutto esiste allo stesso modo: ci sono le idee, le cose materiali (copie delle idee), le immagini (copie delle copie). E queste differenze impongono anche una gerarchia. Le idee sono intangibili e incorruttibili: possiamo bruciare e distruggere infinite sedie, ma non l’idea della sedia.
Per ribadire questa superiorità, Platone, attraverso un discorso mitico, ricco di immagini e metafore, pone le idee in un mondo a parte. Il celebre “mondo delle idee”. Un modo per dire che l’ideale, la perfezione, non sono di questo mondo, e che il nostro pensiero, potendo cogliere e contemplare idee, deve cercare al massimo solo di tendervi, soprattutto ricercando bene, giustizia, bellezza e ovviamente verità.