La vita non è fatta solo di app
Faccio i complimenti ai miei studenti per avermi suggerito di immaginare Kant sull’isola di Lost. In effetti è emerso un aspetto del pensiero del filosofo spesso non considerato.
«Dovere, prof!» mi rispondono scherzando. La parola “dovere”, tuttavia, mi rimanda ancora al filosofo, che qui abbiamo presentato come un precursore di un’immagine della mente propria della “generazione app”.
Il tema del “dovere” non è stato qui finora trattato, ma è centrale nella filosofia di Kant e, in generale, nella nostra esistenza. Nonché ricorrente nella nostra serie tv di riferimento.
Conoscere la realtà in vista di uno scopo, contemplare opere d’arte e paesaggi: sono cose della vita, direbbe qualcuno. Ma non sono tutto, e Kant lo sapeva benissimo.
A volte siamo logorati da ciò che dobbiamo fare, chiedendoci soprattutto se sia la cosa giusta.
Kant dedica al tema del dovere un’opera decisiva, prima di scrivere la Critica del giudizio, ovvero la Critica della ragion pratica.
I ragazzi, al solo pensiero che io ricominci, mi salutano, indicando che la campanella è suonata.
Scherzando ancora una volta, mi dicono: «Prof, il Dovere ci chiama!».
Hanno ragione e non sanno quanto. Kant sarebbe dalla loro parte.
Gli studenti si ribellano al mio trattenerli in aula, per continuare a spiegare. Stanno mettendo al primo posto la vita e non stanno semplicemente obbedendo alle regole di abbandonare l’aula al suono della campanella.
Kant dice esattamente questo: c’è un dovere che va oltre la legge, che non si fa per la legge. Un dovere della Ragione che ci parla attraverso ciò che il filosofo chiama “imperativo categorico”.
Se ognuno di loro si trattenesse di più, cosa accadrebbe? Con il loro gesto danno soprattutto il buon esempio: che non si può filosofare all’infinito e che ci sono i loro genitori che li aspettano o i loro amici, un tempo libero da vivere.
Secondo Kant c’è una sorta di “voce” della ragione che ci spinge a fare la cosa giusta e che sta a noi accettare liberamente. In pratica (è il caso di dirlo) si tratta di agire come se tutti dovessero seguire il nostro esempio. È giusto rubare? O uccidere? Cosa accadrebbe se tutti commettessero tali crimini? E se gli uomini trattassero gli altri come dei semplici mezzi, come delle cose?
Ma Kant non ci rende le cose facili, perché lo dice così: “Agisci unicamente secondo quella massima in forza della quale tu puoi volere nello stesso tempo che essa divenga una legge universale”.
A volte penso che anche Kant vada preso come un’opera d’arte, tipo Lost.