Su un’isola deserta, con la “generazione app”

Forse non lo sapete, ma a Immanuel Kant, filosofo tedesco del Settecento, piacevano le isole.

Va detto che in quel periodo le isole andavano molto di moda, soprattutto dopo la comparsa dell’opera di Daniel Defoe La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe (1719). La celebre storia del naufrago, che, solo su un‘isola deserta, riesce a sopravvivere e a divenirne in seguito il governatore.

Stiamo parlando del primo vero “romanzo di avventura”. Un’avventura della Ragione, che riesce a vincere la natura selvaggia e, ovviamente, dei selvaggi sull’isola. Non dimentichiamo che il Settecento è il secolo dell’Illuminismo, del primato della Ragione, appunto.

Prendete ora un adolescente dei nostri giorni e mettetelo su un’isola deserta senza il suo smartphone. Probabilmente impazzirà alla sola idea di non avere il cellulare e nemmeno proverà a sopravvivere in solitudine. La vita perennemente connessa ha di certo risparmiato la frustrazione dell’attesa e della noia, dello stare soli. Una lezione tediosa di filosofia (magari proprio su Kant) spesso, in classe, viene seguita con numerose occhiate ai propri schermi. Ma questo risparmio ha un prezzo: sulla crescita e sulla capacità di fronteggiare frustrazioni e difficoltà.

Su un’isola deserta, i nostri ragazzi si troverebbero a scegliere: o impazzire o trovare. Cosa? Ma delle app! Proprio come le applicazioni (da qui il termine “app”) che si scaricano sui dispositivi di ultima generazione e che permettono di fare diverse cose.

Recentemente i miei studenti ne hanno scaricato una sul cellulare che permette loro di aggiungere orecchie e nasi di animali alle foto delle persone.

Ormai, come hanno notato gli psicologi Gardner e Davis nel loro studio Generazione App, i giovani sono giunti a vedere il mondo e le loro esperienze come un insieme di app. Devono recarsi in un posto? Nessun problema, c’è una app sul cellulare che li aiuterà. Su un’isola deserta farebbero, dunque, una grande scoperta: anche la loro mente contiene delle app. App “purissime” e molto potenti. Resterebbero meravigliati da una speciale app in grado di renderli capaci di collegare un effetto a una causa e che gli permetterebbe magari di accendere un fuoco o di raccogliere dell’acqua piovana. Oppure da una app che consenta loro di capire se una cosa è fattibile o no, possibile o impossibile.

Kant direbbe loro: bravi, non avete trovato delle semplici app, avete trovato delle “categorie”. Ovvero ciò che per il nostro filosofo sono gli strumenti per comprendere la realtà e viverla. E non bisogna scaricarle da qualche sito web. Sono nella nostra mente, già in dotazione. Kant le definisce, con un termine della lingua latina, “a priori”, e ne parla diffusamente nella sua prima grande opera, la Critica della ragion pura (1781). In tutto sarebbero dodici, ma il bello è che non devo per forza elencarle, potete anche scoprirle da soli, o magari leggendo proprio Kant.

Il filosofo, inoltre, chiederebbe ai ragazzi come stanno vivendo lo scorrere del tempo sull’isola.

“Male! Il tempo non passa mai!”

Il tempo, direbbe ancora Kant, è un’altra app, ma stavolta di natura diversa dalle “categorie”. È un’app simile a quella della vostra fotocamera sul cellulare, ovvero un’applicazione che vi permette di immagazzinare i dati, per lavorarci poi sopra con un’altra app, capace di fare determinate modifiche alla foto.

Il tempo è scandito dalla nostra interiorità (dal nostro “senso interno”, direbbe Kant) e non esiste al di fuori della nostra sensibilità. È un’intuizione, cioè una sensazione immediata. Come lo spazio, del resto, che invece si occupa del senso esterno e mette ordine in ciò che accade fuori di noi.

Il funzionamento della nostra mente si avvicina, dunque, al sistema operativo dei nostri smartphone, con la differenza che le app della mente sono innate e possedute da tutti gli esseri razionali.

Il tempo, lo spazio, le categorie: i nostri ragazzi scoprono sull’isola che la ragione agisce sulla realtà e non si limita a contemplarla. Tutto quello che si trova nella loro mente è fatto per conoscere le cose là fuori, per vivere il mondo.

Ah, anche “il mondo” è una “app”, ancora più speciale delle categorie. È un’idea (ce ne sono altre due per Kant: anima e Dio) che ci permette di orientarci nella vita. Ci permette, cioè, di cogliere una totalità esterna a noi, un tutto.

La filosofia spiegata con le serie TV
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