XIX.

Dopo poco entrava nel salotto un gruppo di donne in gramaglie, con veli neri, le quali levavano un confuso coro di lugubri lamenti. Le capeggiava Elisabetta, sorella di Piero, un donnone disfatto dal dolore e dalle fatiche del viaggio, con un vasto volto arrossato, coperto da una pelurie biondastra e rigato dalle lagrime. Nella confusione, non accorgendosi che Piero era fra i presenti e che questi avevano bicchieri e piatti di dolci in mano, ella, scossa da un più veemente insulto di pianto convulso, irrefrenabile, si gettò tra le braccia di Teresa, che invano cercava di calmarla e di staccarsi, o, quanto meno, di parlare.

“ Ha capito di morire? ”, domandò fra i singhiozzi.

Con uno sforzo supremo, Teresa si sciolse dall’abbraccio.

“ Domandalo a lui ”, disse, “ è lì ”.

Sull’indicazione di Teresa, la nuova venuta si volse a Piero, che stava ingozzandosi cinicamente di paste, e, sempre disfatta e lagrimosa: “ Hai capito di morire? ”, domandò.

“ Ho capito sì ”, fece Piero, a bocca piena. “ Perché non dovevo capire? ”.

Elisabetta trasecolò, si stropicciò gli occhi, guardò Piero sbalordita.

“ Ma allora ”, balbettò, “ non è… non sei… è un… ”.

“ Un caso di morte apparente ”, spiegò Piero, masticando a quattro palmenti. “ Come vedi, sono vivo. Prendi qualche cosa. Teresa! Da da bere a Elisabetta ”.

“ Oh, santo cielo!”, esclamò Elisabetta, quando riuscì a spiccicar sillaba.

E si lasciò cadere priva di sensi su una sedia, quasi sfondandola col proprio peso, mentre tutti le si affollavano attorno soccorrendola e le altre parenti in gramaglie assistevano costernate alla scena. Quando rinvenne, accettò qualche rinfresco, volle abbracciare Piero, imitata dalle altre parenti, lo fissò ancora, come per accertarsi che non fosse tutto un sogno, poi disse, con un fil di voce: “ E adesso come si fa? ”.

“ Come si fa? ”, fecero eco le altre parenti.

“ Come si fa che cosa? ”, disse Piero, mentre lavorava di ganasce a distrugger pizzette e tartine.

“ Quando abbiamo avuto il telegramma ”, spiegò il donnone, “ mio marito ha capito subito. Ha avuto una crisi terribile, ma ora è passata ”.

“ Di già? ”, fece Piero, un po’ deluso.

“ Sì, per fortuna. Lui è malato di cuore, lo sai, e qualsiasi emozione può ucciderlo. Questa volta poco ci è mancato. Ora, grazie al cielo, è fuor di pericolo, tanto che ha potuto sostenere tranquillamente la vista dei paramenti funebri sul portone di casa tua ”.

“ Meno male ”.

“ Il medico, però, ha detto che un’altra emozione, di qualsiasi genere, gli sarebbe fatale. Per conseguenza, ormai bisogna che continui a credere che Piero è morto e non si deve dirgli assolutamente che sei risuscitato. Morirebbe ”, “ Come? ”, disse Piero. “ Sa che sono morto e sta bene; e morirebbe se sapesse che sono vivo? ”.

“ Non per mancanza d’affetto, Piero, devi capire. Pantalèo non sarebbe mai capace d’una simile bassezza. Sai che ti adora. Se ti dico che è stato per morire, quando ha saputo ch’eri morto! Ma il colpo della notizia ferale l’ha già avuto e, per fortuna, lo ha superato felicemente ”.

“ Ringraziarne il Signore ”.

“ Ora è addolorato, ma la scossa è passata. Se venisse a sapere che sei risuscitato, avrebbe un’altra scossa, questa volta per la gioia, per l’emozione; e due scosse così violente, a così breve distanza l’una dall’altra e l’una in senso contrario all’altra, causerebbero la sua morte ”.

“ Oh, poverino. E allora, lascia che creda che sono morto, se questo gli giova alla salute ”.

“ Piero, tu continui a fare dell’ironia, ma hai torto. Pantalèo è un nobile cuore. Pantalèo ti adora. Morirebbe dalla gioia. Si può fare di più? Ormai c’è in lui dolore, e soltanto dolore: profondo, inconsolabile, incancellabile, eterno; ma calmo, ormai, sereno ”.

“ Ha fatto presto. Comunque, non potrò continuare eternamente a fingermi morto per far piacere a mio cognato ”.

“ Non per fargli piacere, Piero, devi capirmi. Pantalèo… ”.

“…è un nobile cuore, ho capito ”.

“ Per evitargli un’altra scossa ”.

“ Per evitargli un’altra scossa, sia pure. Ma un bel giorno l’altra scossa dovrà averla ”.

“ Certamente. Dovrà finire col sapere. Lo prepareremo a poco a poco, con le debite cautele. Ma per il momento, essendo troppo fresco il colpo della morte, bisogna che non sappia ”.

“ E non ditegli niente. Non glielo scrivete. Quando torni a casa, gli dirai… ”.

“ È qui ”.

“ È venuto anche lui? ”.

“ Sì. T’ho detto che ha sostenuto serenamente la vista dei paramenti funebri. Adesso s’è fermato un momento giù al bar per riposarsi prima di far le scale, per rimettersi un po’ dalle fatiche del viaggio e soprattutto per prepararsi tìsicamente e spiritualmente all’ultima prova da affrontare ”.

“ Cioè? ”.

“ La vista della tua salma. Fra poco sarà qui ”.

“ Non farlo salire. Digli che potrebbe avere un altro colpo, se vedesse la mia salma ”.

“ No, Piero, non ci siamo ancora capiti. Il colpo della morte l’ha già avuto e superato felicemente, per fortuna. Adesso è calmissimo, sempre relativamente parlando. E, se anche non lo fosse abbastanza, si sta rinforzando a bella posta con uno zabaione. Perché vuol vedere la tua salma ”.

“ Ma guarda un po’ che pretese! ”.

“ Non per cattiveria, Piero, devi capirmi. Dice che ormai si sente in grado d’affrontare la terribile prova. È pronto. È disposto ”.

“ Ma bravo ”.

“ Dice che vuol darti il debito tributo di lagrime ”.

“ Lo dispenso ”.

“ Fammi il favore, stènditi un po’ sul letto ”.

“ Ma fammi il piacere! Dovrei fare il morto, se no muore lui? ”.

“ Ti scongiuro, Piero, fallo per Pantalèo ”.

“ Ma non potete dirgli che m’hanno già portato via? ”.

“ No, perché al bar gli hanno detto che il funerale non s’è fatto ancora ”.

“ Già, ancora non sanno che sono vivo ”.

“ Così s’è un po’ tranquillizzato. Perché il suo terrore era d’arrivar tardi e non poterti tributare gli estremi onori ”.

“ È un pensiero squisito, ma io il morto non me la sento di farlo ”.

“ Via, che ti costa? ”.

“ Non insistere, Elisabetta. Chiedimi tutto, ma non questo ”.

“ Allora, vuoi far morire Pantalèo ”.

“ Ma che c’entra? ”.

“ Sì, perché, se non ti vede, potrebbe capire, e l’emozione sarebbe tale, per la gioia, da ucciderlo ”.

“ E io non mi faccio vedere. Mi nascondo. Ecco, sì, questo è il massimo che posso fare, per contentarlo: non farmi vedere ”.

“ Ma lui vuol vedere la tua salma. Darti l’ultimo saluto. Contentalo, povero Pantalèo ”.

“ Ma che dovrei fare? ”.

“ Fingere. Il tempo di farti vegliare un po’ da lui, e poi lo allontano con dolcezza, dicendo che sono venuti a portarti via, e tu ti rialzi ”.

“ Senti, fagli vedere il feretro ”.

“ Vuoto? ”.

“ Vuoto. È di là. Gli dite che io ci sono dentro, e io mi nascondo. Chiudete bene il coperchio, con le viti, in modo che non veda l’interno. Darà l’estremo saluto alla cassa vuota ”.

Ci fu a questo punto un momento di confusione.

“ Ecco Pantalèo ”, disse qualcheduno allarmato a Piero, “ nasconditi ”.

Piero si rifugiò nella stanza da pranzo, e gli altri, pur continuando a sgranocchiare pasticcini e a brindare, cercarono di assumere espressioni di circostanza, mentre entrava affranto, massiccio ed alto come un elefante, Pantalèo. Si sarebbe detto che le sue grosse spalle, un po’ curve e rigonfie, tenessero su tutto il corpo sospeso come a un uncino, sicché esso, malgrado la mole alta e massiccia, pareva sfiorasse leggero il pavimento, anche in virtù dei piedi che, nel camminare, si sollevavano appena, arricciandosi come quelli degli elefanti.

“ Non mi dite niente ”, mormorò con profondo dolore, tendendo le braccia in avanti, quasi ad allontanare qualcheduno che volesse trattenerlo.

Gli fu additata la stanza da letto. Egli guardò un attimo il feretro e subito si coprì gli occhi, inorridito, con una mano e fece il gesto quasi di fuggire. Ma si trattenne e cominciò a scoprirsi gli occhi lentamente, un pezzettino per volta, come fanno i giocatori con le carte del poker, per tosto ricoprirli, mentr’era scosso da singulti.

“ Tenetelo d’occhio ”, disse Elisabetta ai vicini, “ tenetelo d’occhio, che non faccia qualche grossa corbelleria ”.

“ È un uomo atterrato, finito ”, bisbigliò un’altra parente, fissando con apprensione il pachiderma.

Luigi s’avvicinò a questo.

“ Coraggio ”, gli disse. “ So che nessuna parola serve in questi casi. Solo il tempo potrà darle quella rassegnazione che oggi non trova, per la morte di suo cognato. Ma bisogna reagire. Guardi me. Sono cognato anch’io. Non le dice niente il mio contegno, la mia fortezza d’animo? Prenda esempio. Guai ad abbandonarsi, a lasciarsi vincere dallo sconforto ”.

“ No! ”, ruggì il pachiderma, col tono di chi immagina che da lui s’aspetti qualcosa del genere, un gesto drammatico, e quasi accordando uno strumento. “ No! ”.

Come a un segnale prestabilito, e quasi eseguendo una figura di danza predisposta, tutti gli si strinsero attorno, occupando immediatamente, con la precisione d’un esercizio militare, o d’una manovra su una nave da guerra per le prove di naufragio, i rispettivi posti, chi alla mano destra, chi alla sinistra, chi alla schiena, chi a una gamba, chi all’altra.

“ No! ”, ruggì ancora il mastodonte, accennando a scrollarsi.

Tutti afferrarono le rispettive prese e lo trattennero, mentr’egli abbozzava tentativi di dar la testa nei muri e ringhiava, con la spuma alla bocca: “ Lasciatemi! Lasciatemi! ”.

“ Capisco il suo dolore ”, riprese Luigi in fretta, stringendo con forza i polsi del titano infuriato, per impedirgli di por fine ai propri giorni per mezzo di strangolamento, com’egli mostrava per chiari accenni di voler fare, visto che con la forza si impediva non si sa se a lui di spaccarsi il cranio contro le pareti, o a queste di crollare nell’urto. Trattenuto nelle mani, il colosso tentò di spiccare un balzo verso la finestra, ma due parenti, con geremiadi, s’attorcigliarono alle sue gambe, inchiodandolo al pavimento.

“ Capisco il suo dolore ”, proseguì Luigi in fret ta, “ ma sia forte. Sia uomo. Ora suo cognato è lassù, che lo guarda e lo benedice. Non deve disperarsi. Si ha il dovere di vivere anche per gli altri, per quelli che ci vogliono bene, che fanno assegnamento su di noi. E via questa robaccia brutta. Non la voglio vedere ”.

Riuscì a strappargli una lametta per la barba che il pachiderma, muovendo le dita con l’agilità degli obesi, aveva tirato fuori da una tasca del panciotto e con cui tentava di tagliarsi le vene dei polsi ogni volta che ne era impedito dai circostanti. Il mastodonte si scagliò allora su una bottiglia e tentò d’afferrar la allo scopo di rompersela sulla testa, mentre tutti riunivano i propri sforzi per trattenerlo. Pantalèo si divincolò, si liberò con un balzo, ma la donna di servizio accorse dalla cucina. Senza por tempo in mezzo, la robusta ragazzotta di montagna l’afferrò per le braccia, dal di dietro, gli die un colpo col ginocchio nelle reni e riuscì a immobilizzarlo. Nella stretta ferrea, che gl’impediva il minimo movimento, il pachiderma la guardò stupito, indi, con la spuma alla bocca, rantolò: “ Lasciatemi! Lasciatemi! Voglio morire, voglio troncare una vita ormai divenuta inutile per me e per gli altri ”.

“ Ma ditegli che Piero è vivo ”, suggerì la vecchia signora Jone a bassa voce.

“ Per carità ”, bisbigliò Elisabetta. “ Lo uccideremmo. Questo è uno sfogo salutare, benefico ”.

Difatti, non andò guari che il pachiderma s’accasciò su una sedia, facendola pericolosamente scricchiolare.

“ Lasciatemi vegliare la salma ”, ansò.

Tutti abbandonarono la presa.

“ Non ci sarà pericolo a non tenerlo? ”, bisbigliò la signora Jone.

“ No, no ”, disse Elisabetta, tranquillizzandola col gesto, “ adesso la crisi è passata ”.

Il grosso gigante fissò il feretro e, alzando un braccio con gesto di profondo accoramento, disse: “ ”E tu onore di pianti, Piero, avrai, ove fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato e finché il sole risplenderà sulle sciagure umane“ ”.

S’alzò, andò presso il feretro, si curvò sul coperchio e vi depose un piccolo bacio. Indi rimase qualche istante sull’attenti accanto ad esso, in posa di chi fa una veglia d’armi. Dopodiché sedè pesantemente.

“ Io non so come fare a dargli la notizia del risuscitamento ”, gemè Elisabetta, con un fil di voce.

“ Ah, per ora è impossibile ”, disse una parente. “ Sarebbe micidiale ”.

“Micidiale”, fece eco Elisabetta. “Bisogna aspettare d’essere a casa, e allora, con calma, a poco a poco, con cautela… ”.

“ Signora ”, bisbigliò la domestica avvicinandosi a Teresa, “ i gelati si squagliano ”.

La notizia circolò ripetuta in un bisbiglio, suscitando allarmi.

“ Vuoi restare solo ”, mormorò Elisabetta, additando il pachiderma pensoso. “ Andate, resto io a vegliare che non gli venga male ”.

“ Lasciamolo solo ”, disse Teresa.

“ Gli farà bene ”, mormorò più d’uno.

In punta di piedi, tutti passarono nuovamente nella stanza da pranzo, dalla quale non tardò a venire un lieto tintinnio di bicchieri e un acciottolio di piatti, misto a voci festose.

Presso il feretro era rimasto Pantalèo, che lo vegliava con profonda mestizia e quasi con la solennità di chi compie un rito, e ogni tanto scoteva il capo, fissandolo e sospirando. Dopo poco, dalla sala da pranzo venne il suono del radiofonografo e si videro coppie che turbinavano nel valzer.

“ Ballano? ”, domandò scandalizzato Pantalèo ad Elisabetta.

Questa scosse il capo con mestizia.

“ Desiderio del defunto ”, mormorò.

“ Che animo nobile! ”, esclamò Pantalèo. “ Non ha voluto nemmeno che si piangesse attorno al suo feretro. Be’, facciamo anche noi un balletto, per ottemperare alla sua volontà ”.

S’alzò con un sospiro e cominciò a ballare pesantemente il valzer con la moglie, sospirando con tristezza.

Entrarono due operai in punta di piedi.

“ Permesso? ”, disse uno di questi. “ Siamo venuti a prendere il feretro ”.

“ Di già? ”, mormorò Pantalèo, sospendendo le danze.

Sospirò, baciò nuovamente il feretro, con viva sorpresa degli operai. Uno dei quali tirò fuori un assegno e: “ Paghiamo a lei? ”, disse.

“ Perché? ”, fece Pantalèo, stupito. “ Qui li comperate? ”.

“ Eccezionalmente. Un nostro impiegato lo compera a prezzo d’occasione ”, spiegò l’operaio. “ Ma non vuole che si sappia ”.

Pantalèo lo guardò esterrefatto.

“ Io non parlo ”, disse, intascando il danaro, “ grazie. Ma mi tolga una curiosità ”; abbassò la voce: “ Che cosa se ne fa? ”.

L’operaio si mise a ridere.

“ Be’ ”, disse, “ per che farne. Che cosa ci si fa di solito? ”.

“ Non so proprio ”, disse Pantalèo, con un fil di voce.

“ Ah, non lo sa? ”, fece l’operaio, ridendo di nuovo. “ Non lo sa? Beato lei ”.

Depositò la bolletta sul tavolo e col compagno s’incollò il feretro, mentre Pantalèo li guardava con raccapriccio. A un tratto, il pachiderma trasalì e fece una faccia più che mai scandalizzata ed esterrefatta, come per dire: “Che mondo!”: dalla sala interna venivano scoppi di tappi di spumante che saltavano e liete grida d’evviva. Ma non c’era tempo di far commenti: i due operai passarono col feretro sulle spalle.

“ Addio, addio ”, mormorò Pantalèo, facendo gesti di accorato saluto e lanciando piccoli baci sulla punta delle dita.

Si mise dietro, con solennità, per seguire le esequie. Elisabetta fé’ un cenno al parentado.

“ Andiamo anche noi ”, bisbigliò, “ altrimenti capisce ”.

Le parenti in gramaglie s’avviarono confusamente giù per le scale, dietro la cassa vuota. Appena fuori del portone, Pantalèo, che apriva il corteo, emise un singhiozzo.

“ Coraggio ”, gli disse Elisabetta, prendendolo sottobraccio. “ Ora Piero ti guarda e ti benedice di lassù ”.

Al “lassù”, istintivamente Pantalèo alzò lo sguardo e un grido soffocato gli uscì dalla strozza. 1 “ Oddio, oddio ”, disse. \ “ Che c’è? ”.

“ Un’allucinazione. Ho visto Piero alla finestra ”.

“Mava”.

“ Te lo assicuro. Come fosse vivo. Mi guardava,) sì, ma, invece di benedirmi, m’è parso che mi facesse i uno sberleffo. Per di più aveva un tovagliolo al collo e un piatto in mano. E masticava. “Lassù”, ho sen| tito dirlo spesso dei defunti. Ma significa in cielo e I non alla finestra. Io l’ho visto alla finestra. Guarda, guarda, s’affaccia ancora “, ” È un’allucinazione “ Ti dico che è lui, vivo. Uh!… ”.

IL mastodonte piegò le ginocchia.

“ È risuscitato ”, balbettò. “ Oh, gioia improvvisa e senza l’uguale ”.

Svenne. Seguì un momento di panico, mentre le I parenti sgomenti lo sostenevano e lo riportavano di peso in casa, dove lo stesero su un letto, col timore che soccombesse al nuovo colpo, all’improvvisa consolazione.

 

Fu a questo punto che, attraverso la finestra aperta, salirono dalla strada le prime note lente e solenni d’una marcia funebre.

Questa volta fu Piero a vacillare. Forse per quel suono triste e grave che doveva accompagnarlo al passo. Forse per la vista del carro, che doveva esser destinato a lui. Certo è che il poverino, già provato da tante emozioni, non resse a quest’ultima.

“ Ahi, ahi ”, mormorò, impallidendo e portandosi una mano al petto. “ Una puntura, qui. Uno spasimo. Come ieri. Gli stessi sintomi. Muoio ”.

“ Non mi ci becchi più ”, disse Marcantonio, scettico.

“ Vi assicuro ”, balbettò Piero. “ Credetemi. Muoio ”.

S’accasciò sul pavimento. Teresa si curvò su di lui ed emise un grido straziante: “ Piero! ”.

“ Richiamate la cassa, richiamate la cassa! ”, gridò Luigi, lanciandosi sulle peste degli operai usciti poco prima.

Da una stanza venne fuori Pantalèo, che fortunatamente aveva superato anche la seconda scossa.

“ Dov’è Piero? ”, domandò, tutto ilare e felice.

“ Per carità ”, disse piano Elisabetta ai vicini, facendo scudo del proprio corpo, “ non ditegli che ora Piero è morto davvero. Una terza scossa gli sarebbe fatale ”.

Vedendo che tutti lo guardavano muti e immobili, con facce costernate, Pantalèo trasecolò: “ Ma come? ”, disse. “ Gozzovigliavate quando lui era morto e piangete ora che è vivo? ”.

Guardava tutti sbalordito.