capitolo 44

«Capisco…». Il vicequestore aggiunto Napier unì davanti a sé le dita delle mani e osservò Logan. I suoi capelli brillavano come l’estremità di una batteria Duracell, mentre sorrideva arricciando il lungo naso sottile. «E crede che questo sia un motivo sufficiente per ignorare il nostro appuntamento?».

L’ufficio degli Standard di Comportamento Professionale era silenzioso, a parte il ronzio lento di un ventilatore che creava vortici nella polvere lucente alla deriva in un raggio di sole. Le altre due scrivanie erano pulite e ordinate: i proprietari erano spariti non appena Logan era entrato nella stanza, lasciandolo solo con il Brontolone Pel di Carota.

«Ho agito secondo informazioni ricevute all’ultimo momento. Voleva forse che ignorassi un indizio riguardante un reato così serio?»

«Quello che voglio, ispettore pro tempore McRae, è che lei si presenti puntuale agli appuntamenti. Non con un’ora e trentaquattro minuti di ritardo». Picchiettò i polpastrelli tra loro, un paio dopo l’altro, in avanti e poi tornando indietro, lentamente e metodicamente. «E quindi è sicuro che troveremo le piantagioni di cannabis nei posti che ha indicato?».

Una piccola offerta sacrificale per confondere le acque.

«Piuttosto certo, sì».

A meno che, ovviamente, Wee Hamish Mowat o il suo scagnozzo dai capelli verdi non gli avessero mentito.

«Bene…». Ci fu una pausa, mentre Napier fissava Logan come un patologo che esamina un cadavere. «E, da quel che ho capito, ha trovato anche il tempo di fare un salto all’Aberdeen Royal Infirmary».

«Mentre stavo venendo all’appuntamento, ho trovato un certo Daniel Fisher, a cui qualcuno aveva appena spezzato entrambe le caviglie. L’ho accompagnato in ospedale, dove ho saputo da lui che Anthony Chung stava rubando cannabis ai fratelli McLeod, organizzando un suo giro di spaccio indipendente. Poi sono andato a informarmi sulle condizioni di Dil… di Timothy Mair. I dottori dicono che la coltellata gli ha bucato un polmone, ma che dovrebbe guarire completamente». Accennò al foglio al centro della scrivania di Napier. «È tutto nel mio rapporto».

«Ah, sì, il nostro sfortunato agente degli Standard Commerciali. Strano che sia proprio lei a parlarne…».

Logan si fermò nel corridoio fuori dal proprio ufficio, le dita posate sulla maniglia. C’erano delle voci, all’interno, soffocate dalla porta chiusa, ma comunque riconoscibili.

Rennie: «No, davvero, ho…».

Steel: «Sturati le orecchie, perché non lo ripeterò due volte. Devi lasciare un segno, in questo mondo. Devi riuscire a trascinare il culo attraverso il tappeto della vita, come un cane con i vermi».

Vermi?

Rennie: «Ah… è davvero un pensiero gentile, ma…».

Steel: «Fermarti, indicare tutte quelle strisce ed esclamare: “Sono stato io!”. Capisci cosa intendo?».

Rennie: «Ehm…?».

Gli sarebbe piaciuto molto poterli lasciare a quei discorsi, ma comunque aprì la porta.

La Steel era in piedi dietro alla scrivania, con la sigaretta elettronica stretta tra i denti. Le sue mani erano sulle spalle di Rennie, a impastarle come il pane. Lui era seduto sulla sedia di Logan, con gli occhi semichiusi, le sopracciglia sollevate e le mani che si serravano a ogni stretta sulle spalle. Gli si rivolse in labiale: “Aiuto”.

Logan lasciò cadere il rapporto del fiasco di quella mattina sulla scrivania. «Spiacente di interrompere il vostro idillio, ma qualcuno ha delle faccende da sbrigare». Indicò Rennie. «Tu: fuori di qui e vai a fare qualcosa di produttivo, tanto per cambiare».

Un sorriso dolorante comparve sul volto di Rennie. «Oh, grazie a Dio…». Si alzò goffamente dalla sedia e uscì quasi di corsa dalla stanza, lasciandosi la porta aperta alle spalle.

Logan la chiuse con una lieve spinta. «Vermi?».

La Steel armeggiò brevemente con il reggiseno. «Volevi che lo guidassi: è quello che sto facendo».

«C’è una differenza tra insegnare il mestiere a qualcuno e traumatizzarlo». Logan si lasciò cadere sulla sedia rimasta vuota e prese il primo fascicolo dal contenitore delle pratiche da evadere: le trascrizioni degli interrogatori che l’ispettore Leith aveva fatto ai visitatori della casa in vendita in cui Anthony Chung era stato trovato torturato a morte.

La Steel incrociò le braccia sul petto e si appoggiò al davanzale. «Fammi indovinare: sospeso senza stipendio?».

Logan sfogliò la trascrizione. «Un’ammonizione. A quanto pare, Napier pensa che sia stato “irresponsabile coinvolgere un civile nel tentativo di arresto di un sospetto di omicidio considerato violento”».

«Sì, be’, il Nosferatu pel di carota ha ragione».

«Cosa avrei dovuto fare, lasciarla scappare?»

«È successo comunque».

Logan raggiunse la fine del rapporto. Non c’era un singolo indizio: né confessioni, né altro che potesse aiutarlo. Prese il successivo dal mucchio. «È qui per un motivo?».

La Steel fece un altro tiro della sua finta sigaretta, facendola brillare. «Un colpo di genio, tirare fuori dalla manica due piantagioni di cannabis in quel modo. Proprio nel momento più opportuno. Conveniente».

«Be’, ecco…».

«Da quanto tempo ne eri a conoscenza?»

«Non è…».

«Dovremmo essere una squadra, Laz». La sigaretta elettronica si drizzò, con la punta che brillava di un rosso vivo. «E questo significa che non tieni le informazioni per te! Pensavi di andare a chiuderle da solo, e prenderti tutto il merito? È così?»

«Ho saputo della loro esistenza soltanto stamattina, okay? Non ho avuto il tempo di fare niente in proposito».

«Oh…». La Steel aggrottò la fronte, guardando fuori dalla finestra e grattandosi il lato di un seno. «Be’… guarda il lato positivo. Dirò a tutti che sei stato tu a scoprirle, se riusciremo a chiuderle come si deve».

Logan la fissò. «Chiuderle?».

Lei tossicchiò. «Ho pensato che stavi facendo lo stronzo, e così… ho ordinato a Leith di occuparsi di quella a Westhill, e a Din-Don ho affidato quella di Blackburn. Per lo meno, così ho evitato che ricominciassero a fare a pugni».

«Grazie. Grazie di cuore, proprio».

Lei smise di grattarsi e gli puntò un dito contro. «Be’, avresti dovuto dirmelo, giusto? Invece di tenertelo per te».

Lui si piegò in avanti finché non premette la fronte sulla trascrizione piena di errori. «Dio non voglia che me ne prenda anche solo il minimo merito…».

«Non lamentarti, è colpa tua. Allora, a che punto siamo con Agnes Garfield?»

«E come mai Din-Don non è stato sospeso? Dovrei essere io a occuparmi di quelle piantagioni, era il mio…».

Qualcosa rimbalzò sulla testa di Logan. Si raddrizzò. La Steel stava appallottolando un altro foglio A4.

Glielo tirò, mancandolo. «Concentrati: Agnes Garfield».

«Ho fatto passare al pettine Mastrick dalle volanti. Finora, nessuna traccia di lei».

«Perché è scappata, ecco perché. Avevamo la possibilità di arrestarla, e tu te la sei fatta scappare».

«Non ricominci. Napier ha già detto abbastanza. Non avevamo scelta: c’era troppo poco tempo per organizzarci meglio. Se il suo dannato commando non se ne fosse andato con le chiavi dell’armeria…».

«Bla, bla, bla». La Steel prese un ultimo tiro dalla finta sigaretta, poi se la tolse di bocca e ne girò l’estremità fino a farla scattare. «Quando i nostri cari amici di Strathclyde faranno il loro rapporto sul fiasco di stamattina, cerca di non farlo sembrare come se non fossimo capaci di pisciare in un secchio senza farci accoltellare, okay?»

«Non è stata colpa mia!».

Lei si staccò dal davanzale e puntò verso la porta, con le mani piantate nelle tasche. «Potrebbe essere una buona idea se esci per un po’. In modo che il polverone si plachi. Forse… oh, non so… potresti tentare di arrestare Agnes Garfield, tanto per cambiare».

Logan le fece l’onore di un saluto con il dito medio alzato.

«Allora», Logan si appoggiò alla parete della cella, «professor Marks, come va?».

Quel che restava dei capelli dello psicologo era dritto in tutte le direzioni sulla sua grossa testa calva; gli occhi erano due buchi scuri sul volto pallido; due dita erano coperte di croste scure, dove se le era scorticate a sangue. «Ho… ho chiesto di farla chiamare perché… perché voglio collaborare».

Si era deciso un po’ troppo tardi, visto che Goulding aveva già fornito loro un profilo, ma andava bene lo stesso. «Ah, davvero?»

«Continuano a mettere gente terribilmente rumorosa nelle celle accanto alla mia. Imprecano, cantano e urlano…».

Logan controllò il taccuino. «E guardi qui: è all’ultimo posto nell’elenco degli incontri con il giudice». Gli ci volle un minimo di volontà per trattenere un sorriso. «Sembrerebbe quasi che lo abbiano fatto apposta».

«Vi consegnerò tutti i miei file su Agnes Garfield. Se avrete bisogno di una mano a interpretarli, posso farlo, naturalmente. Ma, la prego, mi faccia uscire da qui».

Logan non batté ciglio.

Marks si passò una mano sugli occhi. «Senta, è… So che ha detto che Agnes ha ucciso il suo ragazzo, ma non è possibile. Lo adora, e non sto parlando della classica accezione romantica del termine, sto dicendo che lo adora sul serio. Come se fosse un dio. Crede che lui farà sempre andare tutto bene, che possa darle tutto ciò che desidera e di cui ha bisogno nella vita».

«Sì, be’… purtroppo ora è in obitorio, con trecentosessantacinque coltellate su tutto il corpo. E poi lo ha strangolato».

«Agnes non è un’assassina».

«Davvero?». Logan incrociò le braccia. «No, perché l’ho vista accoltellare un mio amico, questa mattina, dritto nel petto con un pugnale fatto per un film. Ora è in terapia intensiva. L’ha quasi ucciso».

Marks portò le mani coperte di croste alle tempie. «Lei…». Inspirò profondamente. «Se non sta prendendo i suoi farmaci, gli episodi psicotici peggioreranno. Per lei sarà tutto terrificante, si troverà in un mondo popolato da mostri e streghe, di netta separazione tra bene e male. E lei crede con tutta se stessa di essere dalla parte del bene. Tutto quello che fa, lo fa nella convinzione di salvare la gente. Non è colpa sua».

«Di cosa avete parlato quando l’ha chiamata dopo che era scomparsa?»

«È venuta a trovarmi un paio di volte. Era… entusiasta. Felice. Diceva che stava facendo la differenza, svolgendo il lavoro della Kirk».

«E lei non lo ha detto a nessuno. Ha lasciato che i suoi genitori continuassero a preoccuparsi».

«Non potevo, mi ha fatto promettere che avrei tenuto la bocca chiusa. E io devo rispettare i desideri dei miei pazienti».

Viscido stronzo.

«Le ha detto che aveva ucciso qualcuno?»

«Lei non ha ucciso nessuno. Non può averlo fatto. A meno che non sia stato Anthony Chung a ordinarglielo».

Il che avrebbe reso la sua morte dopo indicibili torture uno dei suicidi più idioti della storia. Goulding aveva ragione: il professor Marks era un incompetente.

Logan accennò al materasso. «Aspetti qui. Andrò a parlare con il secondino. Forse riuscirò a farla uscire senza che qualcuno la trascini davanti al giudice».

Un enorme sorriso fece la sua comparsa sul volto di Marks, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime. «Grazie».

«Ma lei dovrà fare qualcosa per aiutarci a prenderla, prima che faccia del male a qualcun altro».

Un cenno di assenso. «Sì, certo, naturalmente».

Logan uscì dalla cella e si chiuse la porta alle spalle.

Il secondino se ne stava nel corridoio, a testa bassa, con la punta della lingua che sporgeva all’angolo della bocca mentre digitava un messaggio sul cellulare. «Gliel’avevo detto che l’avremmo convinto».

«Ricordami di non farti mai incazzare…». Poi aggrottò la fronte, al sentire un brusio di voci soffocate dal piano di sopra, il braccio femminile. Poco dopo, un applauso si udì dalla scala di cemento. «Che cos’è tutto questo casino?»

«Non ha sentito? Ci siamo guadagnati una celebrità. È stata arrestata per aggressione».

«Non sarà di nuovo quell’idiota della radio, vero? Quella che aveva partecipato al reality dei cantanti…».

«No, sto parlando di una vera stella di Hollywood. Praticamente tutti gli agenti del turno di giorno si sono radunati di sopra come un gregge di caproni infoiati, e si sono offerti volontari per perquisirla».

Santo cielo… Logan indicò la cella del professor Marks.

«Fallo uscire. Ritireremo le accuse nei suoi confronti».

«E tutto grazie al mio malefico genio».

«Sì, grazie al tuo malefico genio». Logan ripose in tasca il taccuino. «E se ti è venuta voglia di postare su Twitter che abbiamo arrestato una tizia famosa, ti consiglio di non farlo. Questa è una stazione di polizia, non la redazione del “News of the World”».

Il secondino Kelly arrossì. «Non mi sarebbe mai neanche passato per l’anticamera del cervello».

Sì, certo.

Logan salì al piano di sopra, da dove veniva tutto quel baccano.

Il corridoio era pieno di agenti in uniforme e in borghese, tutti intenti a fissare qualcosa davanti a loro, nascosto dall’assembramento. Ci fu un altro applauso.

Logan picchiettò sulla spalla dell’agente più vicino.

Guthrie si voltò e gli sorrise sornione, con in mano un formaggino Babybel già liberato per metà dal suo involucro di cera rossa. Le sue sopracciglia chiare erano decisamente inarcate al di sopra degli occhi acquosi e arrossati. «Non è fantastico?». Diede un morso al formaggino, consumandone la metà.

«Che state facendo, tutti quanti?».

Guthrie accennò alla folla, masticando a bocca aperta. «Si sta facendo scattare delle foto. Ovviamente, metà di questi idioti non ha idea di chi sia, pensano che sia semplicemente la donna che si spogliava in Three Dead Men, ma ha fatto degli eccellenti film indipendenti».

«E si sta facendo fotografare?». Logan prese un profondo respiro. «tornate al lavoro, branco di idioti! siete degli agenti di polizia!».

Si fece strada in mezzo alla folla. «Mi avete sentito: fuori di qui!».

Ci fu un coro di proteste e si sprecarono bronci e smorfie. «Oh, ma capo…».

«Tornate al lavoro! Forza!».

Lentamente il gruppo si disperse, a passi svogliati e strascicati, finché restarono soltanto Logan, un secondino con i baffetti da pornodivo e Morgan Mitchell.

Aveva i capelli rosso fuoco che brillavano sotto alla luce dei neon, gli occhi turchesi circondati da strati di make-up scuro, e indossava una T-shirt di csi New Orleans, un paio di jeans e stivali con i tacchi alti. Gli sorrise. «Ispettore Logan, è venuto anche lei per una foto?».

Logan fulminò con lo sguardo il secondino. «Sarà meglio che tu abbia una buona spiegazione per questa faccenda, Andy».

«Ecco… pensavo che… cioè…». Si schiarì la gola, poi lanciò un’occhiata a Morgan. «Ehm…?»

«È stata una mia idea. Ho pensato di tirare un po’ su il morale degli agenti. E non è un problema, per me, sa, finché nessuno prova ad allungare le mani».

«Andy, se la detenuta non sarà nella sua cella entro trenta secondi, una ripassata da parte di quelli degli Standard di Comportamento Professionale diventerà l’ultimo dei tuoi problemi».

«Sì, capo. Scusi, capo». Si asciugò le mani sul davanti della T-shirt bianca che indossava e poi prese Morgan per un braccio. «Se non le spiace, signorina…».

Lei si fece portare via senza opporre resistenza, sorridendo a Logan mentre la porta si chiudeva, nascondendola alla vista.

Andy spostò il peso da un piede all’altro. «Non era niente di così esagerato… voglio dire, non stava ricevendo trattamenti di favore o altro, erano solo un paio di scatti per…».

«Sta’ zitto. Perché è stata arrestata?»

«Sì…». Andy si avvicinò a uno scaffale sulla parete e tornò con una cartelletta e un pennarello indelebile. A quel punto, scrisse le parole morgan mitchell - aggressione sulla targhetta accanto alla porta della cella. «Senta, non era affatto…».

«Sono sicuro che hai qualcosa di importante da fare, Andy. Quindi conterò fino a tre».

«Ma…».

«Uno».

«Veramente…».

«Due».

«Ehm…». Andy si infilò la cartellina sotto al braccio e si allontanò di fretta, le scarpe che scricchiolavano sul pavimento di cemento.

Logan chiuse gli occhi e si strinse il setto nasale tra due dita. Era come lavorare in un dannato asilo infantile.

Poi aprì la finestrella della porta.

Morgan era in piedi al centro della cella, con le braccia spalancate e le narici dilatate, ondeggiando lentamente di lato mentre portava a termine un lento giro su se stessa. Quando tornò a guardare verso la porta, riabbassò le braccia e gli sorrise. «Mi piacciono gli uomini che sanno farsi rispettare».

«Pensa che sia divertente?».

Lei si scostò dal viso i riccioli scarlatti. «Non mi ha voluto arrestare, quindi ho dovuto improvvisare».

«Assalendo qualcuno».

«Ho pensato che sarebbe stato felice di ammanettarmi». Si morse il labbro inferiore. «So essere molto cattiva».

«E pensa che valga la pena di sporcarsi la fedina penale per quel film che deve girare?».

Lei si limitò a sorridergli.

Perfetto. Logan ricambiò il suo sguardo. «Mi lasci indovinare: domani, proprio quando starà per finire davanti al giudice, chiunque lei abbia aggredito miracolosamente ritirerà la denuncia. Quindi, niente fedina penale sporca e nessun problema a entrare o uscire dal paese».

«Witchfire è un passo importantissimo per la mia carriera. Se la mia interpretazione sarà impeccabile in questo film, la prossima volta sarò io a ottenere il ruolo da protagonista in un blockbuster hollywoodiano. Potrò scegliere in che film recitare. Potrò lavorare con delle leggende del cinema».

«Non se la faccio condannare per aver fatto perdere tempo alla polizia, sicuramente no».

«Sa, quando io e Nichole abbiamo scoperto che avremmo recitato in Witchfire, abbiamo organizzato quel ritiro con una setta in Wyoming. Hanno una tenuta in mezzo alle colline, dove “L’Uomo” non può raggiungerli. E abbiamo imparato cosa significa essere streghe nella vita reale».

«Far perdere tempo alla polizia è reato».

«Sapeva che le bambole vudù non hanno niente a che fare con il vudù? Hanno origini europee, in realtà: “Fattafattura, dolore e paura”».

«Chi ha corrotto perché la denunciasse per aggressione?»

«Vede, è questo che permette a un attore di ottenere un’interpretazione perfetta: bisogna davvero calarsi nel personaggio, non limitarsi a recitare le battute come un dilettante. Bisogna entrare nella parte… viverla. È questo che fa la differenza tra…».

Logan chiuse di scatto la finestrella. Era già abbastanza insopportabile che ci fossero dei veri criminali in libertà, senza dover anche riempire le celle di pazzi che si facevano arrestare per divertimento.

Sentì la sua voce arrivare soffocata da dietro la porta. «Allora… vuole una seconda occasione, per quelle manette?».