La Sposa con il Naso Rotto
Per il matrimonio non c’era stato molto da
organizzare, e così il giorno era arrivato abbastanza in fretta. A
un certo punto Michael si era chiesto che cosa fare di tutti i
quadri – i ritratti di Abbey. Doveva tenerli? Distruggerli?
Gettarli via? Penelope, all’inizio, non aveva avuto il minimo
dubbio.
«Dovresti tenerli», gli
aveva detto, «o venderli; non meritano di essere distrutti.» Calma,
aveva allungato una mano a toccare una tela: «Guardala, è talmente
bella».
E allora, per caso,
l’aveva sentita.
Una fiammata di
gelosia.
Perché non posso essere
così?, si era chiesta, pensando ancora una volta a quel terreno
interiore vasto e distante, dove ogni tanto Michael si ritirava,
anche se si trovava accanto a lei. In momenti simili avrebbe voluto
disperatamente essere più brava, migliore di Abbey… Ma i quadri
erano una prova: c’era stato un tempo in cui lei era stata il suo
tutto.
Alla fine, era stato un
sollievo quando li avevano venduti.
Avevano messo uno dei
più grandi su una rotonda, vicino a Pepper Street, con luogo e data
della vendita d’arte, ed entro sera era stato rubato. Il giorno del
mercatino, nel garage, nel giro di un’ora tutti i dipinti erano
stati acquistati. Erano andati via in fretta, perché alla gente
piacevano; piacevano Abbey e Penelope.
«Dovresti ritrarre lei»,
avevano detto molti compratori, indicando Penelope. E Michael non
aveva potuto far altro che sorridere.
«Lei è molto meglio di
persona», aveva risposto.
Poi venne il momento
dell’ennesimo ostacolo, per la fortunata Penelope.
Non tanto l’evento in sé
– un errore suo –, ma il fatto che fosse avvenuto proprio la
mattina della vigilia delle nozze. Stava lasciando Lowder Street
per imboccare Parramatta Road, al volante della vecchia berlina di
Michael.
Non aveva mai guidato
nel blocco orientale, anche se il suo occhio era ancora abituato
alla carreggiata destra. Gli esami li aveva fatti in Australia, li
aveva superati con buoni risultati, e prendeva spesso l’auto. Non
c’erano mai stati problemi… tranne quella mattina. Aveva eseguito
una svolta a destra perfetta… finendo però sul lato sbagliato della
strada.
Sul sedile posteriore
c’era l’abito da sposa che aveva appena ritirato, modesto e fluido;
la macchina era stata colpita alla fiancata, quasi un demone
l’avesse presa a morsi. Penelope si era fratturata le costole. Il
naso si era beccato una gran botta e si era rotto: era andata a
sbattere con la faccia sul cruscotto.
L’uomo alla guida
dell’altra auto si era messo a imprecare, ma poi aveva visto il
sangue.
Lei si era scusata in
due lingue.
Poi erano arrivati la
polizia e due uomini con il carro attrezzi, in competizione tra
loro, che avevano negoziato, mentre sudavano e fumavano. All’arrivo
dell’ambulanza, avevano provato a convincerla ad andare in
ospedale, chiarendo però che non potevano
costringerla.
Penny aveva insistito
che stava bene.
C’era un disegno dalla
forma strana, sul davanti del suo vestito: un murale oblungo di
sangue.
No, si sarebbe fatta
visitare dal suo medico, aveva assicurato, e tutti si erano
mostrati d’accordo: era più tosta di quanto sembrasse.
Gli agenti,
scherzosamente, le avevano detto che era in arresto (significava
che l’avrebbero fatta salire sull’autopattuglia) e l’avevano
riaccompagnata a casa. Il poliziotto più giovane, quello che
masticava gomma alla menta piperita, si era anche preso cura
dell’abito da sposa, che aveva adagiato con delicatezza nel
bagagliaio.
A casa, sapeva bene che
cos’avrebbe dovuto fare.
Darsi una
ripulita.
Bere una tazza di
tè.
Chiamare Michael, e poi
la compagnia di assicurazioni.
Come forse immaginerete,
non aveva fatto nessuna di queste cose, appena
entrata.
No. Con le forze che le
erano rimaste, aveva messo il vestito sul divano e si era seduta al
pianoforte, avvilita e desolata. Aveva suonato metà della
Sonata al chiaro di luna, e non era riuscita a vedere nemmeno una
nota.
Dal medico, un’ora più
tardi, non aveva urlato.
Michael le aveva tenuto
la mano, mentre lui premeva con delicatezza sulle costole, e con
uno strattone le raddrizzava il naso.
Si era limitata a
sussultare e deglutire.
Uscendo, tuttavia, aveva
ceduto, e si era dovuta sdraiare sul pavimento della sala
d’aspetto. La gente aveva allungato il collo per vedere cosa fosse
successo.
Mentre la aiutava a
tirarsi su, nell’angolo della stanza Michael aveva notato i soliti
giocattoli per i bambini… ma li aveva liquidati con un’alzata di
spalle. E l’aveva accompagnata fuori.
A casa, sul vecchio
divano logoro, Penelope si era distesa con la testa sul suo grembo.
Gli aveva chiesto se gli andasse di leggerle qualche verso
dell’Iliade, e per Michael era giunta una nuova consapevolezza:
anziché pensare, come sarebbe stato ovvio: Non sono tuo padre, era
andato oltre. In quel momento aveva compreso di amarla più di
Michelangelo e Abbey Hanley messi insieme.
Le aveva asciugato le
lacrime che le rigavano le guance.
C’era del sangue, tra le
crepe nelle labbra.
Aveva preso il libro e
aveva letto, e lei aveva pianto, e poi aveva dormito, e aveva
continuato a sanguinare…
C’erano Achille piè
veloce, Ulisse l’ingegnoso, e tutti gli altri dèi, e i guerrieri. A
lui piaceva particolarmente Ettore il massacratore, detto anche il
domatore di cavalli, e Diomede, vero figlio di Tideo.
Era rimasto con lei
tutta la notte.
E aveva letto, aveva
girato le pagine, e aveva letto ancora.
E poi c’era stato il
matrimonio, il giorno seguente.
Il 17
febbraio.
Gli invitati erano
pochi.
Alcuni commercianti
amici di Michael.
E un gruppetto di donne
delle pulizie, dalla parte di Penny.
C’erano Adelle Dunbar e
il vecchio dottor Weinrauch, che aveva dato a Penelope degli
antinfiammatori. Grazie al cielo il gonfiore era passato;
sanguinava ancora, di tanto in tanto, e l’occhio nero si vedeva
nonostante gli svariati tentativi di coprirlo.
Anche la chiesa era
piccola, ma dall’aspetto cavernoso. Era buia, per via delle
finestre piombate; c’era l’immagine variopinta di un Cristo
torturato. Il pastore era alto, e aveva una calvizie incipiente.
Aveva riso quando Michael si era chinato su di lei e le aveva
detto: «Visto? Nemmeno un incidente d’auto ti ha impedito di essere
qui». Ma era apparso così triste quando la prima goccia di sangue
era caduta sull’abito, allargandosi come una macchia su una cartina
di tornasole.
Erano arrivati in aiuto
da ogni parte, e Penny si era lasciata andare a un singhiozzo, che
si era portato via il suo sorriso. Aveva accettato il fazzoletto di
Michael, dicendogli: «Ti stai unendo in matrimonio a una sposa con
il naso rotto».
«Bravo ragazzo», aveva
commentato il prete appena il sangue si era fermato e, un po’
esitante, aveva proseguito – e il Cristo variopinto aveva assistito
alla cerimonia, fino a che non li aveva dichiarati marito e
moglie.
Si erano girati, come
fanno quasi tutte le coppie, e avevano sorriso alla
congregazione.
Avevano firmato le
carte.
Avevano percorso la
navata centrale e varcato le porte aperte, camminando verso il sole
incandescente – e quando ci penso rivedo quella felicità, tanto
difficile da catturare, stretta nelle loro mani.
Restavano ancora due
capitoli delle vite che avevano avuto prima di noi.