Peter Pan
«Clay? Sei sveglio?»
All’inizio non gli aveva
risposto, ma Henry sapeva che non stava dormendo. Una
caratteristica di Clay era quella di non dormire quasi mai. Ciò che
lo sorprese fu vedere la lampada accesa, e sentire che suo fratello
aveva qualcosa da dire.
«Come va?»
Henry sorrise. «Brucia
tutto. Tu?»
«Puzzo di
ospedale.»
«La cara vecchia signora
Chilman. Ti ha fatto male quella roba che ti ha messo sulle ferite,
vero?»
Clay avvertiva una
striscia rovente sul lato del viso. «Sempre meglio dell’alcol. O
del Listerine di Matthew.»
Prima, erano successe
alcune cose.
Il salotto era stato
ripulito.
Avevamo convinto il
pesce e il piccione a restare.
Henry aveva raccontato
la sua impresa in cucina, e la signora Chilman era arrivata dalla
casa accanto. Era venuta a medicare Clay, però Henry ne aveva avuto
più bisogno di lui.
Ma in cucina, prima di
fare qualunque altra cosa, Henry aveva dovuto spiegare, e questa
volta aveva semplicemente accennato all’accaduto; aveva nominato
Schwartz e Starkey e la ragazza, ed era molto meno allegro di
prima, e io pure. In effetti ero pronto a scaraventargli addosso il
bollitore, o a colpirlo in testa con il tostapane.
«Hai fatto
cosa?» Non
riuscivo a credere alle mie orecchie. «Pensavo fossi uno dei più
svegli, qui… una stronzata del genere me la sarei aspettata da
Rory.»
«Ehi!»
«Sì», aveva detto Henry,
«un po’ di rispetto…»
«Starei attento in
questo momento, se fossi in te.» Avevo gli occhi fissi sulla
padella, che oziava sul fornello. Non sarebbe stato difficile darle
qualcosa da fare. «Che cosa diavolo è successo, comunque? Ti hanno
pestato a sangue, o ti sono passati sopra con un
camion?»
Henry aveva espirato,
forte. «Ok, ascolta… Schwartz e Starkey sono bravi ragazzi.
Gliel’ho chiesto, abbiamo bevuto, e poi…» Aveva fatto un altro
respiro. «Nessuno dei due l’avrebbe fatto, e così ho cominciato a
dare fastidio alla ragazza.» Guardò Clay e Rory. «Sapete… la tizia
con quelle labbra.»
Vuoi dire quella con la
spallina del reggiseno che scivola, si era detto Clay.
«Vuoi dire quella con le
tette», era intervenuto Rory.
«Lei.» Henry aveva
annuito, felice.
«E?» lo avevo incalzato.
«Che cos’hai fatto?»
Di nuovo Rory: «Ha le
tette che sembrano due panini, quella tipa».
Henry: «Trovi? Panini?
Non l’avevo mai sentita, questa».
«Ehi, voi due, avete
finito, cazzo?»
Henry mi aveva ignorato
completamente. «Meglio che due pizze», aveva detto. Era una
conversazione privata tra lui e Rory, Cristo santo. «O due
ciambelle.»
Rory aveva riso, e poi
si era fatto serio. «Hamburger.»
«Ci vuoi anche le
patatine?»
«E una Coca», aveva
ridacchiato Rory. Ridacchiato, esatto.
«Calzoni.»
«Che cos’è un
calzone?»
«Ge-sù
Cristo!»
Avevano continuato a
ghignare tutti e due, e Henry aveva il sangue che gli colava fino
al mento, ma almeno aveva ottenuto la loro attenzione.
«Ti senti bene,
Matthew?» aveva chiesto Rory. «Erano anni che non facevamo una
conversazione così, cazzo!»
«Probabilmente non
l’avevamo mai fatta.»
Rory aveva guardato
Clay. «Una chiacchierata a cuore aperto di qualità.»
«Be’…» Avevo indicato un
punto in mezzo a loro. «Mi dispiace interrompere i vostri discorsi
su pizze, hamburger e prodotti da forno vari, e il fatto che stiate
legando così bene per un paio di tette infarinate…»
«Visto? Infarinate!
Nemmeno Matthew può resistere!»
«…Ma non mi
dispiacerebbe sapere che cosa diavolo è successo, là
fuori.»
Al che Henry aveva
lanciato un’occhiata sognante verso il lavello.
«E?»
Poi aveva battuto le
palpebre per tornare in sé. «E cosa?»
«Cos’è
successo?»
«Oh… sì…» Aveva fatto
appello a tutte le sue energie. «Ecco, loro non volevano
picchiarmi, così sono andato da lei – a quel punto ero parecchio
ubriaco – e ho pensato di… darle una palpatina…»
«E?» aveva domandato
Rory. «Com’era?»
«Non lo so… ho esitato.»
Ci aveva pensato su un bel po’. «Ma mi aspettavo qualcosa di…
soffice.»
«Ah ah! E
poi?»
Henry, a metà tra un
sorriso e un’espressione mesta, aveva risposto: «Be’, lei aveva
capito che cosa stavo per fare». Aveva deglutito, al ricordo del
dolore che aveva provato. «Così mi ha mollato quattro pugni nelle
palle, e tre in faccia.»
C’era stato un autentico
urlo corale: «Gesù!»
«Lo so… mi ha
scaraventato addosso l’intero repertorio.»
Rory, in particolare, si
era eccitato. «Lo vedi, Clay! Quattro! Quella sì che è dedizione!
Niente cagate come due colpi nelle palle e stop.»
Clay aveva riso,
forte.
«E poi», aveva ripreso
finalmente Henry, «i vecchi Starkers e Schwartz mi hanno finito.
Dovevano.»
Ero perplesso.
«Perché?»
«Non è evidente?» aveva
chiesto Henry, concreto. «Temevano che dopo sarebbe toccato a
loro.»
Torniamo nella sua
stanza. Mezzanotte era passata da un pezzo, e Henry si tirò su a
sedere, bruscamente.
«’Fanculo», disse, «sono
abbastanza sobrio, vado a recuperare l’auto.»
Clay sospirò e lo seguì
giù dal letto.
La pioggia era un
fantasma che potevi attraversare.
Era già quasi asciutta,
quando arrivava al suolo.
Prima, non molto dopo
l’enigma di ciò che era successo alla testa di Henry e il discorso
sulle tette ben cotte, avevano grattato alla porta sul retro, e
bussato a quella principale.
Sul retro c’erano Rosy e
Achilles, in piedi e impazienti.
Al cane avevo detto:
«Tu… dentro».
Al mulo: «Tu… ficcatelo
in quel testone ottuso. La cucina è chiusa».
Quanto alla porta
anteriore, ai colpi si era unita una voce, forte.
«Matthew! Sono la
signora Chilman.»
Avevo aperto alla
donnina tarchiata con le rughe onnipresenti e gli occhi che
brillavano, che mai una volta veniva ad accusarci di qualcosa.
Sapeva fin troppo bene che in quella casa c’era un mondo
completamente diverso, e che una scazzottata nel prato era normale
come lavare i piatti (e probabilmente era considerata più
divertente), e inoltre, lei chi era per giudicare? Anche quando
aveva realizzato che c’eravamo soltanto noi, non mi aveva chiesto
come tirassimo avanti. La signora Chilman aveva la saggezza delle
persone di una volta: aveva visto ragazzi dell’età di Rory, e mia,
spediti oltreoceano per essere ammazzati. All’inizio ci aveva
portato della minestra (indicibilmente grumosa e calda) e ci
avrebbe chiesto aiuto per aprire i vasetti fino alla fine dei suoi
giorni.
Quella sera, era pronta
a contrattare.
Aveva parlato con me;
poche parole.
«Ciao Matthew, come va,
ho pensato di dare un’occhiata a Clay, è un po’ malconcio, eh? Poi
darò un’occhiata anche alle tue mani.»
E in quel momento era
giunta la voce dal divano, una voce a cui era attaccato un sorriso.
Henry.
«Guardi prima me,
signora Chilman!»
«Gesù!»
Ma che aveva quella
casa?
Una volta dentro,
imprecavano tutti.
L’auto era al
Bernborough Park, e ci andarono sotto la
pioggerellina.
«Ti va di fare qualche
giro?» chiese Clay.
Henry incespicò in una
risata.
«Sì, ma in
macchina.»
In auto, non dissero
nulla. Imboccarono strade e vicoli, e Clay catalogava i nomi.
Empire, Carbine, Chatham Street, poi Gloaming Road, dove c’era
il Naked Arms. Ripensò a tutte le volte che era passato di lì con
Carey Novac, che allora era appena arrivata.
Continuavano a vagare
per le vie, e Clay spesso si voltava a guardare.
«Ehi», disse. «Ehi,
Henry.» Erano fermi al semaforo di Flight Street, ma lui parlò
rivolto al cruscotto. «Grazie per quello che hai
fatto.»
E bisogna dare a Henry
quel che è di Henry, soprattutto in momenti del genere; gli strizzò
l’occhio pesto. «La cara, vecchia ragazza di Starkey,
eh?»
L’ultima fermata, prima
di tornare a casa, fu al margine di Peter Pan Square, dove rimasero
seduti a guardare il parabrezza, e la statua al centro della
piazza. Attraverso la cortina di pioggia, Clay distinse appena i
ciottoli, e il cavallo che dava il nome a quel luogo.
Sul montatoio c’era
scritto:
PETER PAN
CAVALLO MOLTO CORAGGIOSO
DUE VOLTE PRIMO NELLA CORSA
CHE FERMA UN’INTERA NAZIONE
1932, 1934
Sembrava quasi che anche
lui li stesse guardando, con il muso girato da un lato, ma Clay
sapeva che il cavallo cercava attenzione… o un morso da un rivale.
Soprattutto da Rogilla. Peter Pan odiava Rogilla.
Anche il fantino – Darby
Munro – in sella, pareva osservarli. Henry girò la chiave. Quando
l’auto si mise in moto, i tergicristalli entrarono in funzione. Si
muovevano forse ogni quattro secondi, e cavallo e fantino
continuarono ad apparire e a sparire, finché Henry
parlò.
«Ehi, Clay.» Scosse la
testa e sorrise. Un sorriso appena accennato. «Dimmi com’è lui,
adesso.»