Burlona nel corridoio
C’era una volta – ed è quasi una delle ultime occasioni in cui lo scrivo
–, nella marea del passato dei Dunbar, una donna che ci aveva detto
che sarebbe morta; e il mondo era finito quella sera, in quella
cucina. C’erano dei ragazzi sul pavimento, divorati dalle fiamme; e
il mattino dopo il sole era tornato a sorgere.
Ci eravamo svegliati
tutti molto presto.
I nostri sogni erano
stati turbolenze in volo.
Prima delle sei, persino
Henry e Rory erano in piedi, e notoriamente avevano l’abitudine di
dormire nelle situazioni difficili.
Era marzo, e l’estate
sembrava non voler finire, e ci eravamo riuniti nel corridoio, le
spalle e le braccia pelle e ossa. Eravamo lì, ma ci sentivamo
bloccati. Ci chiedevamo come dovevamo comportarci.
Papà era venuto da noi,
e aveva fatto uno sforzo. A tutti, uno dopo l’altro, aveva posato
una mano sul collo.
Un tentativo di
normalità.
Il problema era che,
quando se n’era andato, l’avevamo visto afferrare le tende, e
appoggiarsi al pianoforte; tremava tutto. Il sole caldo si
riversava in casa, onda su onda, e noi, in silenzio, eravamo andati
a metterci dietro di lui.
Ci aveva assicurato che
stava bene.
Quando si era voltato e
ci aveva guardato in faccia, però, nei suoi occhi acquamarina non
c’era luce.
*
Quanto a noi.
Io, Henry e Clay
indossavamo una canottiera e un paio di vecchi
pantaloncini.
Rory e Tommy erano in
slip e maglietta.
Ciò che si erano
infilati per andare a dormire.
Mascelle serrate, tutti
quanti.
Il corridoio era invaso
dalla stanchezza, da gambe e stinchi di ragazzini. Tutti fuori
dalla loro stanza… una fila che si allungava verso la
cucina.
Quando lei era uscita
dalla camera, era vestita per andare al lavoro: jeans, e camicia
blu scuro. I bottoni erano sottili, di metallo. Aveva raccolto i
capelli in una treccia che le scendeva lungo la schiena; sembrava
pronta per andare a cavallo, o qualcosa di simile, e, cauti,
l’avevamo osservata… E Penelope non era riuscita a
trattenersi.
Con la sua treccia
bionda, era raggiante.
«Che vi è preso?» ci
aveva detto. «Non è morto nessuno, no?»
E quella domanda era
stata il detonatore.
Si era messa a ridere,
ma Tommy era scoppiato a piangere, e lei si era accovacciata e
l’aveva stretto a sé… e poi tutti quanti, chi in canotta e
pantaloncini, chi in maglietta e mutande, ci eravamo lasciati
cadere vicino a lei.
«Ho esagerato?» aveva
chiesto, e sapeva che era così, glielo dicevano tutti quei corpi
che le si erano spalmati addosso.
Aveva sentito la stretta
delle nostre braccia.
E papà aveva guardato la
scena, debole e indifeso.