21 DICEMBRE, 12.15, ORA STANDARD DELLE HAWAII-ALEUTINE
A casa con Camille Spencer
Postato da Madisonspencer@oltretomba.inferno
Gentili Tweeter,
non dovete credere neppure per un istante che una qualche parte di quel tonante elicottero fosse alimentata a pannelli solari o con l’energia del moto ondoso, e dopo circa un milione di galloni di succo di dinosauro ci posammo sul Pangaea Crusader. Ah, che palais imperiale galleggiante è il Pangaea Crusader… Nonostante il vascello sia una sorta di stazione spaziale transoceanica, dipinta di un lucente bianco artico e appena più corta di Long Island, il salone principale è stato arredato a simulare gli interni di una tipica catapecchia da baraccopoli come quelle che si incontrano nelle favelas di gran parte delle megalopoli del Terzo Mondo. Se non fosse per il lieve, fluido rollio sulle onde salate del Pacifico, gli interni dello yacht potrebbero tranquillamente trovarsi nei più disastrati dintorni di Soweto o di Rio de Janeiro.
Grazie alla magia della fibra di vetro e della pittura trompe-l’œil, una paratia del salone sembra un muro in rovina fatto di traballanti blocchi di calcestruzzo infusi di asbesto. I più quotati graffitari del mondo vi hanno applicato a mano strati su strati di tag da pseudogangster con vernice spray fintamente a base di piombo. L’impressione generale è di minaccia, di identificazione e unione politica con la violenza delle masse mondiali, e non è tanto diversa dall’effetto prodotto dai luridi interni di un gabinetto pubblico situato lungo un’autostrada trafficata nel tedioso Nord dello Stato.
In risposta a HadesBrainiacLeonard, riconoscerò che è davvero un allestimento scenico spropositato, ma vi prego di portare pazienza. Ci avviciniamo a un episodio toccante, il ritorno di una figliola prodiga al seno quasi-accudente della madre. Mi concentro perciò sull’aspetto scenografico solo perché non sono pronta alla profonda emozione che sto per provare.
Alla fine, l’uomo dallo sbatacchiante e immondo codino, il signor Crescent City, si presenta al cospetto di mia madre nello spazioso salone principale dello yacht. Non vista, lo accompagno a questa udienza.
Mentre posto questo pezzo, mia madre stringe un alto bicchiere pieno per metà di sciroppo per la tosse al gusto di ciliegia e per l’altra metà di rum scuro, guarnito da un rametto di ananas bio fresco e tre ciliegie al maraschino infilzate nell’asticella di balsa di un ombrellino di carta prodotto a salario minimo da mani scure messe in azione grazie a microfinanziamenti giunti dal Primo Mondo.
Potrà sembrare paradossale che mia madre, perennemente in lotta contro il degrado ambientale, sia sempre così inquinata. Non aiuta il fatto di esserle seduta accanto. Il mio io fantasma le è abbastanza vicino da leggere con lei una didascalia sulla rivista “People”, ma lei non può vedermi.
Seduta proprio davanti ai suoi occhi, scrocchio le falangi, mi agito senza sosta e mi tolgo caccole fantasma e mi mordo le unghie fantasma, sempre nella speranza che stia solo fingendo di non vedermi; mi sta soltanto ignorando e da un momento all’altro, voltandosi verso di me, strillerà: «Madison Desert Flower Rosa Parks Coyote Trickster Spencer… PIANTALA!».
Comunque sia, ebbra o sobria, eccola lì: Camille Spencer, spaparanzata sul suo divano, un drink in una mano, un rotocalco posato sulle ginocchia. Con la voce meravigliosamente impostata che usa di norma solo con le cameriere somale e il Dalai Lama, domanda al suo cacciatore di taglie psichico: «Signor City, può in tutta onestà affermare di aver trovato lo spirito di Madison?».
La sua voce suona come una trappola. Come un cobra pronto a scattare.
Da Mr K, da sotto lo schifo cespuglioso dei suoi baffi color labbra, escono le parole: «Signora, ho trovato sua figlia».
Negli occhi di mia madre c’è il dolore ardente che la lingua vede quando si dà un morso a una pizza quattro stagioni un po’ troppo scaldata con il microonde. «E la prova, signor City?» domanda lei.
«Una volta, tanto tempo fa» dice Mr K, «lei ha mangiato della merda di gatto, e sua madre le ha tolto dal culo un verme lungo come uno spaghetto.»
A mia madre va di traverso il drink. Sputacchiando sangue di granatina rossa sul dorso della sua mano, tossendo come sua madre, ossia mia nonna, riesce a gracidare: «Gliel’ha detto la mia defunta madre?».
No. Crescent scuote la testa. «Me l’ha detto sua figlia, lo giuro.»
«E il mio padre assassinato?» domanda, cercando di sedare la tosse con un altro sorso. «Immagino avrà trovato anche lui.»
Crescent annuisce.
«Ha parlato con lui?»
Santo cielo. Il mio accompagnatore rimbambito dalla droga sta per smascherarmi come terrorizzata maciulla-piselli da gabinetti pubblici.
Di nuovo, Crescent City annuisce. Mentre si sporge in avanti, le candele accese nella stanza illuminano il suo viso smunto, come le luci sul bordo di un palco, con il bagliore a indorargli le rughe e la barba in ricrescita sul mento. «Suo padre, il signor Benjamin, mi ha detto che non è stato assassinato.»
«Lei, allora, signor City» sbotta mia madre «è un ciarlatano!»
“Non è stato assassinato?”
«Lei, signor City!» inveisce mia madre. Con un ampio gesto del braccio gli punta un dito contro, e questo studiato e plateale movimento sradica il rotocalco dal suo grembo. «Lei è un truffatore!» La rivista ricade a poca distanza sul pavimento, a faccia in giù. «Perché mia figlia non è morta! Mio padre è stato macellato da uno psicopatico! E mia figlia è viva!»
È impazzita: io non sono viva né psicopatica.
Sul pavimento ai nostri piedi, la copertina del rotocalco strilla: Maddy Spencer risorta! Con caratteri appena più piccoli, un catenaccio strombazza: E ha perso 30 chili!
«Non è tenuta a fidarsi» dice Mr K, e infila una mano nel puzzolente ascesso di denim che è la tasca dei suoi pantaloni. Ne estrae una boccetta con una polvere bianca ormai familiare e dice: «Posso dimostrarglielo». Le porge la boccetta: «Prego, Santa Madre Camilla, parli lei stessa con Madison».