21 DICEMBRE, 14.05, ORA STANDARD DELLE HAWAII-ALEUTINE
Ostacolata dalla deriva dei continenti
Postato da Madisonspencer@oltretomba.inferno
Gentili Tweeter,
stiamo correndo. Le mie gambe grassottelle zampettano. Le mie ginocchia corpose si sollevano alte. Filo avanti, in un bagno di sudore. I miei piedi mocassinati pestano, scalano, volteggiano su per i gradini di una scalea ricavata sul fianco ripidissimo di una montagna color nulla. Un precipizio bianco color cifra. Non certo senza pause, salgo a balzi all’inseguimento del cadaverico Mr K, che mi precede a tutta velocità.
Poco fa siamo usciti dalla mia cabina di lusso e abbiamo trovato lo yacht deserto. Proprio come la Mary Celeste. Un Olandese volante senza equipaggio. Nel salone non c’era nessuno. I ponti erano sgombri. La suoneria europop del mio palmare preso in prestito si mette a trillare, e Archer mi fa: «Guarda fuori». Mi dice: «Da qualsiasi oblò o qualcos’altro».
In quel paesaggio è impossibile non vedere: una processione di umani che salgono in fila per uno il pendio di una vetta a media distanza. Dal primo all’ultimo indossano tuniche rosse con cappuccio. Visti gli abiti, l’esile fila sembra un rivoletto di sangue che scorre in salita, seguendo un angusto canale di gradini che zigzagano dalla base del monte fino alla sua vetta. Se tra quelle persone vi siano i miei genitori è impossibile a dirsi, tanto appaiono identiche le loro vesti dalla sfumatura scarlatta.
Il monte si impenna, restringendosi fino alla cima piatta su cui sorge un tempio color della cera. Una cupola ornatissima, circondata da colonne e coronata da torrette. Una sorta di colossale santuario ne abbellisce l’altissimo apice, ma da dove ci troviamo noi sembra grande più o meno come una torta nuziale a molti piani tutta decorata.
Pur restando ammirata da questa visione, scorgo al contempo Mr K che corre lungo la passerella, all’inseguimento del rubente treno dei pellegrini. La sgambettante e goffa marionetta giunge ai gradini sul fianco del monte e io mi sbrigo a seguirla. Ha la faccia pallida, il respiro affannoso. Con il cuore chiaramente sotto sforzo, grida: «Le barche sono partite! Stanno avviando le barche!».
Con le parole che si perdono nell’ansimare esausto, Mr Ketamina grida: «Lo capisci, cara bambina morta? Stanno lanciando Madlantide». Getta le sue parole al vento.
Concitato, sorridente, chiacchiera agitando le mani sopra la testa. «Vedrai gli tsunami, i terremoti, i vulcani!» Le sue parole sono pronunciate con gioia. Scandite da risate asfittiche. «Va bene così, dato che andremo tutti in paradiso. Faremo tutti una fine orribile… non è fantastico?»
Intorno a me, mentre continuiamo a salire, il continente di sogno si estende in ogni direzione, abbagliante desolazione di immacolati prati bianchi e di ville color avorio. Alla base di questa scalinata alpina il Pangaea Crusader è impantanato nelle pianure plastificate. A giudicare dal denso fumo di scarico che esalano, i motori del megayacht devono essere in funzione a pieno regime, come se l’equipaggio stesse tentando di sfuggire a questi milioni di miliardi di ettari di ininterrotta polispazzatura lavorata a caldo. Un pennacchio nero sale verso il cielo dalla sua ciminiera. Sulla linea di galleggiamento, l’immondizia riciclata soffiata e solidificata stride contro lo scafo d’acciaio intrappolato. La prua aerodinamica sale e scende come quella di una nave rompighiaccio polare.
Identici pennacchi di fumo nero si alzano da molti altri punti all’orizzonte, corrispondenti ognuno a un’imbarcazione analogamente incastrata e sotto sforzo.
«Il piano» spiega Mr K, quasi canticchiando, «prevede solo che Madlantide si immetta nella corrente prevalente. Giusto il tempo di coprire un paio di miglia, e le correnti ci afferreranno.»
Mi duole ammetterlo, ma grandi fortune sono state spese per tenere in esercizio il mio corpo perennemente non magro. Come un candidato alle selezioni olimpiche o un castrone al dressage, sono stata tormentata su piste di atletica indoor. Schiere di allenatori mi hanno trascinato a far più vasche in piscina di quante io possa ricordarne. Ciononostante sembro sprovvista di capacità aerobiche. Totalmente sprovvista.
Mr K boccheggia, bisognoso d’ossigeno. «Useremo il continente per modificare l’allineamento del pianeta. Quando Madlantide con la sua enorme, gigantesca stazza, si schianterà contro l’America del Nord, andrà tutto a catafascio.»
Gentili Tweeter, non sono insensibile all’irritante metafora che sta prendendo forma. In morte, come in vita, il mio io lardoso andrà a sbattere contro le Americhe, le isole Hawaii, le Galápagos, il Giappone, la Russia e l’Alaska. La gigantesca lardosa cicciarella che sono sta per scatenare il finimondo come il proverbiale elefante nel negozio di cristalli.
A peggiorare le cose, mentre salgo, sento che i gradini sono di un morbido spugnoso, che cede leggermente sotto il mio peso. Come gommapiuma. Come Styrofoam. Resi viscidi e infidi dalla pioggia, minacciano di proiettarmi all’indietro a mo’ di trampolino in un insondabile abisso color perla.
Nonostante la nostra partenza ritardata, stiamo raggiungendo i più lenti tra i pellegrini in tunica rossa. Tra il paesaggio di sogno e le tuniche e le nubi di gasolio combusto, ovunque è un contrasto di bianco, rosso e nero. Tra le persone in corteo, alcune portano ceri accesi. Altre dondolano turiboli attaccati a tratti di catena, trascinandosi dietro filamenti di fumo d’incenso. All’unisono snocciolano ripetutamente le parole: «Vaffanculo… merda… succhiacazzi».
Il precoce crepuscolo invernale brunisce d’oro antico ogni scosceso rilievo. La luce di quest’ora magica è il dorato che la mia lingua vede quando gusto la fondue au Gruyère.
Superiamo altri pellegrini, sgomitando e schivando su quella ripida scalinata. I più hanno rallentato il passo, perché ora pare che la montagna si stia spostando, muovendosi quasi impercettibilmente, mentre il corpulento e flaccido continente viene spinto verso nord. Motori di barche pari a mille milioni di cavalli compiono il loro sforzo per sottrarci al placido centro del Vortice del Pacifico, e il loro graduale successo propaga tremori gelatinosi per la zolla tettonica poli-falsa su cui galleggiamo. Le montagne circostanti ballonzolano come cumuli di aspic alla vaniglia alti fino al cielo. I pellegrini più malcerti incespicano e precipitano, tra urla atroci. Forse per via della sua vasta esperienza di barcollamenti sotto l’effetto della droga, Mr Ketamina resta in piedi. Sale a balzi sempre più in alto, facendo due, tre, quattro gradini a ogni passo.
«Dobbiamo sbrigarci» dice Festus, superandoci in un soffio. «In meno di quanto l’Onnipotente ci ha messo a popolarlo, i burinisti distruggeranno questo mondo meraviglioso!»
Rallento il passo. La mia andatura si fa meno convinta, al pensiero di lasciare che il burinismo segua il suo corso e completi la sua non santa guerra contro l’umanità, questa feccia di mangiavitelli produttori di anidride carbonica autoreplicanti. In quanto figlia di genitori ecosensibili, arboricoli e dediti all’ecosabotaggio, non posso negare il fascino che ha per me un pianeta senza esseri umani. Ancora più allettante è il pensiero di avere l’intero pianeta tutto per me, almeno fino al prossimo Halloween. In un così beato isolamento, mi ingozzerei di libri letti tutti d’un fiato. Mi metterei a studiare liuto.
«Affrettati!» mi sollecita Festus, aleggiando al mio fianco. «Se vuoi evitare che i tuoi genitori, nella dannazione eterna, siano costretti a cibarsi di escrementi caldi!»
E non posso negare il maligno e gioioso fascino esercitato su di me da quest’ultimo scenario… se penso a tutta la schifezza macrobiotica con cui mi hanno imbottito.
È difficile credere che tutti stiano per morire, che tutto stia per essere distrutto, perché sembrano tutti felicissimi. Sorridono. I loro occhi folli lampeggiano. Neri e asiatici, ebrei e gay, gente del Québec, palestinesi e amerindi, suprematisti bianchi, pro e antiabortisti si tengono tutti per mano. Si abbracciano, si baciano, persino. Non c’è paura di malattie. Nessuna finzione sociale, nessun indicatore di status, nessuna gerarchia a separarli. La folla invoca il mio nome, grata per la salvezza che crede imminente. Sono felici come lo è la gente quando brucia libri o decapita re: sono dalla parte del giusto.
In tutto questo, Mr Ketamina rimugina tra sé per tenere a mente il mio messaggio. La sua faccia illuminata dal tramonto, tesa, smunta, macchiata di un color di fiamma, ripete con veemenza: «Niente cellule staminali».
Le pensose budella grigie del mio cervello hanno la nausea da mal di mare. Sono disgustate dall’indigeribile ricordo di mio padre a New York che dice: “Madison era una piccola codarda”.
Davanti a noi la processione è giunta a una strettoia. I penitenti in tunica attendono di essere ammessi al di là di un grande arco, l’ingresso del tempio in vetta alla montagna. Tra noi, un quartetto di giganti regge sulle spalle gli angoli di una portantina, una struttura cubica e oscurata i cui occupanti restano celati dai drappi di velluto rosso. A mio avviso, Camille e Antonio sono i passeggeri più probabili, e allungo il collo per vedere meglio. Nel frattempo, la folla si trasforma in una ricostruzione storicamente non imprecisa di un qualche palazzo rinascimentale veneziano, con sgargianti dadi e mensole riprodotti e sbozzati a partire da abbondanti quantità di schiuma di cellulosa indurita color bleah.
Tra la folla di figure incappucciate Mr K si alza sulle punte dei piedi e grida: «Ascoltatemi! Statemi tutti a sentire!». Qualcuno gli ha dato una candela accesa, e lui regge questo cero fiammeggiante sopra la testa come una luminosa stella intermittente.
Gentili Tweeter, vi prego di tener presente che per me la comunicazione efficace è fondamentale. I miei genitori sono così ricchi perché la gente ha esternalizzato le abilità con cui un tempo si esprimevano le emozioni. Il pubblico ha subappaltato l’espressione di sé. Tutto l’amore dev’essere mediato da bigliettini d’auguri, diamanti prodotti alla catena di montaggio o bouquet di rose di coltivazione industriale composti con professionalità. Tutte le rivelazioni devono essere impersonate da mia madre. La gente prova solo le emozioni che mia madre ha ispirato. Per il pubblico, lei è Afrodite. Mio padre, il mio papà, è lo Zeitgeist, lo spirito del tempo.
Tutte le cose per me più importanti, le ho affidate a questo segugio devastato dalla ketamina che ora saltella sul posto, agitando la candela e gridando per attirare l’attenzione di tutti. Provate a immaginare l’orrore che mi invade quando sento che Mr K sta gridando: «Fermatevi!». Fischia, per ottenere silenzio, e poi grida: «Madison dice che finirete tutti all’inferno se non ascoltate!». La folla assembrata comincia a voltarsi verso di lui e a guardarlo. «L’angelo Madison» grida «vuole che voi la smettiate di imprecare e di ruttare…»
Ho affidato a una persona il compito di esprimere tutto l’amore che io non avrei potuto esprimere. Ho chiesto a Mr K di manifestare tutti i miei rimpianti e svelare tutte le mie bugie. Sento che la marea comincia lentamente a invertirsi.
Con i volti incorniciati dall’apertura dei cappucci rossi, i presenti osservano Mr K e attendono, irrequieti, con espressioni di perplessità.
«Madison…» grida Mr K Tace per un istante di assoluto silenzio. «Madison Spencer dice che l’unica vera via verso la salvezza risiede nel succhiare il cazzo agli asini!»
Santo cielo.
E proprio in quell’istante vedo i miei genitori. Si tolgono il cappuccio dalla testa, e le loro facce esplodono in sguardi di orrore terrorizzato.
E senza esalare un solo altro respiro, il signor Crescent City, Mr K, il mio cacciatore di taglie psichico, si accascia senza vita.