Nella casa del
Padre
La cinquantesima moglie
La prima auto della polizia era arrivata mentre Zachariah era ancora via, nella luce dorata di fine estate, quando minuscole dita cercavano di strappare le ultime bacche troppo mature, quasi fermentate, dai filari e dalle viti davanti alla casa, la punta delle foglie che virava in rubino.
Era stata Amity a cercarla, con le labbra chiazzate e gonfie, rosse di bacche. «Madre, una macchina!» aveva detto. «È Justice? Adam? Sono tornati?»
È Hope, aveva pensato Amaranth, con il cuore che batteva forte. Si era ripulita le mani dalla farina di grano saraceno ed era corsa fuori. Hope, Dawn e i due ragazzi se ne erano andati negli ultimi giorni di primavera. Le mancavano, soprattutto la sua vecchia amica, confidente e mentore, ostetrica.
Alla fine del viottolo di ghiaia Amaranth vide una macchina bianca e nera. Disse a Amity di rientrare in casa e di non far uscire nessuno. Si avvicinò all’autista e si chinò sul finestrino aperto. «Avete un mandato?»
«Secondo lei ne abbiamo bisogno?» Un poliziotto tracagnotto aveva aperto la portiera e tirato in dentro la pancia per disincastrarsi da dietro il volante.
«Se vuole entrare in questa terra ha bisogno di un mandato.»
«Voglio solo farle qualche domanda» le rispose. «Ha una carta d’identità?»
«No.»
«Forse sarebbe meglio entrare. Potremmo fare una chiacchierata. Fa un gran caldo qui fuori.»
«Prima si procuri un mandato» disse Amaranth, e si girò per allontanarsi.
Il poliziotto annuì e tirò fuori un piccolo bloc-notes dal taschino della camicia, grattandosi il mento con la legatura a spirale. «Conosce una donna di nome Hope?»
Amaranth lanciò un’occhiata veloce alla casa alle sue spalle, per vedere se c’erano donne o bambini. «Può darsi.»
«È venuta da noi e ci ha raccontato delle cose. Ha detto che la conosce e che qui ci sono dei problemi con un minore.»
«Qui non stiamo facendo nulla di male» rispose. «Non esiste legge che ci vieti di fare ciò facciamo.»
L’uomo sollevò le sopracciglia scure. «Io invece credo di sì.»
Si era avvicinato un ragazzino riccioluto, tirando una capra allacciata a una cravatta a righe. Era il figlio della trentottesima moglie. O della quarantesima. Amaranth non ne era certa. «Guardami mamma, sono un pastore di capre» disse il piccolo. Lei gli fece un cenno con la mano per allontanarlo, mentre la capra belava. Il poliziotto lo guardò andar via dentro le sottane che indossavano tutti i ragazzini.
«È una comunità libera» gli disse Amaranth. «Siamo degli adulti qui, e non ci sono leggi che vietino di vivere insieme o di avere figli fuori del matrimonio. Nessuna.»
«Be’, è un peccato» rispose l’uomo. «È per questo che tutto il Paese sta andando a rotoli, ma non sono qui per questo. Sono qui per il minore.»
«Quale minore?» Amaranth ripensò a Adam e a Justice, ricordando il giorno in cui erano stati mandati via, banditi dal marito.
«Aspetti che controllo, è un nome strano.» L’uomo sfogliò le pagine. «Sorrow? C’è una ragazzina qui che si chiama Sorrow?»
Lo guardò negli occhi. «No.»
Aspettò che si incastrasse di nuovo dietro il volante e che con scrupolosa lentezza si prendesse tutto il tempo per girare l’automobile in retromarcia e avviarsi lungo il sentiero di ghiaia. Rimase a guardarlo finché non si fu allontanato. Non ne parlò a nessuno. Ma le autopattuglie continuarono ad arrivare.
L’estate era stata spossante, e tesa, per tutto quello che era successo in primavera. Le donne discutevano e litigavano per cose di poco conto, spostando pentole incustodite dai fornelli così che la marmellata non si solidificava, o trascurando di cambiare o allattare un bambino che non fosse propriamente il loro. E mentre le madri si punzecchiavano a vicenda, i bambini le osservavano ciucciandosi i ditini.
Con Zachariah lontano, null’altro le univa tranne il duro lavoro. Non erano stimolate a pregare, a vorticare su loro stesse o all’adorazione. Durante l’estate c’era semplicemente troppo lavoro, avrebbero detto alcune mogli, troppe cose da preparare per il rigido inverno a venire. Ma la verità era che per ruotare in preghiera le donne avevano bisogno di lui. In mancanza di un asse centrale, avrebbero finito per turbinare ai quattro venti senza più far ritorno.
Tra le mogli, ogni anno c’erano quelle che si preoccupavano che lui non tornasse più. Cosa avrebbero fatto, allora? Ogni estate sembrava più lunga della precedente. A volte non era tornato se non quasi a inizio inverno. Era compito di Amaranth, in qualità di prima moglie, tenere unito quell’assortimento di donne abbandonate, quelle hippie, quelle zitelle, quelle tossiche e alcoliste riabilitate, quelle divorziate inacidite, quelle madri lasciate sole. Non avevano niente in comune se non quel loro marito e il desiderio di utopia. Si era resa conto che da quando Hope se ne era andata aveva perso il contatto con tutte loro, con ciò che volevano.
Dopo una cena condita con grida, brocche di latte di capra rovesciate e zucchine gettate ovunque, Amaranth si era decisa a convocare le donne al tempio. Il suo gesto sorprese le nuove mogli, che mai le avevano visto fare una cosa simile, al punto che si chiesero a gran voce se potesse farlo, mentre le vecchie mogli ricordarono l’ultima volta che era successo, e la situazione della loro comunità a quel tempo. Erano state molte le cose che da allora si erano impegnate a sanare.
Amaranth le guidò in un cerchio ordinando che chiudessero la porta. Quando disse loro della visita della polizia prima, e di un assistente sociale poi, dalle donne si scatenarono sibili e moti di disapprovazione. Nessuna di loro amava la polizia. Fra le sue mani tutte avevano in qualche modo sofferto: per i suoi capricci, le sue leggi, le sue indagini o le sue discriminazioni. Amaranth compresa. «Hanno sentito certe cose su di noi» dichiarò. «Stanno cercando qualcuno che parli.»
Sorrow, dall’altare, ascoltava rosicchiandosi le unghie fino alla carne viva, gli occhi fissi sulla porta chiusa del tempio.
«Non sappiamo cosa sanno, né cosa gli hanno detto. Cercheranno informazioni su di noi e sulle nostre pratiche. Non dite nulla a meno che non siate preparate ad andare fino in fondo.»
«Fino in fondo a cosa?» gridò una donna.
«I nostri matrimoni sono eterni» proclamò Amaranth. Si era sorpresa ad allargare le braccia come faceva il marito. «I nostri legami sono indissolubili. E tuttavia, ci sono mogli che ci hanno lasciato. Lo si può fare. Lo avete visto.»
Fra le donne si levò un brusio, un vociare. Che cosa stava suggerendo?
«Se state pensando di andarvene, state attente» proseguì lei alzando la voce al di sopra del chiacchiericcio. «Questo volevo dirvi. Potrete provare ad andarvene, ma sarete controllate, capito? Volete andarvene? Perché è adesso il momento giusto per farlo. C’è qualcuna di voi che se ne vuole andare?»
La porta del tempio si spalancò e apparve Zachariah, i capelli bianchi tirati indietro e il vestito da viaggio spiegazzato. Nonostante l’aria stanca e deperita, batté le mani per zittirle. «Chi vi ha convocato in preghiera?» Le donne presenti indicarono Amaranth, che si girò verso Sorrow. Lui salutò le sue mogli, le baciò una a una e le mandò via. Poi si chinò su Sorrow così che la figlia potesse sussurrargli nell’orecchio. Amaranth la guardò con il viso inespressivo, finché il marito congedò anche la figlia e rimasero soli.
«È vero che hai parlato con la polizia?» sibilò.
Amaranth indietreggiò verso l’altare, le mani tese in avanti. «Meglio io di una delle mogli giovani. Meglio io che una che avrebbe potuto raccontare qualcosa. Io li ho tenuti a bada.»
«Li hai tenuti a bada? Tu non “tieni a bada” la polizia. Sappi che ti controllo, moglie.»
«Tutte noi siamo controllate, da te e da Dio.» E da Sorrow e da ogni altra moglie, aveva pensato.
«Sappi che sei la prima e sarai l’ultima.» Era in piedi davanti a lei, la pressava contro l’altare, e attraverso la finestra Amaranth vedeva i raggi del tramonto illuminare il gruppo di donne raccolto intorno al furgone del marito, impegnate sicuramente a dare il benvenuto a una nuova giovane donna, un’altra ragione per il suo ritardato ritorno.
«Sono la prima, non l’ultima.»
«Nessuna prende il tuo posto.» Le mise le mani intorno alla vita chinandosi su di lei, in modo che lei potesse sentire il suo corpo. Le slacciò il grembiule e lei lo afferrò appoggiandolo accanto a sé con cura, per timore di perdere quello che c’era nella tasca, quello che Hope le aveva lasciato.
«È stata una lunga estate» disse.
Lui le accarezzò la fronte, il busto, i seni. Le accarezzò il ventre e appoggiò una mano a coppa sul sesso. «Non così lunga» le rispose. «Sei sempre la stessa.»
Lei annuì. Dopo che Hope se n’era andata, aveva fatto attenzione a non restare incinta. Non tutte le mogli stavano così attente, ma adesso chi avrebbe fatto nascere i loro bambini? Amaranth sapeva che se ne sarebbe dovuta occupare lei e non si sentiva pronta, né preparata a sufficienza. Non aveva mai immaginato che Hope li avrebbe lasciati: Hope, un nome che adesso nessuno osava più pronunciare.
Zachariah le infilò le mani nelle sottane. Dopo aver scostato la sottoveste si insinuò tra le cosce, e il corpo di lei lo accolse a casa – Jezebel – come sempre faceva, tradendola anno dopo anno.
Quando la vite si fosse ornata di brina, la ragazza che lui aveva portato con sé, timida e con il viso butterato, sarebbe diventata la cinquantesima moglie. Sarebbe stata l’ultima a indossare un velo sulle radici scure dei capelli tinti, l’ultima a infilarsi l’anello al dito, l’ultima a vederlo infilato e sfilato dal dito di ognuna delle altre mogli davanti a lei, come aveva fatto ogni altra moglie prima di lei. Le aveva sposate tutte, e ognuna di loro aveva accolto il suo bacio salato.
Dall’altra parte del tempio, dopo la cerimonia dell’anello, Zachariah aveva gridato: «La fine dei tempi arriverà con le nozze dell’Agnello!»
Sorrow aveva risposto: «Degno è l’Agnello che è stato ucciso, di ricevere la potenza, e le ricchezze, e la sapienza, e la forza, e l’onore, e la gloria, e la benedizione!»
«La fine del mondo giungerà col fuoco!»
«Alleluia!» avevano gridato le donne e si erano messe a ruotare. E turbinando per la sala avevano preso per mano la cinquantesima moglie. Ciascuna l’aveva fatta propria. L’avevano fatta girare, mano nella mano, e poi lui l’aveva fatta ruotare avvolgendola nelle fasciature. L’aveva fatta girare tutt’intorno al tempio, vestendola come aveva fatto con ogni altra, mentre le mogli l’avviluppavano e l’abbracciavano. Poi l’aveva fatta girare al contrario per svolgerla dalle fasciature, riducendola alla nudità di Eva. Amaranth aveva guardato il marito raccogliere fra le mani le susine rosate dei suoi seni, l’aveva guardato strofinarsi contro il corpo della donna, consacrandole e ungendole la pelle con la bocca e le parole.
Le mogli ruotavano, indifferenti e assorte, e Amaranth ripensò al tempo in cui le mogli sarebbero potute entrare tutte in un letto, poi in una stanza, e poi in una casa. Adesso formavano una fila che si snodava nel tempio, riempiendolo. Infine, Zachariah tese la mano verso Amaranth, chiamandola accanto alla cinquantesima moglie. Ma lei stava guardando Sorrow. Sorrow che teneva il broncio, che accarezzava la sua ciotola di porcellana, e la sua pancia.
I suoi occhi avevano incrociato quelli della figlia attraverso lo sfrecciare sinuoso delle donne e della nuova moglie, la sua nuova madre, e sul suo viso Amaranth aveva visto qualcosa che non sapeva decifrare. Qualcosa di simile a un rimpianto tinto di speranza, o rabbia mescolata a trionfo. Qualcosa di simile all’amore e al tradimento. Era uno sguardo che non aveva mai visto su sua figlia, dopo tutto quello che era successo, e si era chiesta cosa mostrasse il proprio viso, cosa avrebbe potuto vedere Sorrow se l’avesse guardato.
Sarebbe riuscita a vedere che, malgrado avesse avuto anni per abituarsi, le era ancora difficile restare a guardare le mani del marito frugare il corpo di altre donne?
Ma poi, aveva pensato, così era stato per Sorrow.