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Ruotare
Amity sta giocando a nascondino con Sorrow. Sorrow vuole che Amity la trovi. Amity lo sa. Lo sa dal torsolo di mela che giace su un lato, scurito e delizioso. Lo sa dalle briciole del sandwich al formaggio che la conducono su per le scale.
Resta in ascolto, alla ricerca di Sorrow. Sente porte che sbattono e segue il rumore fino al pianerottolo, dove a colpirla è il senso di vuoto, di assenza di famiglia. La casa è troppo grande senza di loro che si riversano fuori dalle camere da letto, che si affaccendano con le mani colme di biancheria e di neonati. La casa è troppo silenziosa, adesso.
Annusa l’aria, alla ricerca di Sorrow. Pensava che bastasse seguire l’odore del suo fuoco, ma l’intera casa odora di Sorrow. Sbircia dentro le camere da letto, dove i loro letti sono vuoti e sfatti. Chiama dal corridoio. E poi vede la lunga scala a pioli di legno abbassarsi lentamente dal sottotetto, invitandola a salire.
Guarda su per tutta la lunghezza della scala, verso l’apertura, aspettandosi il sorriso o la smorfia di Sorrow. «Sorrow?» chiama, rivolta al tetto e al silenzio.
Aggancia i gomiti agli staggi e si arrampica su, le mani ad artiglio incapaci di afferrare i pioli. Un piede alla volta, sale verso la struttura a capanna del tetto andata a fuoco. Spuntando dal pavimento con la testa, vede il letto gigantesco, fatto per tutti i bambini, il pavimento ricoperto di materassi gonfiabili, cuscini e coperte dove dormivano tutti insieme in un groviglio di gambe e di braccia.
«Sorrow, sono qui» Amity chiude gli occhi.
Attraverso la stanza sente degli zoccoli trascinarsi sulle assi del pavimento. Avverte l’aspro odore di fumo di Sorrow. «Vogliamo solo vederti.»
«Non guardare» si sente rispondere, con voce ansimante.
«Non ti faremo del male.»
«Non potreste far male a una mosca.»
Amity annuisce con gli occhi chiusi e aspetta finché sente due mani ossute coprirle le palpebre. Sente le lacrime sfociare da sotto, come se sgorgassero dai palmi di Sorrow. «Stai bene?» Sa che è meglio non fare domande su Dust.
«Non guardarmi» le dice Sorrow, e Amity annuisce.
Come a mosca cieca, Sorrow conduce Amity a occhi chiusi, strattonandola per le braccia, come se a tirarla fosse quel loro laccio, ora invisibile. Amity sussulta, aspettandosi di andare a sbattere a ogni momento contro un muro mentre la sorella la trascina in giro per la casa. Sorrow la porta giù per le scale, dove a ogni passo Amity si aspetta di allungare un piede nel vuoto, scoprendo che Sorrow l’ha portata oltre il ciglio del mondo.
Quando il calore del sole la colpisce in viso, capisce che Sorrow l’ha invece condotta fuori dalla porta d’entrata. Le sue palpebre si sollevano, tremolanti, e lei coglie per un attimo la sagoma in una gonna scura e una camicia sporca, con una cuffietta premuta come mussolina su un barattolo di vetro. Assomiglia a una qualsiasi moglie o madre. Sente le mani di Sorrow colpirle gli occhi.
«Ti ho detto di non guardare» dice.
«Scusa.» Amity si morde il labbro, spaventata da ciò che Sorrow non vuole che lei veda.
«Ti dispiacerà. Andiamo.»
Amity si sente trascinata lungo la terra battuta, e poi su per dei gradini di cemento fino ad assi di pavimento. Le sue scarpe da ginnastica scivolano su grumi e protuberanze, le mani di Sorrow le scavano in faccia, lei inciampa. Le si storce la caviglia e le sue mani inabili si protendono per evitarle la caduta. Rovina sulle assi del tempio, cadendo con le braccia sui tessuti. Stupefatta e lunga distesa, apre gli occhi. Leva lo sguardo sulla sagoma della sorella dentro la gonna scura, che si china per farla rialzare. Vede il viso di Sorrow.
«Non farlo!» Sorrow allunga una mano e si gira, schermandosi con l’altra mano, ma Amity l’ha vista. È bellissima, bellissima com’è sempre stata. Amity aveva preso il fuoco da lei dentro le proprie mani, proprio come aveva sperato. Aveva guarito Sorrow, finalmente.
«Sorrow» dice. «Guardami.» Allunga le sue mani bruciate verso di lei. Si aspetta che Sorrow le dia un pizzicotto o un calcio, per prendersi la sua rivincita, la sorella lascia invece scivolare le mani giù dal viso. «Il fuoco non ti ha preso.»
«No» dice Sorrow, come se ciò la rattristasse.
Amity chiude gli occhi e rivede l’immagine del fuoco alzarsi tutt’intorno a loro. Risente le urla di Sorrow, dal campo e dall’altare. Riesce a vedere ogni fuoco da lei appiccato. Poi sente la sorella afferrarla per i polsi e tirarla su, e spingerla ad avanzare, e ha paura.
Ma Sorrow le dice: «Quando passerai attraverso le acque io sarò con te.» La promessa e la minaccia della loro preghiera.
«Attraverso le città in guerra, sarò con te» conclude Amity.
Si sente condotta a camminare in cerchio, e il cuore le balza in petto.
«Quando camminerai in mezzo al fuoco, non sarai bruciato.»
Amity finisce la preghiera. «E la fiamma non ti consumerà!»
E infine Sorrow la fa girare, sempre più velocemente. A occhi chiusi, la stanza le ruota nella testa, e tutt’intorno a lei. Si sente parte dello stesso vortice di cielo e stelle. Si sente parte di un cerchio di donne, visibile e invisibile, attraverso i tempi, parte di un’eterna famiglia. Le sente nel corpo, nel sangue. Sa che la stanno aspettando, tendendo le braccia verso di lei dai cieli pieni di nuvole. E quando giungerà, l’Estasi arriverà come un vortice, avvolgendo i fedeli in una spirale ascendente fino a Dio, insieme ai morti. Questa è la ragione per cui stanno ruotando su loro stesse. Per sentire dentro la fine del mondo. Quando Sorrow la lascia andare, Amity continua a ruotare, libera, in un’orbita intorno alla stanza, come facevano le mogli, lanciando il corpo in un turbinio che finora aveva solo osservato, fatta girare come una trottola di Dio. In imbarazzo, adesso, per quei suoi jeans, e per le scarpe da ginnastica che sfregano e stridono sul pavimento. Per ruotare dovrebbe indossare le sottane e la cuffietta di una donna. Aveva dimenticato chi era. Era stata così sciocca da pensare che la gente la stesse guardando, mentre lei avrebbe dovuto fissare solo Dio.
Ed ecco tutto ciò che lei vuole: essere quello che era.
Da sotto di lei, da sotto di entrambe, sente una voce. Un urlo.
Amity guarda la sorella, che le sta sorridendo.
«Padre» dice Sorrow.