33

I predicatori della domenica

È domenica e Amity gira la manopola. Sorrow non vuole entrare nella casa dell’uomo, perciò se ne resta in piedi, lo sguardo torvo, sulla soglia, persuasa ad allontanarsi dal suo altare con una promessa di gloria. Le braccia incrociate dicono che sarà meglio che ne sia valsa la pena, e Amity muove avanti e indietro le orecchie di coniglio come meglio può.

Il vecchio si torce per guardare Sorrow da sopra lo schienale del divano. «Hai mai visto un vero predicatore, ragazzina?» le chiede. «Non quell’annaspare a tentoni che fate voialtri, voglio dire la vera roba dello Spirito Santo?» Sorrow non ha intenzione di parlare con un uomo, ma Amity vede che sta ascoltando. «Incollaci su le mani, come farebbe un guaritore» grida poi a Amity. «Mettici un po’ di impegno.»

Sorrow sbuffa irritata, il che dice a Amity che sarà meglio trasformare la neve della tv in un tempio, e velocemente. Quando afferra le antenne, come per strangolarle, il grande dito di un uomo vola fuori dallo schermo, puntando tutti loro. «Siete pronti per l’Estasi?» chiede.

Sorrow tende il busto verso l’interno per guardare.

«Hai fatto pace con Dio, tuo Padre?»

Le braccia di Sorrow si allungano sul telaio della porta.

«Che ti avevo detto? L’avevo detto o no?» pigola il vecchio tutto ringalluzzito.

«Shh» fa Sorrow, e Amity la guarda. Non si accorge nemmeno di infrangere la loro regola: uno zoccolo le scivola oltre la soglia, nella stanza.

«Il Signore sta venendo per portarti via, e spetta a te decidere se seguirlo su in cielo o seguire Satana all’inferno. In un caso o nell’altro, Dio sta venendo per te. Ti sta osservando. Vede ogni passo che fai, avvicinandoti sempre più a Lui, o allontanandoti. Non è l’agire di nessun altro al di fuori di te.»

«C’è un predicatore dietro quella scatola lì?» sussurra Sorrow.

Amity ridacchia. «No. Arriva attraverso l’aria, a pezzettini, e le orecchie di coniglio lo rimettono insieme dentro la scatola.» Indica il vecchio. «L’ha detto lui.»

«Dov’è quel predicatore?» Sorrow chiede direttamente al vecchio.

«Potrebbe essere ovunque. Potrebbe essere dall’altra parte del Paese o proprio qui in fondo alla strada. I predicatori sono dappertutto, ragazzina. Non c’è solo tuo padre.»

Le sopracciglia di Sorrow si arcuano fin quasi al bordo della cuffia. «Dappertutto?»

«Guarda» dice il vecchio, ridacchiando. «Si sta preparando a parlare in altre lingue. Porca vacca, quanto mi piace questa parte!»

Il predicatore allunga le mani verso di loro, come se potesse raggiungerli attraverso lo schermo della tv e afferrarli. «Dio Padre può vederti» dice, con voce adesso tutta sciropposa, e poi parte a parlare in una lingua incomprensibile, proprio lì, dentro la tv, rivolgendosi a credenti e non credenti, come se ogni casa fosse un tempio. E mentre pronuncia le parole che solo Dio e Sorrow conoscono, lei viene attratta da lui, trascinata accanto allo schienale del divano, per poi girarci intorno calamitata dalla scatola fino a ritrovarsi con la faccia proprio quasi incollata allo schermo.

«Diventerai cieca» le strilla il vecchio.

Sorrow osserva ogni movimento del predicatore, mimandolo con contrazioni delle dita e delle spalle, esamina come solleva le mani al cielo e come le porta al cuore. Sorride quando lui sorride, un sorriso più ampio che può. «Come fa a saperlo?» si chiede meravigliata.

«Ragazzina, tutti lo sanno. Mica l’ha scritta tuo padre la Bibbia.»

Lei lo guarda. «Non per intero.»

«Ragazzina, non l’ha scritta proprio per niente. Neanche un pezzetto. La Bibbia è stata scritta migliaia di anni fa e anche se non sono uno che scommette, ci scommetto che tuo padre non è così vecchio.»

«Non ha detto di averla scritta, Sorrow» dice Amity.

«No» ribatte Sorrow. «Ha detto che avremmo scritto una nuova Bibbia. Lui e io, di tutto quello che ho visto.»

«Una nuova Bibbia?» Il vecchio ride. «Non puoi scrivere una nuova Bibbia di punto in bianco. Sarebbe come fare un nuovo Dio.»

«Non è quello che mi ha detto il Padre.» Sorrow incrocia le braccia e Amity la guarda. Non era proprio quello che tutti loro cercavano di fare, generare nuovi dèi?

Sorrow si ammorbidisce. «Chi è il Dio di questo predicatore?»

«È il Dio di tutti, ragazzina. Il tuo e il mio. C’è un solo Dio, sia che tu abbia un cappello sulla testa o tre teste. Dio è grande abbastanza per tutti.»

«Mostrami gli altri predicatori» dice Sorrow.

Amity gira la manopola e appare un uomo dai capelli impomatati su un podio, intento a leggere con calma dalla Bibbia. Gira ancora e trova un mucchio di gente in tonaca che batte le mani e canta, mentre un uomo scalcia e balla davanti a loro, come in preda a un sacro accesso spasmodico. Gli occhi di Sorrow non si allontanano mai dallo schermo. Chiede solo, di ciascuno: «Ti piacciono questi predicatori? Ti piace quello lì?»

Amity l’osserva sistemarsi sul divano accanto al vecchio, di modo che adesso è Amity a dover restare in piedi a guardare da dietro il divano.

«È teatro, ragazzina» dice il vecchio. «Non è altro che spettacolo. È così che si guadagnano i loro soldi.»

«Soldi?» Sorrow lo guarda sbattendo le palpebre.

«I predicatori hanno bisogno di soldi. Le chiese hanno bisogno di soldi. Perché pensi che siano in tv?»

«Dio non ha bisogno di soldi. I soldi sono dell’uomo.»

«Tu avevi una chiesa, no? Tutte quelle bocche da sfamare avevano bisogno di un mucchio di soldi. Non andavate forse a scrollare borse e scatole sotto il naso dei fedeli?»

«No» risponde Amity. «Portavano macchinate piene di roba. Servizi da tè e barattoli di cibo.»

Sorrow le lancia un’occhiataccia. «Chiunque può essere un predicatore e andare in tv?»

«No. Devi avere dei soldi per andare in tv a chiedere soldi. Non puoi semplicemente cominciare da lì, prima devi lavorarti la piazza, guadagnartela. Farti un nome. Tutti quei predicatori hanno iniziato dentro le tende, come si è sempre fatto.»

«Dove sono queste tende? Mi ci porti?» Amity guarda Sorrow chinarsi verso il vecchio e agganciargli gli occhi con lo sguardo, come se nella stanza, nel mondo, ci fossero solo loro. L’ha già visto fare.

«Ecco come funziona. Tu inizi per strada, attrai la folla nei campi e nei parcheggi. Poi forse puoi procurarti una tenda e dei musicisti. Da lì magari riesci ad affittare una sala del municipio o un piccolo cinema. Non puoi passare direttamente da una lurida fattoria dell’Oklahoma alla tv, questo è certo! Credimi, ne ho visti di tutti i tipi.» Il vecchio si ferma appena per respirare. «Ho visto il diavolo spaventato uscire dritto fuori da un pazzo. L’ho guardato saltellare, piccolo folletto rosso che era, e correre intorno per tutta la tenda e poi volare via attraverso uno dei lembi. Lasciando perfino un segno di bruciatura sull’erba. Ho visto un’intera famiglia mettere le mani in una scatola di serpenti a sonagli, velenosissimi, a prova della loro fede.»

«Che cos’altro hai visto?» gli domanda Sorrow, mormorando zuccherosa.

Il vecchio adesso non ha occhi che per lei. «Roba da farti rizzare i capelli, se mai ne avessi alcuni sotto quella cuffia da doccia che porti, ma non ha importanza. La cosa importante è che devi avere la tua trovata personale. Ognuno c’ha la cosa speciale. Ai tempi della fame, noi si cercava i miracoli. La pioggia. Si aspettava uno a dirci che Dio non aveva abbandonato queste terre aride, strizzate come uno strofinaccio, per andarsene in California. Ce n’erano un bel mucchio di maghi della pioggia che facevano soldi qui. C’era induzione artificiale della pioggia e divinazione e danze della pioggia, i bianchi tutti fuori a ballare girando intorno ai pali come galli delle praterie. Avevamo cominciato a pensare che forse Dio ci aveva venduto al diavolo e che questo ci faceva rosolare sul suo fuoco tenendoci per il manico del Panhandle. Devi scoprire quello che la gente vuole sentire, e quando tu glielo dirai quella ti darà i soldi.»

«Non voglio i soldi» dice Sorrow.

«Be’, li vorrai. I soldi non sono un fine, sono un mezzo. Significa che ti portano dove vuoi andare e scommetto che vuoi andare da qualche parte.»

Sorrow riflette su queste parole appoggiando la cuffietta contro il cuscino del divano. «Ma questa è la fine dei giorni. Il tempo dei falsi profeti. Nessuno mi ascolterà.»

«Sono anni che i predicatori parlano della fine, eppure siamo ancora tutti qui. Continuando a sborsare soldi per loro. Guardali lì.»

«Anche per come vivono qui?» Sorrow indica la tv dove una donna fa scivolare i seni oliati su un’automobile, aspettando che il predicatore risponda dandole della svergognata.

«Be’, non guardare quello» dice il vecchio, tossendo. «Non è tutto così perverso.»

«Vedo quello che vedo.»

Il vecchio la guarda fino a farle attenuare il sorriso. «No, ragazzina, tu vedi solo quello che vuoi vedere. I tuoi ti hanno resa stupida ed è colpa loro, ma è colpa tua se stupida vuoi rimanere, e mi sa che questo non te l’ha mai detto nessuno prima. Nessuno l’ha mai detto, a nessuna di voi, che potreste scegliere chi o che cosa volete essere.»

«Non sono stupida» gli dice Sorrow. Amity tace, non ne è certa.

«D’accordo allora. Dimmi cosa c’hai.»

«Cosa c’ho?»

«Di’ alla gente qualcosa di nuovo sulla fine dei tempi. Smettila di sguazzare in quello che già sanno, e digli invece che cosa ne possono fare. Abbiamo bisogno di un mago della pioggia. Dacci una speranza. È questa la cosa che vende.»

Amity pensa a casa e scuote la testa. Non riesce a ricordare niente di simile alla speranza a parte la madre che se n’era andata con Adam e Justice, e nessuno di loro aveva qualcosa di simile alla speranza, allora.

Sorrow studia il soffitto e decide: «Non c’è alcuna speranza. La fine è vicina.»

Lui indica la tv, dove adesso una donna si è avvicinata all’uomo, sedendo accanto a lui e piangendo mentre sotto di loro lampeggiano dei simboli. «Non stanno smerciando buone notizie. Vuoi piangere così davanti alla gente?»

La donna in tv a quel punto comincia a gridare, indicando dei numeri, mentre le spalline imbottite le balzano su e giù. «No» risponde Sorrow. «Perché lui non sta piangendo?»

«Dagli tempo. Guardali, Sorrow. Li vedi i numeri che diventano più grandi? La gente sborsa soldi per l’infelicità. Alla gente piace guardare la sofferenza. Puoi vendere quello, se vuoi.»

Lei scuote la testa. «Noi non crediamo nella sofferenza. Noi preghiamo e amiamo. Non vogliamo piangere così per la gente.» Sorrow siede più dritta adesso. «Non voglio dovermi vestire così e non voglio che quella roba nera mi scorra giù per la faccia.»

«Che cosa vendi, allora?»

«Il Padre ci dice che c’è una famiglia di Dio a cui tutti possono appartenere e dalla quale essere amati, per sempre. È quello che fa venire le donne da noi.»

«Con i loro servizi da tè» ribatte lui, strizzando l’occhio a Amity.

«Se fossi un predicatore, io non piangerei» dice Sorrow. «Il Padre non piange mai.»

«Potresti essere una predicatrice» dice il vecchio. «Ma dovresti studiare. Dovresti imparare a leggere e a scrivere. Devi conoscere la Bibbia e le parti che la gente vuole sentire.»

«Il Padre dice che dobbiamo avere la Bibbia dentro di noi. Non dobbiamo leggere per trovare Dio.»

«Be’, io ti dico che tuo padre si sbaglia. E se non sbaglio adesso è in fuga, no? Per cui che ne sa?»

Sorrow si prepara a rifilargli una brusca risposta, ma poi le crollano le spalle. «Pensavo che a quest’ora sarebbe già stato qui.»

«Non credo che oserebbe farlo» dice il vecchio. «Dio non aveva paura della polizia. Pensa a Gesù. È forse corso via dalla croce? No.» Lascia che Sorrow ci pensi un po’ su, poi prosegue: «In ogni caso dimentichi la parte più importante del predicare.»

«E qual è?»

«Be’, hai bisogno d’indossare qualcosa di sgargiante.»

A quelle parole, Amity si allontana dallo schermo ed esce sul portico. Si è stancata di Dio e si è stancata di sua sorella. Il vecchio era suo e Sorrow se l’è preso. Anche la tv era sua, prima, ma Sorrow si è presa anche quella. Sorrow si prende sempre tutto quello che vuole. Mentre nessuno sta guardando, scivola via verso la stazione di benzina, per aprire la porta dell’altare di Sorrow. Lì, nel buio, si toglie i vestiti. Guarda la propria sagoma scura allo specchio ondulato della stanza, ma non vede altro che una pelle pallidissima. E su quella pelle bianca indossa la stoffa blu della sottoveste, scura adesso come inchiostro, che le scivola ampia e fluida su un corpo che finora ha conosciuto soltanto lacci e bende. Poi si rimette sopra tutti i suoi vestiti, per indossare quella veste come un segreto.

Trova Dust nella sua stalla, inginocchiato davanti alla motocicletta, intento a venerarla lubrificandola con l’olio. Guarda i gattini rotolarsi nella paglia e agita il fianco per sentire la sottoveste blu muoversi furtiva sotto le sottane finché Dust le lancia un’occhiata. «Se hai bisogno di andare al bagno, vai» le dice.

«Non ho bisogno di andare al bagno» gli risponde, adesso irritata.

Non può vedere il suo segreto. Dovrà mostrarglielo.

Lui solleva la gamba e inforca la motocicletta, tira l’aria, gira la chiave. Il motore si accende e si spegne, riempiendo la stalla di un fumo blu e oleoso.

«Dovrebbe fare così?» urla lei quando lui riavvia il motore.

«La sto ancora aggiustando!» urla Dust in risposta. «Problemi alle fasce elastiche!» Spegne il motore e lei dà uno spintone alla porta della stalla per far uscire il fumo e poter riprendere a respirare, mentre i gattini scorrazzano ovunque. «La fascia elastica si è incollata.» Dust schiaffeggia il seggiolino, come per castigare un bambino cattivo.

«Quando sarà pronta la tua moto?»

«Presto. Molto presto.»

«E poi te ne andrai?»

«Al termine del raccolto» dice. «Non gli lascerei mai il mio lavoro da fare.»

Amity gli dà un bacio sulla guancia.

«Ehi» dice lui, ripulendosi dal bacio, imbarazzato.

«Mi fai vedere la tua cicatrice?» gli chiede.

«L’hai già vista.»

«L’ho curata. Voglio vederla guarita.»

Lui si sfrega la cicatrice da sopra la camicia. «Sei strana» le dice.

«Davvero? In che senso sono strana?»

Dust si fa scivolare giù la camicia lungo la schiena. La cicatrice è rossa e rialzata, proprio come prima.

«La tua cicatrice è tornata» gli dice.

«Dove pensi che se ne fosse andata?» Il ragazzo fa per tirarsi su la camicia, ma lei ci ha già infilato le mani, massaggiando con le dita i nodi dello sfregio. «Smetti di toccarla.»

«Ma io ti ho guarito.»

«Non puoi guarire la gente. Nessuno può farlo. Lascia stare.» Si riabbottona la camicia mentre lei si scioglie il grembiule. «Che cosa stai facendo?»

«Non guardare» gli dice. Quando lui si gira, Amity dà uno strattone ai colletti che ha intorno al collo e si dimena per liberarsi delle maniche troppo corte. Fa scivolare giù il vestito dalle braccia e rimuove la camicia che porta sotto, per esporre la profonda V della sottoveste blu, le coppe che si gonfiano e le ossa del petto. Pensa alle ragazze che ha visto in paese, con le loro gambe nude e i loro capelli sciolti e si toglie il fazzoletto. «Adesso puoi guardare» dice, e lascia che lui si giri. Lascia che lui la guardi. E poiché lui, a bocca aperta, non dice nulla, gli si avvicina e unisce la bocca alla sua.

Lo guarda, sfocato e vicinissimo, e Dust scosta le labbra e se le pulisce con il dorso della mano. Lei lo afferra per la fibbia della cintura.

«Amity!» indietreggia lui. «Che cosa stai facendo?»

«Va tutto bene» dice.

«No. È una cosa che non si fa.»

«Sì, invece» dice lei. «Sto sanguinando.»

«Gesù!» dice. «Oh Gesù!»

«Guardo le cose. So che cosa fare.»

«Be’, io no. Sei solo una bambina. Rimettiti il vestito.»

«Sono grande abbastanza per fare Gesù, adesso. Guardami.»

Dust le schiaffeggia la mano e si abbottona la camicia fino al mento. «C’è qualcosa in te che non va, vero? In tutte voi c’è qualcosa che non va. Perché nessuno fa qualcosa?»

«Non lo so» dice Amity. È tutto quello che sa e tutto quello che vuole, e le sue mani sono aperte e vuote. Tese verso qualcosa da guarire.

Ma Dust sta fuggendo da lei. Si allontana di corsa dalla stalla e lei lo segue, tagliando per i campi verso la casa e la stazione di benzina. Segue le sue tracce, con la sottoveste blu che sventola, che con il caldo si appiccica alla pelle, e si chiede se sia un gioco, una sorta di preludio alla fabbricazione di Gesù, un passo verso quel processo che malgrado il suo guardare non ha mai visto. Forse lì si comportavano diversamente.

Lo vede raggiungere la porta di Sorrow, battere sopra e urlare come un uomo posseduto. Nessuno può resistere a Sorrow, nemmeno Dust. Quando Sorrow apre la porta, lui l’afferra, la scrolla e Sorrow non urla. Non scappa via e non lo caccia, come invece dovrebbe. Lascia che Dust la tocchi e lo lascia parlare. Lo ascolta – lo ascolta davvero – e quando vede che Amity li sta guardando, lo tira dentro il bagno, nel suo posto segreto con il suo altare segreto, dove non fa entrare nessuno tranne Amity. Amity si chiede che cosa lui ci troverà là, che cosa penserà di tutte quelle cose sparpagliate sull’altare.

Vuole spalancare quella porta e far uscire Dust. Lui lo sa che al buio Sorrow è pericolosa, ha visto come Sorrow ha inciso con il coltellino la mano della sorella, ma non sa tutto quello che Sorrow è capace di fare in una stanza buia. E se lui non ha voluto farlo con Amity, lo farebbe forse con Sorrow? E Sorrow, lo lascerebbe fare? E se da lei non era quello che voleva, cosa diamine dovrebbe volere da Sorrow? Che cos’è che qualcuno dovrebbe volere?

Amity si toglie la sottoveste blu sfilandola dalla testa e si riabbottona il vestito. Ficca la sottoveste in un mucchio di spazzatura. La porta resta chiusa e lei sa che Sorrow ha preso il suo Dust, lo ha preso come ha preso la tv e il vecchio. Lo ha preso, come il Padre. Lo ha preso, come Dio.

Amity e Sorrow: Le figlie del profeta
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