Capitolo XXV

Non impulsiva

 

 

 

 

 

Non si può ritenere sorprendente che la decisione finale presa dai giganti in merito ai due vescovadi avesse disgustato l’Arcidiacono Grantly. Egli era un politico ma non un politico come lo erano loro. Come capita a tutti i profani, la sua visione politica era limitata e altrettanto lo erano le sue aspirazioni. Quando i suoi amici andarono al governo, il disegno di legge sui vescovi, che come prodotto originario dei suoi nemici aveva ritenuto così pernicioso, – non stava infatti per essere trasformato in legge in modo che altri Proudie e affini potessero venir innalzati a posti importanti e notevoli redditi, a tremendo scapito della Chiesa? – il disegno di legge, dicevo, nelle mani dei suoi amici, gli era apparso quasi come il mezzo della salvezza nazionale. E poi quanto erano stati fortunati i giganti in quel caso! Se fossero stati loro i promotori dell’iniziativa, non avrebbero avuto la minima possibilità di successo, ma adesso, adesso che i due vescovi stavano cadendo nelle loro fauci dalle deboli mani degli dei, il loro successo non era forse assicurato? Così il Dottor Grantly si era cinto i fianchi e aveva marciato verso il combattimento, quasi rammaricandosi che il trionfo fosse così facile. Il fallimento che seguì mise a dura prova la sua tempra di uomo di partito.

Mi vien sempre fatto di pensare che i sostenitori dei Titani siano da compatire. Gli stessi giganti, coloro che maneggiano Pelio e si rompono le tibie contro le rocce più basse del monte Ossa, in un modo o nell’altro avanzano sempre verso i consigli dell’Olimpo. La loro massima aspirazione è rubare un raggio dal paradiso. Perché porre Pelio su Ossa, se non per permettere a una mano furtiva di raggiungere la finestra di Giove e carpire un paio di saette o qualche altro articolo meno distruttivo ma di manifattura ugualmente divina? In questo consiste la saggezza dei massimi giganti; a dispetto dei loro precedenti, teorie e predilezioni terrene, si rendono conto che gli articoli di manifattura divina sono necessari. Però non portano mai con sé i propri sostenitori. Il loro è un esercito di martiri. «Per vent’anni sono stato con loro e guarda come mi hanno trattato!» non è sempre questo il lamento del vecchio schiavo dei giganti? «Sono stato fedele al partito tutta la vita e dove mi trovo adesso?». È proprio il caso di chiedere dove, amico mio! Guardandoti intorno comincerai a capire che non sei in grado di descrivere i luoghi in cui ti trovi. Io non me ne meraviglio. Chiunque sia alla fine imprigionato in una palude così tremenda non può che desiderare di stare, piuttosto, eternamente fermo, purché su un terreno asciutto.

Il Dottor Grantly era disgustato e sebbene fosse troppo leale e scrupoloso in tutti i suoi sentimenti per poter dire forte che i giganti avevano torto, tuttavia aveva la triste sensazione che il mondo gli stesse crollando sotto i piedi. Era ancora abbastanza ingenuo da credere che un bel combattimento senza risparmio di colpi per una buona causa fosse la cosa giusta. Senza dubbio desiderava essere vescovo di Westminster ed era ansioso di ottenere quella promozione con ogni mezzo che gli sembrava corretto. E perché no? Ma quella non era la vetta delle sue aspirazioni. Desiderava che i giganti prevalessero in tutto, nei vescovadi come nelle altre questioni, e non riusciva a capire perché si arrendessero alla prima schermaglia. Apertamente criticava a gran voce più di una divinità ma nel profondo del suo cuore si sentiva molto amareggiato sia nei confronti di Porfirione che di Orione.

«Mio caro dottore, non funzionerebbe… non in questa sessione; non funzionerebbe proprio» così gli aveva parlato al Tesoro una giovane leva inesperta, ma particolarmente ben informata, che si riteneva a conoscenza di tutti gli stratagemmi del partito e considerava l’esercito dei martiri che lo sosteneva come una raccolta piuttosto pesante ma molto utile di vecchiumi. Il Dottor Grantly non si era preso la briga di discutere la questione con la giovane leva inesperta. Il più adulato di tutti i mostri, il gigante più simile agli dei, gli aveva detto un paio di parole e anche lui a sua volta aveva detto un paio di cosette a quel gigante. Porfirione aveva dichiarato che il disegno di legge sui vescovi non avrebbe funzionato e il Dottor Grantly in risposta, parlando col viso in fiamme, aveva detto che non capiva proprio perché il disegno non dovesse andare. Il gigante cortese aveva sorriso e scosso la grossa testa e poi l’arcidiacono se ne era andato, scuotendosi inconsapevolmente la polvere dalle scarpe mentre camminava lungo i corridoi del Tesoro per l’ultima volta. Tornando a piedi al suo alloggio di Mount Street molti pensieri, non di natura del tutto malvagia, gli passavano per la mente. Perché affannarsi per un vescovado? Non stava forse bene al rettorato, giù a Plumstead? Non sarebbe stato dannoso alla sua età trapiantarsi in un nuovo terreno, impegnarsi in nuovi doveri e vivere tra gente nuova? Non era utile e anche rispettato a Barchester? E non era possibile che lì a Westminster venisse considerato solo uno strumento di cui altri avrebbero potuto servirsi? Non gli era per niente piaciuto il tono di quella giovane leva particolarmente ben informata che lo aveva chiaramente considerato come un distinto vecchiume dell’esercito dei martiri. Avrebbe riportato sua moglie nel Barsetshire e là avrebbe vissuto pago dei beni che la Provvidenza gli aveva accordato.

I miei sarcastici amici diranno che l’irraggiungibile uva politica era diventata acerba. E allora? Non è forse un bene che i grappoli irraggiungibili diventino acerbi? Non è saggio colui che ritiene acerba l’uva evidentemente troppo lontana dalla sua mano? I grappoli del banco dei ministri, per cui gli dei e i giganti combattono, soffrendo talmente quando non possono cibarsene e tanto di più quando se ne cibano, quei grappoli sono tremendamente acerbi per me. Sono certo che siano indigeribili e chi li mangia soffre di tutti i disturbi che la Revalenta Arabica può curare. Ed era proprio quel che stava pensando l’arcidiacono in quel momento. Considerò la tensione a cui sarebbe stata sottoposta la sua coscienza se avesse avuto un seggio a Londra come Vescovo di Westminster e in quello stato d’animo tornò a casa dalla moglie.

Durante i primi attimi del colloquio con lei tutti i rimpianti erano tornati a farsi sentire. In effetti, in quel frangente sarebbe stato poco conveniente predicare la nuova dottrina di felicità bucolica. La sposa del suo cuore, di cui si fidava ciecamente, che amava totalmente, desiderava l’uva che stava in alto sul muro e l’arcidiacono sapeva che attualmente andava oltre le sue capacità insegnarle a rinunciare all’ambizione. Qualsiasi insegnamento volto a tale scopo era da impartirsi gradualmente. Ma nel giro di pochi minuti le aveva parlato del destino che l’attendeva e della decisione da lui presa. «Così faremo meglio a ritornare a Plumstead» disse e lei non dissentì.

«Mi dispiace per la povera Griselda» aveva osservato la signora Grantly più tardi quella sera, quando si erano di nuovo trovati insieme.

«Ma pensavo che sarebbe rimasta con Lady Lufton».

«Sì, infatti, per un po’. Non c’è nessuno a cui l’affiderei più volentieri che a Lady Lufton. È la persona più adatta».

«Esattamente; e quanto a Griselda, non penso che sia da compatire».

«Non da compatire forse, ma, vedete, arcidiacono, Lady Lufton, naturalmente, ha le sue opinioni».

«Le sue opinioni?».

«Non è certo un segreto che voglia combinare un matrimonio tra Lord Lufton e Griselda. E potrebbe risultare una sistemazione molto appropriata se fosse certa, tuttavia…».

«Lord Lufton sposare Griselda!» disse l’arcidiacono parlando in fretta e sollevando le sopracciglia. Finora la sua mente era stata turbata da ben pochi pensieri riguardanti la futura posizione della sua bambina. «Non mi sono mai sognato niente del genere».

«Ma altri hanno fatto più che sognare. Per quel che riguarda il matrimonio in sé, penso che non ci sarebbe nulla da obiettare. Lord Lufton non sarà molto ricco ma la sua proprietà è discreta e, per quel che ne so, nel complesso ha un buon carattere. Se loro due si piacessero, sarei contenta di questo matrimonio. Ma devo ammettere che non sono completamente soddisfatta all’idea di lasciarla da sola con Lady Lufton. La gente penserà che la faccenda è sistemata quando non lo è… e con molta probabilità potrebbe non esserlo mai; ciò danneggerebbe la povera ragazza. È molto ammirata, non ci sono dubbi in merito e Lord Dumbello…».

L’arcidiacono spalancò ancora di più gli occhi. Non aveva idea che gli stessero preparando una tale scelta di generi e, a dire il vero, era piuttosto sconcertato dall’altezza delle ambizioni di sua moglie. Lord Lufton, con la sua baronia e ventimila sterline l’anno, era ritenuto appena passabile, ma se fosse venuto a mancare lui, c’era un marchese in nuce, la cui fortuna sarebbe stata dieci volte maggiore, pronto a sposare la sua bambina. Pensò allora, come fanno talvolta i mariti, a come era Susan Harding, quando la corteggiava sotto gli olmi davanti alla casa dell’amministratore a Barchester, e al caro vecchio signor Harding, il padre di sua moglie, che ancora viveva in un’umile residenza in quella città; e mentre pensava si meravigliava e ammirava la grandezza della mente di quella donna.

«Non potrò mai perdonare Lord De Terrier» disse la signora collegando vari pensieri nella sua mente.

«Che sciocchezze, devi perdonarlo» disse l’arcidiacono.

«E devo confessare che mi secca lasciare Londra ora».

«Non ci si può fare niente» disse l’arcidiacono un po’ burberamente. Era un uomo che in certi casi sceglieva di fare a modo suo… e portava avanti la sua decisione.

«Oh, lo so che non ci si può far niente» disse la signora Grantly con un tono che sottintendeva una profonda offesa. «Lo so che non ci si può far niente. Povera Griselda!». Poi entrambi andarono a dormire.

La mattina seguente Griselda venne dalla madre e in un colloquio strettamente privato la madre le disse più di quanto le avesse mai rivelato sulle prospettive della sua vita futura. Fino ad allora la signora Grantly ne aveva parlato poco o niente. Sarebbe stata ben felice che la figlia ricevesse l’incenso dei voti di Lord Lufton – o, forse, sarebbe stata altrettanto felice se si fosse trattato dell’incenso dei voti di Lord Dumbello – senza che lei dovesse minimamente interferire. In tal caso sapeva che la sua bambina glielo avrebbe detto con sufficiente sollecitudine, e in entrambi i casi la faccenda si sarebbe risolta come un bel matrimonio d’amore. Non temeva né avventatezze né sconvenienze da parte di Griselda. Sapeva benissimo di cosa stava parlando quando si era vantata del fatto che Griselda non si sarebbe mai abbandonata a una passione non autorizzata. Ma arrivati a quel punto, con quelle due frecce al suo arco, e con quel trattato di alleanza Lufton-Grantly, di cui Griselda era completamente all’oscuro, non poteva capitare che la povera bambina inciampasse per mancanza di direttive? Guidata da tali pensieri la signora Grantly aveva deciso di dire qualcosa a Griselda prima di lasciare Londra. Così scrisse due righe alla figlia e Griselda giunse in Mount Street alle due con la carrozza di Lady Lufton, carrozza che durante il colloquio l’aspettò alla birreria dietro l’angolo.

«E papà non diventerà Vescovo di Westminster?» chiese la signorina quando l’operato dei giganti le fu spiegato quel tanto che bastava per farle capire che tutte le speranze erano sfumate.

«No, mia cara, almeno non ora».

«Che peccato! Pensavo fosse deciso. Mamma, a che serve che Lord De Terrier sia Primo Ministro se poi non può nominare vescovo chi vuole?».

«Non penso che Lord De Terrier si sia comportato bene con tuo padre. Comunque è una lunga storia e non possiamo discuterne adesso».

«Come saranno contenti i Proudie».

Griselda avrebbe parlato dell’argomento per ore e ore se la madre glielo avesse permesso, ma era necessario che la signora Grantly affrontasse altre questioni. Cominciò da Lady Lufton, dicendo che era proprio una cara signora, e poi continuò riferendo che Griselda sarebbe stata a Londra finché all’amica e ospite fosse sembrato opportuno restarvi con lei; aggiunse però che probabilmente non sarebbe stato per molto tempo, perché si sapeva che Lady Lufton era sempre ansiosa di tornare a Framley quando era a Londra.

«Ma non penso abbia così fretta quest’anno, mamma» disse Griselda che in maggio preferiva Bruton Street a Plumstead e non aveva nulla da ridire sulla corona nobiliare che ornava i pannelli della carrozza di Lady Lufton.

A quel punto la signora Grantly cominciò la sua spiegazione… molto prudentemente. «No, mia cara, non credo abbia molta fretta quest’anno… vale a dire, almeno fino a quando rimarrai con lei».

«È certo molto gentile».

«È molto gentile e tu devi volerle molto bene. Io gliene voglio. Non ho nessun’altra amica per cui nutro maggiore considerazione di Lady Lufton. È per questo che sono così felice di lasciarti con lei».

«In ogni caso avrei preferito che tu e papà foste rimasti qui, intendo dire, se avessero fatto papà vescovo».

«Non serve a nulla pensarci mia cara. Ciò che tenevo particolarmente a dirti è questo: credo che dovresti conoscere le idee di Lady Lufton».

«Le sue idee!» disse Griselda che non si era mai data gran pena di riflettere sugli altrui pensieri.

«Sì, Griselda. Mentre ti trovavi a Framley Court e anche, suppongo, da quando sei qui, in Bruton Street, devi aver visto spesso… Lord Lufton».

«Non viene spesso in Bruton Street,… cioè, non così spesso».

«A-ah» esclamò la signora Grantly molto gentilmente. Avrebbe con piacere represso completamente quel suono, ma era stato troppo per lei. Se avesse avuto ragione di credere che Lady Lufton la stava ingannando, avrebbe immediatamente portato via la figlia, avrebbe rotto il trattato e si sarebbe preparata all’alleanza Hartletop. Quelli erano i pensieri che le passavano per la mente. Ma tuttavia sapeva che Lady Lufton non era falsa. La colpa non era di Lady Lufton e forse nemmeno del tutto di Lord Lufton. La signora Grantly aveva capito appieno la natura delle lamentele che Lady Lufton aveva mosso nei riguardi di Griselda e sebbene lei avesse naturalmente difeso la sua bambina e lo avesse fatto con successo nel complesso, tuttavia si rendeva conto che le possibilità di Griselda di fare un matrimonio di prim’ordine sarebbero state migliori se fosse stata un po’ più impulsiva. Un uomo non desidera sposare una statua per quanto scultorea questa possa essere. Non poteva insegnare alla figlia a essere impulsiva, non più di quanto potesse insegnarle a essere alta sei piedi, ma non era possibile insegnarle a sembrarlo? Il compito era molto delicato, anche per una madre.

«Naturalmente adesso non può passare tanto tempo dalla madre come quando era in campagna e viveva nella stessa casa di lei» disse la signora Grantly che in quel momento doveva prendere le parti di Lord Lufton. «Deve andare al suo club, alla Camera dei Lord e in molti altri posti».

«Ama molto andare alle feste e balla benissimo».

«Ne sono sicura. L’ho visto con i miei occhi e penso di conoscere una certa persona con cui gli piace ballare» e la madre abbracciò teneramente la figlia.

«Ti riferisci a me, mamma?».

«Sì, mi riferisco a te, mia cara. Non è forse vero? Lady Lufton dice che preferisce ballare con te piuttosto che con qualsiasi altra in tutta Londra».

«Non so» disse Griselda abbassando lo sguardo.

La signora Grantly pensò che tutto sommato fosse un buon inizio. Avrebbe potuto essere meglio. Si sarebbe potuto trovare qualche interesse più serio di un valzer per collegare le simpatie di sua figlia a quelle del futuro marito. Ma qualsiasi interesse comune era pur meglio di niente ed è così difficile trovare interessi comuni in persone che per loro natura non sono impulsive.

«Lady Lufton dice così, perlomeno» continuò, sempre molto prudentemente, la signora Grantly. «Pensa che a Lord Lufton nessun’altra ballerina piaccia altrettanto. Tu che ne pensi Griselda?».

«Non so, mamma».

«Ma le ragazze devono pensare a queste cose, non è vero?».

«Davvero, mamma?».

«Suppongo che lo facciano, no? La verità è, Griselda, che Lady Lufton pensa che se… non indovini cosa pensa?».

«No, mamma», ma questa da parte di Griselda era una bugia.

«Pensa che la mia Griselda sarebbe la miglior moglie possibile per il figlio e lo penso anch’io. Penso che suo figlio sarà un uomo molto fortunato se potrà avere una simile moglie. E ora, tu che ne pensi, Griselda?».

«Non penso nulla, mamma».

Non andava proprio. Era assolutamente necessario che pensasse qualcosa e che la madre glielo facesse notare. Una tale mancanza di impulsività avrebbe portato a… Dio solo sa quali risultati! I trattati Lufton-Grantly e gli interessi Hartletop sarebbero stati del tutto sprecati con una signorina che non pensava nulla di un nobile pretendente che sospirava per i di lei sorrisi. Inoltre, non era naturale. Griselda, come la madre sapeva, non era mai stata una ragazza avventata ma tuttavia aveva i suoi gusti. Riguardo la questione del vescovado aveva mostrato un certo entusiasmo e nessuno più di Griselda Grantly sapeva mostrare maggior interesse nei confronti di un bel vestito nuovo. Non era possibile che fosse indifferente alle sue prospettive future e doveva sapere che quelle prospettive dipendevano soprattutto dal suo matrimonio. La madre era quasi arrabbiata con lei, tuttavia continuò in modo molto gentile:

«Non pensi niente! Ma, mia cara, devi pensare. Devi decidere quale sarebbe la tua risposta se Lord Lufton ti facesse una proposta di matrimonio. È ciò che Lady Lufton desidera che lui faccia».

«Ma non lo farà mai, mamma».

«E se lo facesse?».

«Sono sicura che non lo farà mai, non ci pensa per niente… e… e…».

«E cosa, mia cara?».

«Non so, mamma».

«Ma puoi certo confidarti con me. Io voglio solo la tua felicità. Lady Lufton e io pensiamo che sarebbe un matrimonio felice se vi voleste abbastanza bene. Lei pensa che lui sia molto affezionato a te. Ma anche se fosse dieci volte Lord Lufton, non insisterei se credessi che non puoi imparare a volergli bene. Che cosa stavi per dire, mia cara?».

«Credo che Lord Lufton pensi molto più a Lucy Robarts che… che… a chiunque altra» disse Griselda dando ora segno di una certa vivacità nei suoi modi. «Tozzo esserino nero che non è altro».

«Lucy Robarts!» disse la signora Grantly, sorpresa che la figlia si lasciasse trasportare da un sentimento come la gelosia e certa che da quella direzione non venisse nessun motivo di gelosia. «Lucy Robarts, mia cara! Non penso che a Lord Lufton sia mai venuto in mente di parlarle, se non per educazione».

«Sì che lo ha fatto, mamma! Non ti ricordi a Framley?».

La signora Grantly cominciò a frugare nella memoria e le parve di ricordare di avere una volta osservato Lord Lufton che parlava in modo alquanto confidenziale con la sorella del parroco. Ma era sicura che non significasse nulla. Se quello era il motivo della freddezza di Griselda verso il suo corteggiatore, sarebbe stato un gran peccato non poterlo eliminare.

«Adesso che me ne parli, mi ricordo della signorina, una ragazza bruna, molto bassa, senza un gran personale. Mi sembrava che si tenesse molto in disparte» disse la signora Grantly.

«A riguardo non saprei, mamma».

«Per quanto ho visto, sì. Ma, mia cara Griselda, non dovresti pensare a una cosa simile. Naturalmente Lord Lufton è tenuto a essere garbato con qualsiasi signorina si trovi a casa della madre e sono certa che non ha altre idee nei confronti della signorina Robarts. Non posso dir niente della sua intelligenza perché non mi pare abbia aperto bocca in mia presenza ma…».

«Oh, ha molto da dire quando vuole. È un tipetto subdolo».

«Ma in ogni caso, mia cara, non ha attrattive personali e non penso proprio che Lord Lufton sia uomo da lasciarsi attirare da… da… da qualsiasi cosa la signorina Robarts possa dire o fare».

Quando furono pronunciate le parole “attrattive personali”, Griselda fece in modo di girare la testa così da vedersi in uno degli specchi sul muro e allora si raddrizzò, fece un piccolo gioco di sguardi e apparve, come pensò la madre, molto bella. «Naturalmente tutto questo non ha importanza per me, mamma» disse.

«Beh, mia cara, forse no. Non dico che ne abbia. Non voglio imporre nulla ai tuoi sentimenti. Se non avessi la massima fiducia nel tuo buon senso e alti principi, non ti parlerei così. Ma poiché mi fido completamente, ho pensato fosse meglio dirti che sia Lady Lufton che io saremmo molto liete se tu e Lord Lufton vi voleste bene».

«Sono sicura che non pensa affatto a una cosa del genere, mamma».

«E quanto a Lucy Robarts, per favore togliti quell’idea dalla testa, se non per il tuo bene per il suo. Dovresti dargli credito di avere gusti migliori».

Ma non era facile togliere qualcosa dalla testa di Griselda una volta che vi era entrata. «Sui gusti, mamma, non si discute» disse e poi il colloquio sull’argomento terminò. Il risultato per la signora Grantly fu un presentimento, che raggiungeva quasi la certezza, favorevole agli interessi Dumbello.