Capitolo XXVII

South Audley Street

 

 

 

 

 

Il Duca di Omnium aveva comunicato al signor Fothergill il desiderio che venissero presi provvedimenti riguardo le ipoteche su Chaldicotes e il signor Fothergill aveva capito quel che intendeva il duca come se le istruzioni fossero state messe per iscritto con tutta la verbosità di un avvocato. Quel che il duca intendeva era che Chaldicotes andava presa e annessa come parte integrante alle proprietà di Gatherum. Era parso al duca che la storia tra il suo amico e la signorina Dunstable tardasse a concludersi felicemente, pertanto sarebbe stato meglio che Chaldicotes venisse annessa. Per di più era giunta voce nella divisione occidentale che il giovane Frank Gresham di Boxall Hill era in trattative con il governo per l’acquisto di tutta quella proprietà della Corona chiamata la Riserva di Chaldicotes. Era stata offerta al duca ma il duca non aveva dato nessuna risposta definitiva. Se avesse riavuto i soldi da Sowerby avrebbe potuto anticipare il signor Gresham ma ormai la cosa non pareva probabile e sua grazia era deciso a far sì che l’una o l’altra delle proprietà venisse debitamente annessa. Pertanto il signor Fothergill si recò in città e di conseguenza il signor Sowerby fu obbligato, assai di mala voglia, ad avere un colloquio di affari con il signor Fothergill. Nel frattempo, dall’ultima volta che l’abbiamo visto, il signor Sowerby aveva appreso dalla sorella la risposta della signorina Dunstable alla sua proposta di matrimonio e sapeva di non poter sperare più nulla da quella fonte.

Da quella fonte non giungeva nessuna speranza di completa salvezza ma c’era stata l’offerta di aiuto pecuniario. Per essere giusti con il signor Sowerby, egli aveva subito dichiarato che era fuori questione ricevere un aiuto del genere dalla signorina Dunstable, ma la sorella gli aveva spiegato che si sarebbe trattato semplicemente di una transazione di affari e che, se lei si fosse accontentata del quattro per cento laddove il duca incassava il cinque e gli altri creditori il sei, sette, otto, nove, dieci e solo il cielo sa quanto altro, sarebbe stato un bene per tutte le parti contraenti. Lo stesso signor Sowerby capiva altrettanto bene del signor Fothergill quale significato avesse il messaggio del duca. Chaldicotes sarebbe stata presa e annessa come era successo a tante altre belle proprietà della zona. Sarebbe stata interamente fagocitata e il padrone avrebbe dovuto lasciare la vecchia dimora avita, i vecchi boschi che amava, avrebbe dovuto abbandonare a un altro i parchi, i prati, i luoghi ameni che conosceva dalla prima infanzia e possedeva dalla prima giovinezza.

Per un uomo non può esserci nulla di più amaro che una simile resa. Paragonata a questa, cos’è la perdita di ricchezze per chi le ha messe insieme da solo ma senza mai vederle con i propri occhi? Tali ricchezze arrivano per caso e per caso se ne vanno, la perdita è un aspetto della partita che l’uomo sta giocando e se non sa perdere così come sa vincere, allora è una povera creatura, debole e vile. Di regola uomini del genere sanno come reagire alle avversità. Ma aver perduto terreni che sono passati di generazione in generazione, essere il membro della famiglia che ha rovinato la propria famiglia, aver fatto sparire nelle proprie fauci tutto quel che doveva arricchire i figli e i nipoti! Mi sembra che le sciagure di questo mondo non possano andare oltre!

Il signor Sowerby, nonostante la sua sconsideratezza e quella gaiezza audace che ben sapeva come mostrare e usare, non ne soffriva meno acutamente di altri uomini. Era stata tutta colpa sua. I terreni gli erano giunti intonsi e ora, prima della sua morte, sarebbero finiti tutti in quelle avide fauci. Il duca aveva rilevato quasi ogni debito che avesse come garanzia la proprietà e ormai poteva farne piazza pulita. Sowerby, quando ebbe il messaggio del signor Fothergill, ne capì bene il significato e capì anche che quando avesse smesso di essere il signor Sowerby di Chaldicotes, non avrebbe più avuto speranze di essere rieletto come rappresentante del West Barsetshire. Tutto sarebbe finito per lui. E come deve sentirsi un uomo quando pensa che per lui tutto sia finito?

Il mattino in questione si recò all’appuntamento, esibendo una faccia ancora allegra. Il signor Fothergill, quando era in città per affari del genere, aveva sempre a disposizione una stanza nell’ufficio dei signori Gumption e Gagebee, i legali londinesi del duca, ed era là che il signor Sowerby era stato convocato. L’ufficio dei signori Gumption e Gagebee si trovava in South Audley Street e si può dire che non c’era su tutta la terra un posto che il signor Sowerby odiasse di più del cupo, squallido salottino al piano superiore di quella casa. C’era stato molto spesso ed era sempre stata una seccatura. Era un’orrida camera di tortura, tenuta apposta per terribili occasioni del genere, e senza dubbio era stata ammobiliata e tappezzata con il preciso intento di abbattere il morale dei poveri gentiluomini di campagna che si erano rovinati. Ogni cosa era di color marrone rossastro – un cremisi diventato marrone. La luce del sole, la vera, allegra luce del sole, non arrivava mai là e nessun numero di candele riusciva a rischiarare la cupezza di quel marrone. Le finestre non venivano mai lavate; il soffitto era marrone scuro; il vecchio tappeto turco era ricoperto da uno strato di polvere e per di più era marrone; la brutta scrivania, nel mezzo della stanza, era stata coperta di cuoio nero che era ormai divenuto marrone. Nella rientranza a lato del caminetto c’era una libreria piena di testi legali, sporchi e marroni, che nessuno aveva toccato da anni, e sopra il caminetto pendeva la tavola di qualche vecchio albero genealogico legale, nera per la fuliggine. Quella era la stanza che il signor Fothergill usava sempre nell’ufficio dei signori Gumption e Gagebee, in South Audley Street, vicino a Park Lane.

Una volta ho sentito parlare di questa stanza da un mio vecchio amico, un certo signor Gresham di Greshamsbury – il padre di Frank Gresham che era ora sul punto di comprare quella parte della Riserva di Chaldicotes appartenente alla Corona. Anche lui aveva avuto giorni bui, sebbene appartenessero fortunatamente al passato, e anche lui si era trovato nella stanza e aveva ascoltato la voce di uomini che vantavano diritti sulla sua proprietà e che intendevano esercitarli. L’idea che mi trasmise era molto simile a quella che mi ero fatto, da ragazzo, di una certa stanza del Castello di Udolpho. In quella stanza a Udolpho c’era una sedia e a chi vi si sedeva venivano strappate le membra a una a una: la testa da una parte e le gambe da un’altra; le dita venivano strappate dalle mani, i denti dalle mascelle, i capelli dalla testa, le giunture dalle articolazioni, finché sulla sedia non restava altro che un tronco senza vita. Il signor Gresham, secondo quel che mi disse, sedeva sempre sulla stessa sedia e le torture che pativa da seduto, le dislocazioni della sua proprietà che era obbligato a discutere, le operazioni sulla sua persona a cui era costretto ad assistere, mi hanno spinto a ritenere questa stanza peggiore della camera di Udolpho. Egli fortunatamente – un raro caso di buona sorte – ha visto tutte le sue ossa e giunture tornare a posto e in ottimo stato ma non gli è mai riuscito di parlare della stanza senza terrore.

«Per nulla al mondo» mi disse una volta con estrema solennità, «dico nulla, rimetterei piede in quella stanza». E a dire il vero la risoluzione era sentita con tale forza che dal giorno in cui i suoi affari cominciarono ad andare meglio, si rifiutò persino di percorrere South Audley Street. Il mattino di cui ci occupiamo, il signor Sowerby entrò nella camera delle torture dove, dopo un paio di minuti, fu raggiunto dal signor Fothergill.

Il signor Fothergill era, per un certo aspetto, simile al suo amico Sowerby. Incarnava due persone completamente diverse in situazioni tra loro molto diverse. In linea di massima, con la gente era un uomo allegro, brioso, popolare, amante del bere e del mangiare, considerato devoto agli interessi del duca e ritenuto piuttosto privo di scrupoli, o perlomeno duro, quando erano in gioco quegli interessi. Ma, per altri aspetti, era un brav’uomo e secondo una voce una volta aveva prestato del denaro a qualcuno senza interessi né garanzie. Nell’occasione in questione Sowerby capì al primo sguardo che Fothergill era arrivato là incarnando l’uomo d’affari con tutti gli annessi e i connessi. Entrò nella stanza con passo rapido e breve, stringendo la mano al vecchio amico senza sorridere; portava con sé una scatola piena di carte e pergamene e dopo aver trascorso meno di un minuto nella stanza era già seduto su una delle sudicie vecchie sedie.

«Da quanto tempo siete in città, Fothergill?» disse Sowerby, rimanendo in piedi con la schiena appoggiata al caminetto. Aveva deciso una sola cosa: nulla lo avrebbe indotto a toccare, guardare, o dar retta a quelle carte. Sapeva benissimo che non ne sarebbe venuto nulla di buono e poi c’era il suo avvocato che avrebbe badato a farlo ripulire secondo le regole.

«Da quando? L’altro ieri. Non sono mai stato così impegnato in vita mia. Il duca, come al solito, vuole che tutto sia sistemato subito».

«Se vuole che gli venga pagato subito tutto quel che gli devo, probabilmente ha fatto male i suoi conti».

«Ah, bene; mi fa piacere che siate pronto a occuparvi subito di affari, è sempre meglio. Perché non vi sedete qui?».

«No, grazie; resterò in piedi».

«Ma, vedete, dovremo esaminare queste cifre».

«Nemmeno una, Fothergill. A che servirebbe? A me niente e ritengo che non servirebbe neanche a voi. Se ci sono degli errori, gli impiegati di Potter li troveranno. Che cosa vuole il duca?».

«Beh, a dire il vero, vuole i suoi soldi».

«In un certo senso, e quello è il senso che conta, ce li ha. Riceve gli interessi regolarmente, no?».

«Sì, non c’è male, visti i tempi che corrono. Ma, Sowerby, è una sciocchezza. Capite il duca meglio di me e sapete benissimo quel che vuole. Vi ha concesso del tempo e se vi foste mosso per ottenere i soldi, avreste potuto salvare la proprietà».

«Centoottantamila sterline! Che avrei dovuto fare per procurarmele? Sventolare una cambiale e darla a Tozer perché ci ricavasse denaro liquido nella City!».

«Speravamo che vi sareste sposato».

«È saltato tutto».

«In tal caso non penso possiate biasimare il duca perché vuole quel che gli spetta. Non gli va di attendere ancora una somma così ingente. Vedete, vuole della terra e la avrà. Se gli aveste pagato il debito, avrebbe acquistato la proprietà della Corona e ora, pare, il giovane Gresham si è messo in competizione con lui e finirà per spuntarla. La cosa lo ha irritato e vi dico francamente che è fermamente deciso ad avere i soldi o i beni».

«Intendete dire che sarò espropriato».

«Beh, sì; se volete usare questo termine. Le mie istruzioni sono di precludere immediatamente il diritto di riscatto».

«Allora devo dire che il duca mi sta trattando davvero malissimo».

«Beh, Sowerby, a me non pare».

«A me sì però. Riceve i soldi con la massima puntualità e ha rilevato queste cambiali da persone che non mi avrebbero mai disturbato fin tanto che avessero ottenuto gli interessi».

«Non avete avuto il seggio?».

«Il seggio! E ci si aspetta che lo paghi?».

«Non mi sembra che qualcuno vi stia chiedendo di pagarlo. Siete come molta altra gente di mia conoscenza. Volete la botte piena e la moglie ubriaca. Avete fatto i vostri comodi per vent’anni e ora vi ritenete maltrattato perché il duca vuole la sua parte».

«Mi riterrò molto maltrattato se mi esproprierà… peggio che maltrattato. Non intendo usare parole grosse ma sarà molto peggio che bistrattare. Non riesco quasi a credere che intenda davvero agire così con me».

«È terribile che voglia i suoi soldi!».

«Non sono i suoi soldi che vuole. È la mia proprietà».

«E non l’ha pagata? Non ne avete ricevuto il prezzo? Ora, Sowerby, è inutile che vi arrabbiate; in questi tre anni sapevate meglio di me quel che stava per succedere. Perché il duca avrebbe dovuto prestarvi i soldi senza uno scopo in vista? Naturalmente ha delle mire. Va detto però che non vi ha messo fretta e se aveste trovato il modo per salvare la proprietà, avreste potuto farlo. Avete avuto tutto il tempo per guardarvi intorno».

Sowerby era ancora in piedi dove si era sistemato all’inizio e per un po’ rimase in silenzio. Aveva il viso molto cupo e la sua espressione era priva di quegli sguardi accattivanti che potevano tanto con i suoi giovani amici, che avevano intrappolato Lord Lufton e affascinato Mark Robarts. Tutto gli era contro e tutto stava per finire. Cominciava a rendersi conto di aver proprio svuotato la botte e gli restava ormai ben poco da fare… a parte decidere di farsi saltare le cervella. Aveva detto a Lord Lufton che le spalle di un uomo devono essere larghe abbastanza da sopportare qualunque peso egli stesso vi abbia posto. Poteva vantarsi adesso di avere spalle abbastanza larghe e forti da sopportare un simile peso? Ma persino in quel momento di estrema amarezza, aveva la ferma convinzione di doversi comportare da uomo. Stava per essere travolto dalla rovina e ben presto sarebbe stato spazzato via dalla conoscenza e dal ricordo di coloro con cui aveva vissuto. Ma tuttavia si sarebbe portato bene fino alla fine. Era vero che era il solo responsabile delle proprie disgrazie e capiva che era giusto biasimare solo se stesso.

Nel frattempo Fothergill si teneva occupato con le scartoffie. Continuò a esaminare un foglio dopo l’altro come se fosse profondamente assorto in considerazioni e calcoli monetari. Ma in realtà in tutto quel tempo non lesse una sola parola. Non c’era nulla che dovesse leggere. Il leggere, lo scrivere e i calcoli, in affari del genere, venivano fatti da subalterni… non da persone importanti come il signor Fothergill. Il suo compito consisteva nel dire a Sowerby che se ne doveva andare. Tutti quei documenti erano di poca importanza. Il duca aveva il potere; Sowerby sapeva che il duca aveva il potere e il compito di Fothergill era di spiegare che il duca intendeva esercitare il potere. Era abituato a quel lavoro e continuò a sfogliare le carte e a fingere di leggerle come se ciò fosse della massima importanza.

«Vedrò il duca di persona» disse alla fine Sowerby e c’era un che di spaventoso nel suono della sua voce.

«Sapete che il duca non vi riceverà per una questione del genere. Non parla mai con nessuno di soldi; lo sapete bene quanto me».

«Per…, ma dovrà parlarne con me. Non parla mai con nessuno di soldi! Perché si vergogna di parlarne quando gli piacciono tanto? Mi riceverà».

«Non ho altro da dire, Sowerby. Naturalmente non chiederò a sua grazia di ricevervi, se cercherete di imporgli la vostra presenza sapete quel che succederà. Non sarà colpa mia se si metterà contro di voi. Nulla di quel che mi dite… nulla di quello che tutti mi dicono, esce mai dalle mie labbra».

«Gestirò l’affare tramite i miei avvocati» disse Sowerby e poi prese il cappello e senza dire un’altra parola uscì dalla stanza.

Non si sa quale sia la natura del castigo eterno destinato a coloro che alla fine dei tempi saranno giudicati colpevoli, mi sembra però che non si possa escogitare un tormento peggiore del ricordo della rovina che ci si è procurati da soli. Quale miseria può essere maggiore del ricordare giorno dopo giorno che la gara è stata corsa e perduta; che l’ultima occasione se ne è andata e andata invano; che la fine è giunta e con essa disonore, disprezzo e nessuna stima di sé – un disonore per cui non c’è possibilità di riscatto, un disprezzo di cui non ci si libererà mai e una mancanza di autostima che corroderà l’anima per sempre?

Il signor Sowerby aveva oramai cinquant’anni, la vita gli aveva offerto delle grandi possibilità e, mentre risaliva South Audley Street, non poteva fare a meno di pensare all’uso che ne aveva fatto. Era entrato in possesso di una bella proprietà al raggiungimento della virilità, era stato dotato di un’intelligenza superiore alla media, di una salute inossidabile e di una certa lucidità nel distinguere il bene dal male e ora, a che si era ridotto!

E quel Fothergill gli aveva messo tutto davanti agli occhi in modo così chiaro! Quando il giorno dell’annientamento era giunto, la necessità della sua distruzione – un’eliminazione immediata, dalla vista e dalla mente – non era stata addolcita o, come dire, semi-nascosta, da frasi ambigue. «Avete avuto la botte piena e la moglie ubriaca… completamente ubriaca. Non vi basta? Vorreste svuotare due volte la botte? No, amico mio, non ci sono altre botti da svuotare per chi è stato così avido. La vostra proposta non è equa e noi che abbiamo il coltello dalla parte del manico non l’ascolteremo. Abbiate la bontà di svanire. Lasciatevi spazzare nel fango senza protestare. Avete perso tutte le cose di valore e permettetemi di dire che ora siete… spazzatura». E a quel punto la ramazza spietata arriva con il suo moto inarrestabile e la spazzatura finisce nella fossa, nascosta per sempre alla vista.

E il peccato è che un uomo, se solo limita la sua avidità, può avere tanto la botte piena che la moglie ubriaca, sì, e così facendo può gustare le cose molto di più di chi dà fondo con totale ingordigia ai propri beni. Le botti in questo mondo prosperano quando ne viene spillato vino, se solo il bevitore non è insaziabile. Su tali principi di saggezza il signor Sowerby meditava tristemente mentre si allontanava dall’ufficio dei signori Gumption e Gagebee.

Aveva pensato di andare alla Camera dopo essere stato da Fothergill ma la prospettiva dell’imminente rovina era stata troppo per lui e sapeva di non essere in condizioni di mostrarsi nei ritrovi degli uomini. Aveva anche pensato di recarsi a Barchester il mattino seguente, sul presto… solo per qualche ora, per prendere ulteriori accordi su quella cambiale che il signor Robarts aveva firmato. Quella cambiale – la seconda – era ormai scaduta e il signor Tozer era stato da lui.

«Ora, non c’è niente da fare, signor Sowerby», aveva detto il signor Tozer «io non ho quella cambiale, né ce l’ho avuta, nemmeno due ore. Ha preso il volo tramite Tom Tozer, lo sapete, signor Sowerby, bene quanto me».

Ogniqualvolta Tozer, il Tozer del signor Sowerby, parlava di Tom Tozer, il signor Sowerby sapeva che venivano evocati sette diavoli, ognuno peggiore del precedente. Il signor Sowerby provava qualcosa di simile a una sincera stima, o piuttosto affetto, per quel povero pastore che aveva cacciato nei guai e sarebbe stato felice di salvarlo, se possibile, dalle zanne di Tozer. Il signor Forrest della banca di Barchester probabilmente avrebbe rilevato l’ultima cambiale di cinquecento sterline, a nome del signor Robarts – solo sarebbe stato necessario che lui, Sowerby, si recasse sul posto a controllare che tutto fosse fatto a dovere. Quanto all’altra cambiale – la prima e la meno ingente – quanto a quella, forse il signor Tozer se ne sarebbe stato buono per un po’.

Tale era stato il programma di Sowerby per quei due giorni, ma ormai… che possibilità c’erano che si preoccupasse del signor Robarts o di un altro essere umano, proprio lui che era sul punto di finire nel mucchio dei rifiuti?

In quello stato d’animo risalì South Audley Street, attraversò un lato di Grosvenor Square e quasi meccanicamente arrivò in Green Street. All’estremità di Green Street, vicino a Park Lane, vivevano il signore e la signora Harold Smith.