Capitolo XLIV

I Filistei alla canonica

 

 

 

 

 

Si è già raccontato come andarono le cose tra i Tozer, il signor Curling e Mark Robarts quel mese. Il signor Forrest aveva del tutto abbandonato l’affare, come aveva fatto anche il signor Sowerby, per quel che riguardava qualunque forma di partecipazione attiva. Alla canonica arrivavano spesso lettere del signor Curling e alla fine giunse un messaggio per invio speciale, per annunciare che il giorno temuto era prossimo. Per quanto l’esperienza professionale permetteva al signor Curling di anticipare o predire le azioni di un uomo come Tom Tozer, egli riteneva che i messi giudiziari sarebbero andati alla Canonica di Framley la mattina seguente. L’esperienza del signor Curling non si rivelò fallace.

«E che farai, Mark?» chiese Fanny tra le lacrime dopo aver letto la lettera che il marito le aveva dato.

«Nulla, che posso fare? Dovranno venire».

«Lord Lufton è arrivato oggi. Non vuoi andare da lui?».

«No. Farlo equivarrebbe a chiedergli dei soldi».

«Perché non prenderli in prestito da lui, tesoro? Di certo per lui non sarebbe una grossa cifra da anticipare».

«Non potrei farlo. Pensa a Lucy e ai suoi rapporti con lui. Inoltre ho già avuto una discussione con Lufton a proposito di Sowerby e delle sue questioni di soldi. Egli pensa che io sia da biasimare e me lo direbbe e allora ci scambieremmo delle sgradevolezze. Mi presterebbe i soldi se insistessi, ma lo farebbe in modo da rendermi impossibile accettarli».

Allora non c’era altro da dire. La signora Robarts, se avesse potuto fare a modo suo, sarebbe andata subito da Lady Lufton, ma non le riusciva di convincere il marito ad accettare una simile mossa. L’obiezione a cercare aiuto da sua signoria era altrettanto forte di quella che riguardava il figlio. C’era già stato un principio di ostilità e, date le circostanze, era impossibile chiedere aiuto economico. Comunque Fanny aveva la convinzione profetica che alla fine l’aiuto per trarsi dalle difficoltà sarebbe giunto da quella direzione – o non sarebbe giunto affatto – e sarebbe stata felice di poter raccontare tutto a Framley Court.

La mattina seguente fecero colazione alla solita ora, ma in un’atmosfera di grande tristezza. Una cameriera, che la signora Robarts aveva condotto con sé quando si era sposata, le disse che la voce di quel che stava per succedere aveva raggiunto la cucina. Stubbs, lo stalliere, era stato a Barchester il giorno prima e secondo il suo resoconto – così diceva Mary – in città ne parlavano tutti. «Non preoccuparti, Mary» disse la signora Robarts e Mary rispose: «Oh, no, certo che no, signora».

In quei giorni la signora Robarts era di solito molto occupata, visto che c’erano sei bambini in casa, di cui quattro le erano arrivati con un guardaroba minimo. Quel mattino, come al solito, si mise al lavoro subito dopo colazione, ma si muoveva per la casa con estrema lentezza, quasi non le riusciva di dare ordini ai domestici, e parlava in modo dimesso ai bambini che le stavano intorno chiedendosi cosa le fosse successo. Nel frattempo il marito si ritirò nello studio, ma una volta là non cercò di fare qualcosa. Si mise le mani in tasca e appoggiandosi al caminetto prese a fissare il tavolo che gli stava davanti, pur senza guardare nulla di quel che ci stava sopra. Gli era impossibile mettersi all’opera. Pensate al lavoro consueto che un ecclesiastico svolge nel suo studio e considerate quanto poco fosse in grado di affrontare una simile occupazione. Come sarebbe stato un sermone composto in un momento del genere e con quale soddisfazione avrebbe potuto attingere dalla bibbia i suoi argomenti? Sotto quel profilo la sua situazione era peggiore di quella della moglie, lei si teneva occupata mentre lui rimaneva immobile, senza far nulla, con lo sguardo fisso, pensando a quel che la gente avrebbe detto di lui.

Fortunatamente per lui la dolorosa attesa non durò a lungo, visto che nell’arco di mezz’ora da quando si era alzato da tavola il lacchè bussò alla porta – quel lacchè di cui all’inizio delle sue difficoltà aveva deciso di fare a meno, ma che era rimasto per via della prebenda di Barchester.

«Signoria, ci sono due uomini fuori» disse il lacchè.

Due uomini! Mark sapeva benissimo chi fossero ma non gli riusciva di considerare una cosa naturale l’arrivo di due uomini del genere alla sua tranquilla canonica di campagna.

«Chi sono, John?» chiese, non perché volesse una risposta ma perché la domanda gli parve indispensabile.

«Ho paura che sono… i messi giudiziari, signore».

«Molto bene, John, puoi andare, naturalmente possono fare quel che vogliono in casa».

Quando poi il domestico se ne fu andato, Mark continuò a restare immobile, esattamente nella stessa posizione di prima. Rimase là per dieci minuti ma il tempo passava con estrema lentezza. Quando verso mezzogiorno scoprì per caso che ora fosse, rimase stupito nell’accorgersi che la giornata non volgeva ormai al termine.

Ci fu poi un altro colpo alla porta – un suono che riconobbe facilmente – e sua moglie entrò silenziosamente nella stanza. Prima di parlare gli andò vicino e fece scivolare il braccio sotto il suo.

«Mark», disse «gli uomini sono qui, sono nel cortile».

«Lo so» rispose con voce roca.

«Non sarebbe meglio che li vedessi, tesoro?».

«Vederli; no. A che servirebbe vederli? Li vedrò anche troppo presto, penso saranno qui tra pochi minuti».

«La cuoca dice che stanno facendo l’inventario, sono nella stalla adesso».

«Benissimo, facciano quel che vogliono, non posso aiutarli».

«La cuoca dice che se gli si dà da mangiare e della birra e se nessuno nasconde niente, si comporteranno educatamente».

«Educatamente! Ma che importa? Lascia che mangino e bevano quel che vogliono, finché c’è da mangiare. Non credo che il macellaio manderà qualcos’altro».

«Ma, Mark, non dobbiamo nulla al macellaio… a parte il solito conto mensile».

«Benissimo, vedrai».

«Oh, Mark, non guardarmi così. Non ti allontanare da me. Cosa potrà confortarci se non ci stringiamo l’uno all’altra?».

«Confortarci! Dio ti aiuti! Mi stupisce, Fanny, che tu riesca a rimanere nella stessa stanza con me».

«Mark, carissimo Mark, mio caro, carissimo marito. Chi deve starti accanto se non io? Tu non ti allontanerai da me. Come può una cosa simile separarci?». Poi gli gettò le braccia al collo e lo strinse al petto.

Fu per lui un mattino terribile, di cui ogni particolare gli sarebbe rimasto in mente fino alla morte. Era stato così orgoglioso della sua condizione – si era attribuito una posizione così prominente – era riuscito, con qualche trucco che aveva imparato, a mostrarsi tanto superiore ai pastori delle vicinanze. Era proprio questo che l’aveva portato tra la gente importante, gli aveva fatto conoscere il Duca di Omnium. Gli aveva procurato lo stallo a Barchester. Ma come avrebbe fatto ormai a mostrarsi superiore? Che avrebbero detto gli Arabin e i Grantly? Come l’avrebbe disprezzato il vescovo e come avrebbero parlato di lui, nel loro ambiente, la signora Proudie e le figlie? Come l’avrebbe guardato Crawley?… Crawley che già una volta l’aveva strigliato. Tutta la severità del viso di Crawley gli apparve davanti in quel momento. Crawley, mezzo morto di fame, con i bambini seminudi e la moglie costretta a lavorare come una schiava, non aveva mai avuto un messo giudiziario nella casa di Hogglestock! E poi il suo stesso curato, Jones, che aveva trattato con condiscendenza come se fosse un dipendente… come avrebbe fatto a guardare il curato in faccia e a discutere con lui i doveri religiosi della prossima domenica?

La moglie gli stava ancora accanto guardandolo in viso e mentre egli la osservava e pensava a quanto fosse infelice, non gli riuscì di controllare i suoi sentimenti per gli innumerevoli torti che Sowerby gli aveva fatto. Erano la falsità di Sowerby e la frode di Sowerby ad aver causato a lui e alla moglie quella terribile sofferenza. «Se c’è giustizia al mondo, dovrà soffrire per quel che ha fatto» disse alla fine, senza rivolgersi intenzionalmente alla moglie, ma incapace di reprimere quel che provava.

«Non augurargli nulla di male, Mark, puoi star sicuro che ha i suoi dolori».

«I suoi dolori! No, è insensibile a questi dolori. È così indurito dalla disonestà che tutto questo lo fa solo ridere. Se c’è in cielo un castigo per la falsità…».

«Oh, Mark, non maledirlo!».

«Come posso non maledirlo quando vedo l’infelicità che ti ha procurato?».

«“Mia è la vendetta, dice il signore”» rispose la giovane moglie, non con tono solenne da predicatore, con l’aria di voler muovere un rimprovero, ma con il più gentile dei sussurri al suo orecchio. «Lascialo a Lui, Mark, quanto a noi preghiamo perché il Signore tocchi i cuori di tutti noi… di colui che ci ha fatto soffrire e i nostri».

Mark non fu costretto a rispondere, perché venne nuovamente disturbato da un domestico alla porta. Stavolta si trattava della cuoca giunta con un messaggio degli emissari della legge. Va menzionato che era venuta non perché in qualità di cuoca dovesse occuparsi di simili incombenze, visto che il lacchè o la cameriera della signora Robarts avrebbero potuto fare altrettanto. Ma quando la situazione sfugge di mano, anche i domestici abbandonano i loro ruoli stabiliti. Di norma nulla può convincere un maggiordomo ad andare nella stalla o persuadere una cameriera a toccare una padella. Ma da quando i nuovi eccitanti avvenimenti avevano travolto la casa – visto che i messi avevano preso possesso della dimora e stavano inventariando i beni trasportabili – tutti erano disposti a far di tutto… tutto tranne il proprio lavoro. Il giardiniere badava ai cari piccini, la balia rimetteva in ordine le stanze prima che i messi le raggiungessero; lo stalliere era andato in cucina a preparargli da mangiare e la cuoca girava con un calamaio obbedendo agli ordini di quelle grandi potenze. Per quel che riguardava i domestici c’era da chiedersi se l’arrivo dei messi non fosse stato considerato fino ad allora come un divertimento.

«Col vostro permesso, signora», disse Jemima, la cuoca «gli piacerebbe sapere in che stanza preferite che inizino l’inventario. Ché, signora, non vogliono disturbare voi o il padrone più del dovuto. Considerato che mestiere fanno, signora, sono molto educati… proprio molto educati».

«Penso che possano andare in salotto» disse la signora Robarts con voce bassa e triste. Tutte le signore sono orgogliose dei loro salotti e lei lo era del suo. Era stato ammobiliato quando i soldi non mancavano, subito dopo il matrimonio, e ogni oggetto era ai suoi occhi bello, caro e prezioso. Signore che avete salotti dove gli oggetti sono ai vostri occhi belli, cari e preziosi, pensate a come vi sentireste con due messi giudiziari che rovistano tra questi con penna e calamaio, preparando una lista per la vendita all’asta, e il tutto non per colpa vostra o della vostra prodigalità! C’erano regali che le erano stati dati da Lady Lufton, Lady Meredith e altri amici e le venne in mente che forse sarebbe stato possibile salvarli dalla contaminazione, ma preferì non dire nulla temendo di aumentare il dolore di Mark.

«E poi la sala da pranzo» disse Jemima la cuoca con tono quasi euforico.

«Sì, se va bene per loro».

«E lo studio del padrone o magari le camere da letto se voi e il padrone state ancora qui».

«Come vogliono, cuoca, non ha grande importanza» disse la signora Robarts, ma in seguito, per alcuni giorni, Jemima non fu certo la sua beniamina.

La cuoca non aveva ancora lasciato la stanza che si sentirono dei passi veloci sulla ghiaia davanti alla finestra e subito dopo la porta d’ingresso si aprì.

«Dov’è il padrone?» chiese la ben nota voce di Lord Lufton e poi in mezzo minuto anche lui si trovò nello studio.

«Mark, vecchio mio, che succede?» disse con voce allegra e viso disteso. «Non sapevi che ero qui? Sono arrivato ieri, sbarcato da Amburgo solo ieri mattina. Come state, signora Robarts? È una terribile seccatura, vero?».

Robarts, da principio, sapeva a stento che dire al vecchio amico. La vergogna insita nella sua posizione lo ammutoliva; tanto più che si trattava di una sventura a cui Lord Lufton poteva in parte rimediare. Non aveva mai preso denaro in prestito da quando era diventato un uomo, ma aveva discusso di soldi con il giovane pari e sapeva che l’amico l’aveva giudicato male, per tale doppia ragione si trovava senza parole.

«Il signor Sowerby lo ha tradito» disse la signora Robarts asciugandosi le lacrime. Fino a quel momento non aveva proferito parola contro il signor Sowerby ma adesso era necessario difendere il marito.

«Non ci sono dubbi in proposito. Credo che abbia sempre tradito tutti quelli che si sono fidati di lui. Vi ho detto chi era, un po’ di tempo fa, no? Ma, Mark, perché mai hai lasciato che le cose arrivassero a questo punto? Forrest non era disposto ad aiutarti?».

«Il signor Forrest voleva che firmasse altre cambiali e lui si è rifiutato» disse la signora Robarts singhiozzando.

«Le cambiali sono come il bere» disse il giovane lord con tatto «una volta cominciato è molto difficile smettere. È vero che adesso gli uomini sono qui, Mark?».

«Sì, sono nella stanza accanto».

«Che, nel salotto?».

«Stanno facendo un elenco delle cose» disse la signora Robarts.

«Questo dobbiamo impedirlo a ogni modo» disse sua signoria marciando verso la scena delle operazioni e mentre usciva dalla stanza la signora Robarts lo seguì, lasciando il marito da solo.

«Perché non avete avvisato mia madre?» chiese lui, con voce appena udibile, quando si trovarono nell’ingresso.

«Non me lo ha permesso».

«Ma perché non andare da lei 0 di persona oppure scrivermi… considerata la nostra amicizia?».

La signora Robarts non poteva spiegargli che i particolari rapporti che lo legavano a Lucy le avevano impedito di farlo, anche se in circostanze diverse fosse stato possibile, tuttavia sentiva che così stavano le cose.

«Beh, amici miei, non state facendo nulla di buono qui» disse Lord Lufton entrando in salotto. Al che la cuoca fece un profondo inchino e i messi, che conoscevano sua signoria, interruppero la loro attività e si portarono le mani alla fronte. «Dovete smettere, per favore… subito. Su, andiamo in cucina o fuori. Non mi piace vedervi qui tra i mobili con questi stivaloni e penna e calamaio».

«Non stiamo a fare niente di male, milord, col permesso di vostra signoria» disse Jemima la cuoca.

«E noi stiamo solo a fare il nostro dovere» disse una delle guardie.

«E lo abbiamo giurato, di farlo, vostra signoria» disse l’altra.

«E ci dispiace tanto, vostra signoria, di dare impiccio a qualsiasi vero gentiluomo o signora. Ma le disgrazie capitano e noi che ci possiamo fare?» disse la prima guardia.

«Perché abbiamo giurato» disse la seconda. Ma tuttavia a dispetto dei giuramenti e anche della dura necessità a cui si appellavano, interruppero il loro lavoro dietro richiesta del pari. Perché il titolo di lord può ancora molto in Inghilterra. «E ora uscite e lasciate che la signora Robarts entri nel suo salotto».

«E per favore, vostra signoria, che dobbiamo fare? A chi ci dobbiamo rivolgere?».

Per soddisfarli a riguardo, Lord Lufton dové ricorrere a qualcosa di più della sua influenza di pari. Fu necessario servirsi di carta e penna. Ma con carta e penna li convinse… a tal punto che accettarono di tornare nella stanza di Stubbs – l’ex stanza della quarantena – dopo essersi accordati sul vitto e le bevande, per aspettare là l’ordine di lasciare il campo, ordine che senza dubbio, grazie all’influenza di sua signoria, li avrebbe raggiunti il giorno dopo.

Lord Lufton tornò poi nello studio dove Mark stava ancora in piedi quasi nello stesso punto che aveva occupato subito dopo colazione. La signora Robarts non ritornò ma andò di sopra dai bambini a cambiare gli ordini che aveva dato per preparare la nursery all’arrivo dei Filistei.

«Mark», disse Lord Lufton «non preoccuparti più del dovuto. Gli uomini hanno smesso e domani se ne andranno».

«E i soldi… chi pagherà?» disse il povero ecclesiastico.

«Non preoccuparti di questo adesso. Tutto verrà sistemato in modo che alla fine l’onere ricada su di te… e su nessun altro. Ma sono sicuro che ti sarà di conforto sapere che tua moglie non verrà scacciata dal suo salotto».

«Ma, Lufton, non posso permetterti… dopo quel che è successo… e ora…».

«Vecchio mio, so tutto a riguardo e ci arriverò subito. Hai assunto Curling e lui sistemerà la faccenda e parola mia, Mark, sarai tu a pagare la cambiale. Ma, per l’attuale emergenza, i soldi sono alla mia banca».

«Ma, Lufton…».

«E per essere onesti, mi riferisco alla cambiale di Curling, dovrebbero essere affari miei non meno che tuoi. Sono stato io a metterti in questo pasticcio con Sowerby e ora mi rendo conto di quanto sono stato ingiusto con te a Londra. Ma la verità è che la slealtà di Sowerby mi aveva fatto uscire dai gangheri. Ha avuto lo stesso effetto su di te da allora, non ho dubbi».

«Mi ha rovinato» disse Robarts.

«No, non lo ha fatto. Non per merito suo comunque. Non avrebbe avuto scrupoli a rovinarti se ne avesse avuto l’occasione. Il fatto è, Mark, che tu e io non riusciamo a immaginare quanto sia disonesto un uomo del genere. È sempre alla ricerca di denaro. Credo che perfino nei momenti di maggiore affabilità – quando siede con te a bere il tuo vino o ti cavalca accanto – continui a pensare a come può sfruttarti per superare qualche difficoltà. Ha vissuto così finché imbrogliare non è diventato un piacere e ha sviluppato una tale abilità in questo stile di vita che se tu o io lo rincontrassimo domani, riuscirebbe di nuovo a farcela. È un uomo che va assolutamente evitato. Per lo meno è quel che io ho imparato».

Nell’esprimere una simile opinione Lord Lufton era troppo severo con il povero Sowerby e in verità tendiamo tutti a essere troppo severi con gli imbroglioni. Che il signor Sowerby fosse stato un imbroglione, non posso negarlo. È da imbroglioni mentire ed egli era stato un gran bugiardo. È da imbroglioni fare promesse che si sa di non poter mantenere e tale era stata la pratica quotidiana del signor Sowerby. È da imbroglioni vivere con i soldi degli altri e il signor Sowerby l’aveva fatto per molto tempo. È da imbroglioni, per lo meno io ritengo che lo sia, avere volontariamente a che fare con dei furfanti e il signor Sowerby aveva avuto rapporti assidui. Non so se talvolta avesse commesso qualche mascalzonata più consistente di quelle comprovate dalle abitudini elencate. Sebbene provi per lui una certa indulgenza, sapendo che c’era ancora un tocco di gentilezza nel suo cuore e dentro di lui un desiderio perdurante di cose migliori, non posso assolverlo dalla grande accusa. Ma nonostante tutto, a dispetto della riconosciuta furfanteria, Lord Lufton lo giudicava con troppa severità. Vi era ancora in lui la possibilità di pentimento, se avesse avuto un locus penitentiae.27 Si rammaricava amaramente per le malvagità commesse e sapeva bene quali cambiamenti la nobiltà d’animo avrebbe richiesto. Se avesse o meno oltrepassato i limiti per poter cambiare – se ci fosse ancora la possibilità del locus penitentiae – era una questione che riguardava solo lui e un più alto potere.

«Posso biasimare solo me stesso» disse Mark continuando a parlare con tono affranto e il viso discosto dall’amico.

I debiti sarebbero stati pagati e le guardie allontanate, ma ciò non l’avrebbe riabilitato agli occhi del mondo. Tutti avrebbero saputo – tutti gli ecclesiastici della diocesi – che le guardie dello sceriffo si erano occupate della Canonica di Framley e Mark non sarebbe mai più riuscito ad andare a testa alta nel precinto di Barchester.

«Vecchio mio, se dovessimo tutti tormentarci per piccolezze come questa…» disse Lord Lufton appoggiando con affetto la mano sulla spalla dell’amico.

«Ma non tutti siamo uomini di chiesa» disse Mark; mentre parlava si voltò verso la finestra e Lord Lufton si accorse delle lacrime sulle sue guance.

Non si dissero nulla per alcuni momenti, dopodiché Lord Lufton parlò di nuovo:

«Mark, vecchio mio!».

«Ebbene», disse Mark con il viso ancora voltato verso la finestra.

«Devi ricordare una cosa, ho più diritti di un vecchio amico ad aiutarti in questa difficoltà, cosa che non mi creerà nessun problema; ormai ti considero mio cognato».

Mark si voltò piano, mostrando chiaramente le lacrime sul viso.

«Intendi dire che è successo qualcos’altro?» chiese.

«Intendo sposare tua sorella. Mi ha mandato a dire tramite te che mi ama e quindi non tollererò sciocchezze. Se siamo entrambi d’accordo nessuno ha il diritto di mettersi tra noi e, in nome del cielo, nessuno ci si metterà. Non farò nulla di nascosto, perciò te ne parlo esattamente come ne ho parlato a sua signoria».

«Ma che dice lei?».

«Non dice nulla ma non si può continuare così. Io e mia madre non possiamo vivere insieme se mi ostacola a questo modo. Non voglio spaventare tua sorella piombando a Hogglestock, ma mi aspetto che tu le riferisca da parte mia quel che ti ho detto, altrimenti penserà che l’ho dimenticata».

«Non lo penserà».

«Non ne ha ragione; arrivederci vecchio mio. Sistemerò tutto tra te e sua signoria per questa storia di Sowerby».

Poi si congedò e andò a sistemare il pagamento.

«Madre», disse a Lady Lufton quella sera «non dovete prendervela con Robarts per la storia dei messi giudiziari. È stata più colpa mia che sua».

Fino ad allora Lady Lufton e il figlio non si erano scambiati una parola sull’argomento. Lady Lufton aveva appreso con estrema costernazione quel che era successo e aveva anche saputo che Lord Lufton si era subito recato alla canonica. Pertanto le era ormai impossibile interferire. Sapeva che il denaro necessario sarebbe arrivato, ma ciò non avrebbe cancellato la terribile vergogna insita nel pignoramento nella casa di un ecclesiastico. E per di più si trattava del suo ecclesiastico – proprio del suo ecclesiastico, da lei prescelto, nominato e portato a Framley, colmato di beni dalle sue mani e con una moglie che lei gli aveva trovato! Era una sciagura tremenda e cominciava a pentirsi di aver mai sentito il nome dei Robarts. Comunque non sarebbe certo stata restia a tendere la mano per alleviare la sventura con il suo denaro, se ciò fosse stato necessario o possibile. Ma come poteva intromettersi tra Robarts e il figlio, soprattutto considerando l’eventuale legame tra Lucy e Lord Lufton?

«Colpa tua, Ludovic?».

«Sì, madre. Sono stato io a presentarlo al signor Sowerby e a dire il vero non penso che sarebbe mai diventato amico di Sowerby se non gli avessi affidato un certo incarico a proposito delle questioni economiche allora pendenti tra me e il signor Sowerby. Ora si è risolto tutto… e proprio grazie a voi».

«Il suo buon nome di religioso avrebbe dovuto tenere il signor Robarts lontano da problemi simili, se non bastavano altre considerazioni».

«A ogni modo, madre, fatemi il piacere di lasciar correre».

«Oh, non gli dirò nulla».

«Sarebbe meglio che diceste qualcosa a lei, altrimenti parrà strano, e perfino a lui direi qualche parola… qualcosa di gentile, come voi sapete fare così bene. A questo modo le cose gli saranno più facili che in caso di silenzio assoluto».

In quel momento non aggiunsero altro ma più tardi, quella sera, Lady Lufton passò la mano sulla fronte del figlio, rimettendo a posto i lunghi capelli serici, come era solita fare quando mossa da sentimenti d’affetto particolarmente intensi. «Ludovic», disse «credo che nessuno abbia più buon cuore di te. Farò esattamente come vuoi per questa storia del signor Robarts e dei soldi». E poi non se ne parlò più.

 

 

 

 

 

27 Luogo o opportunità per pentirsi.