Capitolo XLVII

Nemesi

 

 

 

 

 

Ma a dispetto di tutte le buone nuove, ahimè, va ricordato che Pena, quella dea giusta ma inflessibile, che noi moderni chiamiamo comunemente castigo, o Nemesi quando vogliamo parlare di lei in qualità di dea, assai di rado si lascia sfuggire un malvagio, sebbene talvolta anche lei zoppichi e nonostante il malvagio possa talvolta avere un certo vantaggio. Nel caso in questione il malvagio era il nostro sfortunato amico Mark Robarts. Malvagio in quanto aveva deliberatamente abbandonato la retta via: andando al Castello di Gatherum, montando cavalli veloci per la campagna fino a Cobbold’s Ashes e cadendo molto incautamente nelle mani dei Tozer. Lo strumento di cui si servì la Nemesi fu il signor Tom Towers del Jupiter, che ai giorni nostri rappresenta l’arma più micidiale nelle mani di quella dea.

In primo luogo, comunque, devo accennare, sebbene non la riferirò, a una breve conversazione tra Lady Lufton e il signor Robarts. Quel gentiluomo ritenne giusto dire ancora qualche parola a sua signoria riguardo alle transazioni monetarie. Sentiva – disse – di aver ricevuto lo stallo dalle mani di Sowerby e date le circostanze, considerando tutto quel che era successo, non poteva essere sereno fin tanto che lo teneva. Era consapevole che quel che stava per fare avrebbe considerevolmente ritardato il pagamento di Lord Lufton, ma Lufton – egli sperava – l’avrebbe scusato e sarebbe stato d’accordo con lui sulla giustezza di quel che stava per fare.

Sulle prime Lady Lufton non fu del tutto d’accordo con lui. Ora che Lord Lufton doveva sposare la sorella del pastore, poteva essere un vantaggio che il pastore fosse un dignitario della chiesa e poteva essere un vantaggio, anche, che una persona così vicina al figlio non avesse problemi finanziari. Si profilava inoltre in futuro la remota possibilità di più ragguardevoli onori clericali per il cognato di un pari e il piolo più alto della scala si raggiunge più facilmente quando se ne sono già saliti un paio. Ma, tuttavia, quando la questione le fu spiegata in modo esaustivo, quando si rese conto delle circostanze in cui lo stallo era stato conferito, Lady Lufton fu d’accordo che era meglio rinunciarvi.

E fu un bene per entrambi – un bene per tutti a Framley – il raggiungimento di tale conclusione prima che si abbattesse la frusta della Nemesi. La Nemesi, naturalmente, dichiarò che la sua frusta aveva causato le dimissioni, ma tutti si resero conto che si trattava di un falso menar vanto, perché ogni ecclesiastico di Barchester sapeva che lo stallo era stato restituito al capitolo, in altre parole al governo, prima che Tom Towers avesse fatto roteare la frusta sopra la testa. Il sibilo della frusta suonava così:

 

È piuttosto difficile – diceva l’articolo del Jupiter – che la Chiesa d’Inghilterra mantenga in questo momento la supremazia, che vanta a gran voce, tra le sette religiose del paese. E forse se tale supremazia è ancora ampiamente riconosciuta, lo si deve più all’affetto di un tempo, consacrato dagli anni, per la sua fama che non a meriti intrinseci. Comunque se il clero di questa Chiesa sarà così spregiudicato da trascurare tutte le regole della decenza, riteniamo di poter predire la scomparsa del generoso sentimento. Di tanto in tanto sentiamo esempi di tale sconsideratezza e siamo spinti a meravigliarci della follia di coloro che dovrebbero avere il più grande rispetto per la Chiesa di Stato.

Tra le posizioni di dignitoso agio, a cui possono accedere gli ecclesiastici fortunati, vi sono gli stalli dei canonici o dei prebendari delle nostre cattedrali. Alcuni di questi stalli, come è ben noto, portano con sé emolumenti risibili, se non nulli, ma altri abbondano di beni terreni. Recano con sé eccellenti case, con il cielo sa quali privilegi domestici, e rendite clericali, il cui ammontare per di più, se diviso, rallegrerebbe i cuori di molti poveri religiosi che lavorano come schiavi. La riforma si è data da fare con gli stalli, unendo alla paga una certa quantità di lavoro e riducendo le ricchezze superflue di quelli troppo opulenti, ma la riforma è stata indulgente, ritenendo giusto che ci fossero luoghi di comodo e dignitoso ritiro per coloro che si erano logorati nel duro compito della professione. Negli ultimi tempi è prevalsa la tendenza a nominare vescovi uomini giovani, tendenza causata senza dubbio dall’idea che i vescovi debbano essere persone in grado di lavorare davvero sodo; non si è mai sentito però che fosse auspicabile avere dei prebendari giovani. Abbiamo sempre pensato che un ecclesiastico prescelto per una simile posizione debba essersi guadagnato una vecchiaia serena con una lunga vita di lavoro e debba soprattutto aver vissuto, e quindi, basandosi sulla probabilità umana, continui a vivere in modo così decoroso da essere un onore per la sua cattedrale.

L’altro giorno, comunque, abbiamo appreso che uno di questi ricchi benefici, appartenente alla cattedrale di Barchester, era stato conferito al Rev. Mark Robarts, vicario di una vicina parrocchia, con l’intesa che detenesse sia il beneficio che lo stallo. Facendo ulteriori indagini siamo rimasti sorpresi venendo a sapere che il fortunato gentiluomo è ancora lontano dai trenta anni. Volevamo credere però che la sua erudizione, religiosità e condotta fossero di natura tale da conferire lustro al capitolo e quindi, sebbene quasi controvoglia, avevamo taciuto. Ma ora ci è giunto alle orecchie, e in verità è giunto alle orecchie di tutto il mondo, che la religiosità e la condotta in questione lasciano molto a desiderare. Giudicando poi il signor Robarts dalla vita che conduce e dalle compagnie che frequenta, siamo portati a dubitare anche dell’erudizione. In questo momento è in atto, o a ogni modo lo è stato pochi giorni fa, un pignoramento nella Canonica di Framley, come conseguenza dell’azione legale di certi prestasoldi malfamati di Londra e probabilmente ci sarebbe un pignoramento anche nell’altra casa di Barchester, se non fosse che il signor Robarts non ha mai ritenuto necessario prendervi residenza.

 

Seguivano poi alcuni consigli molto imperiosi e, senza dubbio, estremamente necessari, rivolti a quei religiosi della Chiesa d’Inghilterra ritenuti maggiormente responsabili della condotta dei confratelli. L’articolo finiva così:

 

Tocca ai rispettivi decani e ai capitoli conferire molti di questi stalli e in tal caso i decani e i capitoli sono tenuti a far sì che le persone adatte ottengano i benefici. Talvolta però la facoltà di scegliere è assegnata alla Corona e allora la medesima responsabilità ricade sul governo in carica. Apprendiamo che lo stallo è stato assegnato al signor Robarts dall’ex Primo Ministro e crediamo proprio che questi sia da biasimare per come ha concesso il suo appoggio. Forse era impossibile che egli si accertasse personalmente per ogni singolo caso. Ma il nostro governo si basa sul principio delle responsabilità delegate. Quod facit per alium, facit per se, il che è particolarmente vero per quel che riguarda i nostri ministri, chiunque arrivi a occupare un’alta posizione tra di loro deve affrontare il rischio così incorso. Per quel che riguarda il nostro caso, ci dicono che la raccomandazione venne da un membro di gabinetto di fresca nomina, nomina a cui, a suo tempo, alludemmo come a un enorme errore. Il gentiluomo in questione non ricopriva nessun importante incarico personale, ma le disgrazie come quella verificatasi a Barchester sono esattamente il genere di danni dovuti all’ascesa ad alte cariche di uomini inadeguati, anche quando non viene data loro la possibilità di commettere grandi errori.

Se il signor Robarts si degnerà di accettare il nostro consiglio, affronterà, senza por tempo in mezzo, qualsiasi prassi sia necessaria per rimettere lo stallo a disposizione della Corona.

 

Posso dire per inciso che il povero Harold Smith, quando lesse l’articolo torcendosi dal dolore, dichiarò che doveva essere opera del suo odiato nemico, il signor Supplehouse. Riconosceva lo stile, così almeno disse; ma personalmente credo che la sua animosità lo abbia tratto in inganno. Penso che qualcuno più importante di Supplehouse si fosse assunto il compito di castigare il povero vicario.

Fu un durissimo colpo per tutti a Framley e alla prima lettura l’articolo parve ridurli in briciole. L’infelice signora Robarts quando ne venne a conoscenza, sembrò convinta che tutto fosse finito per loro. Si era tentato di tenerla all’oscuro, ma tentativi simili falliscono sempre e infatti così accadde. L’articolo venne copiato in tutti i benintenzionati giornali locali ed ella scoprì ben presto che le nascondevano qualcosa. Alla fine le venne mostrato dal marito, dopodiché per alcune ore ne fu annichilita, per alcuni giorni non ebbe voglia di farsi vedere in giro e per qualche settimana fu molto triste. Ma in seguito il mondo continuò a girare proprio come prima, il sole splendeva su di loro con lo stesso calore di sempre, come se l’articolo non fosse mai stato scritto, e non solo l’astro del firmamento i cui raggi, di solito, non sono oscurati dall’esibizione del tuono pagano, ma anche il sole gioviale della loro sfera personale, la cui luce e calore erano così necessari alla felicità. I rettori non li guardavano male né le mogli dei rettori rifiutavano di andarli a trovare. I negozianti di Barchester non consideravano la signora Robarts una donna disonorata, sebbene si debba ammettere che la signora Proudie le rivolgesse, incontrandola nel precinto, il più gelido dei cenni di saluto.

Solo sulla signora Proudie l’articolo parve avere un effetto durevole. In un certo senso fu un bene, Lady Lufton venne subito indotta a fare causa comune con il suo ecclesiastico e così il ricordo della colpa del signor Robarts svanì tanto più in fretta dalle menti di coloro che vivevano a Framley Court.

E a dire il vero l’intera contea non riuscì a dedicare alla faccenda tutta l’attenzione che avrebbe ritenuto opportuna in periodi privi di particolare interesse. In quel momento si facevano preparativi per l’elezione generale e sebbene non ci fosse contesa nella divisione orientale, era in corso una lotta violenta in quella occidentale e le circostanze della lotta erano così eccitanti che il signor Robarts e il suo articolo vennero dimenticati prima del tempo. Dal Castello di Gatherum era partito un editto affinché il signor Sowerby fosse cacciato e da Chaldicotes era risuonata, a mo’ di risposta, una nota di sfida la quale affermava, a nome del signor Sowerby, che gli ordini del duca non sarebbero stati eseguiti.

In questo regno ci sono due classi di persone che secondo la costituzione non possono partecipare alla rielezione dei membri del Parlamento, vale a dire i pari e le donne, e tuttavia ben presto si seppe in tutta la contea che la battaglia elettorale si svolgeva tra un pari e una donna. La signorina Dunstable era stata dichiarata l’acquirente della Riserva di Chaldicotes, invero proprio al momento più opportuno. L’affare – così dicevano nel Barsetshire, senza saper niente dei fatti – sarebbe andato in modo completamente diverso se i giganti non avessero ottenuto una temporanea supremazia sugli dei. Il duca era un sostenitore degli dei e pertanto, così aveva suggerito il signor Fothergill, il suoi soldi erano stati rifiutati. La signorina Dunstable era pronta ad affrontare il ducale amico degli dei nella sua stessa contea e pertanto i soldi di lei erano stati accettati. Io comunque penso che il signor Fothergill non ne sapesse nulla e ritengo che la signorina Dunstable, spinta dalla brama di vittoria, avesse offerto alla Corona più soldi di quanto la proprietà valesse agli occhi del duca e che la Corona avesse approfittato dell’impazienza della signorina con evidente vantaggio del bene pubblico.

Ben presto si seppe anche che la signorina Dunstable era diventata, in realtà, la padrona dell’intera proprietà di Chaldicotes e che per favorire il successo del signor Sowerby come candidato della contea, sosteneva il suo affittuario. Si seppe ancora, nel corso della battaglia, che la stessa signorina Dunstable aveva alla fine capitolato ed era sul punto di sposare il Dottor Thorne di Greshamsbury o il “farmacista di Greshamsbury” come il partito avverso si compiaceva di chiamarlo. «È stato poco più di un ciarlatano per tutta la vita» diceva il signor Fillgrave, l’eminente medico di Barchester, «e ora sposerà la figlia di un ciarlatano». Da tutto ciò il Dottor Thorne non si lasciò turbare granché.

Ma il tutto fece nascere una bella serie di commenti satirici, opera del signor Fothergill e del signor Closerstill, l’agente elettorale. Il signor Sowerby venne chiamato “il cocco della signora” e ci furono delle descrizioni della benefattrice del cocco per nulla lusinghiere nei confronti dell’aspetto, dei modi e dell’età della signorina Dunstable.

E poi la divisione occidentale si sentì chiedere in tono grave – come ci si rivolge alle contee e ai collegi elettorali per mezzo di manifesti attaccati ai muri e alle porte dei granai – se fosse giusto e appropriato che a rappresentarla fosse una donna. Subito dopo la contea si sentì ancora chiedere se fosse giusto e appropriato che a rappresentarla fosse un duca. Dopodiché la questione assunse toni personali contro la signorina Dunstable e venne chiesto con insistenza se la contea non sarebbe stata disonorata per sempre se fosse non solo passata nelle mani di una donna, ma per di più di una donna che vendeva l’Olio di Libano. Ma con quella mossa si ottenne ben poco, perché in risposta un manifesto spiegò alla sfortunata contea che profonda vergogna sarebbe stata diventare appannaggio di un pari e soprattutto di un pari noto per essere il lord più immorale che avesse mai disonorato i seggi della Camera dei Lord.

Così la battaglia continuava con molta grazia e poiché i soldi scorrevano abbondanti, il West Barsetshire non era scontento. È fantastico vedere quanta ignominia del genere una contea o una divisione riescano a sopportare senza battere ciglio. È fantastico anche vedere quanto valore tutto il regno attribuisce alla costituzione e quanto poco vengano considerati i principi di quella costituzione dai singoli individui. Il duca naturalmente non si faceva vedere. Si mostrava sempre di rado e mai in simili situazioni; il signor Fothergill però lo si incontrava ovunque. Anche la signorina Dunstable non si teneva in disparte, sebbene io qui affermi solennemente, sul mio onore di narratore, che era del tutto infondata la voce secondo cui avrebbe tenuto un discorso agli elettori dal portico dell’albergo di Courcy. Senza dubbio era stata a Courcy e la sua carrozza si era fermata all’albergo, ma né là né altrove si esibì mai pubblicamente. «Devono avermi scambiata per la signora Proudie» disse quando le giunse la voce.

Ma c’era, ahimè, un elemento perdente nel fronte bellico della signorina Dunstable: il signor Sowerby si rifiutava di lottare come si conviene a un uomo. Fino a un certo punto obbediva alle esplicite ingiunzioni che gli venivano rivolte, la sua partecipazione al contesto elettorale era stata una delle clausole dell’affare e da quell’affare non poteva facilmente tirarsi indietro, ma non gli era rimasta forza d’animo a sufficienza per una vera lotta attiva. Non poteva salire sulla tribuna degli oratori e sfidare il duca. Nelle prime fasi della vicenda il signor Fothergill lo aveva invitato a farlo e il signor Sowerby non aveva mai raccolto la provocazione.

«Se ne sono sentite tante», disse il signor Fothergill, nel gran discorso che tenne all’Omnium Arms di Silverbridge, «se ne sono sentite tante sul Duca di Omnium e sui danni che avrebbe inflitto a uno dei candidati. Il nome del duca risuona spesso sulle labbra dei gentiluomini – e della signora – che sostengono le pretese del signor Sowerby. Ma io non credo che il signor Sowerby si sia permesso di dire qualcosa sul duca. Sfido il signor Sowerby a fare il nome del duca sulla piattaforma elettorale».

E fu così che il signor Sowerby non fece mai il nome del duca.

Non si può lottare quando la forza d’animo se ne è andata, e la forza d’animo del signor Sowerby era ormai bella che sparita. È vero che era sfuggito dalla rete dove il duca, con l’aiuto del signor Fothergill, l’aveva intrappolato, ma era solo passato da un tipo di cattività all’altra. I soldi sono una cosa seria e quando se ne sono andati non si recuperano con una mescolata alle carte o un colpo fortunato con la racchetta, come può accadere con il potere politico, la reputazione, lo stile. Centomila sterline sfumate rimangono tali sia che a reclamare l’onore di averle prestate sia la signora B. o Lord C. Nessuno stratagemma fortunato può eliminare un simile debito – a meno che non riesca lo stratagemma che il signor Sowerby aveva tentato con la signorina Dunstable. Senza dubbio per lui era meglio essere in debito con la signora piuttosto che con il duca, visto che gli era possibile vivere come affittuario nella sua vecchia casa sotto la sovranità della dama. Ma trovava la cosa ben triste, dopo tutto quel che era successo.

La signorina Dunstable perse le elezioni. Ella condusse nobilmente la battaglia elettorale, lottando fino all’ultimo e senza risparmiare né i suoi soldi né quelli del rivale, ma non riuscì ad avere la meglio. Molti gentiluomini sostennero il signor Sowerby, perché avevano fin troppa voglia di emancipare la contea dalla tirannia del duca, ma il signor Sowerby era considerato una pecora nera, come lo aveva definito Lady Lufton, e dopo le elezioni si trovò bandito dall’incarico di rappresentante del West Barsetshire – bandito per sempre, dopo aver rappresentato la contea per venticinque anni.

Disgraziato signor Sowerby! Non mi riesce di separarmi da lui senza provare un po’ di rimpianto, sapendo che aveva in sé la possibilità di agire diversamente, se avesse goduto di una migliore guida. Ci sono uomini, anche di nobile nascita, che sembrano destinati a diventare dei malandrini, ma il signor Sowerby, a mio parere, era destinato a diventare un gentiluomo. Che non fosse diventato un gentiluomo – che si fosse allontanato dalla via designata finendo completamente fuori strada – lo dobbiamo riconoscere tutti. Non è un’azione da gentiluomo, bensì una carognata, far firmare a un amico una cambiale approfittando della disposizione d’animo fiduciosa creata dai rapporti sociali. Quel misfatto e altri simili hanno rivelato con fin troppa chiarezza la sua natura. Tuttavia reclamo una lacrima per il signor Sowerby e mi duole che non sia riuscito a fare la sua corsa secondo le regole del Jockey Club.

Provò ad abitare come affittuario nella sua vecchia casa a Chaldicotes e a ricavarsi da vivere dalla terra che aveva in custodia, ma ben presto rinunciò. Non aveva attitudine per tale lavoro e non poteva sopportare la sua mutata condizione all’interno della contea. Non passò molto che abbandonò Chaldicotes di propria iniziativa e scomparve, come scompaiono quel genere di uomini: non senza una indispensabile rendita, clausola della sistemazione definitiva dei comuni affari, a cui l’uomo di fiducia della signora Thorne – se possiamo a tal punto precorrere i tempi – aveva prestato particolare attenzione.

E così Lord Dumbello, il candidato del duca, fu eletto come da moltissimi anni a quella parte capitava sempre al candidato del duca. In quel caso non ci fu Nemesi… non ancora per lo meno. Tuttavia colei che zoppica lo raggiungerà di sicuro, il duca, se merita di venir raggiunto. Noi abbiamo visto così poco sua grazia che mi pare si possa omettere di indagare oltre nei suoi affari.

Un punto comunque è degno di nota, perché rivela il buon senso con cui trattiamo i nostri affari qui in Inghilterra. All’inizio di questa storia il lettore è stato introdotto nel Castello di Gatherum e vi ha visto il duca intrattenere nel più amichevole dei modi la signorina Dunstable. Da allora la signora è diventata vicina di casa del duca e ha intrapreso contro di lui una guerra che egli probabilmente ha trovato molto seccante. Ciononostante alla seguente occasione importante al Castello di Gatherum, il Dottore e la signora Thorne sono stati tra gli ospiti e con nessun altro il duca si è mostrato così cortese come con la sua ricca vicina, già signorina Dunstable.