Capitolo XLII

Trattare con una persona equivoca

 

 

 

 

 

In quelle calde giornate estive di fine giugno e inizio luglio, il signor Sowerby non se la passava per niente bene. Dietro consiglio della sorella si era affrettato a Londra e là era rimasto per giorni a disposizione degli avvocati. Doveva vedere dei nuovi avvocati, gli agenti della signorina Dunstable, anziani signori cauti e pacati, il cui ufficio si trovava in un vicolo scuro dietro la Banca d’Inghilterra: i signori Slow e Bideawhile, che non si facevano scrupolo di trattenerlo per ore mentre loro o gli impiegati gli parlavano di tutto e di niente. Per il signor Sowerby era di vitale importanza che l’affare venisse concluso senza por tempo in mezzo e tuttavia quegli uomini, a cui era affidata la risoluzione, agivano come se le procedure legali fossero una riva soleggiata dove era un piacere crogiolarsi a proprio agio. Come se non bastasse fu costretto ad andare più di una volta in South Audley Street, il che costituiva un’afflizione maggiore, perché gli uomini di South Audley Street erano diventati meno gentili di quanto lo fossero un tempo. Era risaputo che il signor Sowerby non era più un protetto del duca bensì un rivale, non più il suo candidato e dipendente bensì il suo nemico nella contea. «Chaldicotes», come il vecchio Gumption disse al giovane signor Gagebee «Chaldicotes è perduta per Sowerby. E che differenza può fare per lui che l’abbia il Duca o la signorina Dunstable? Personalmente non riesco a capire come faccia un gentiluomo come Sowerby a essere contento di veder finire la sua proprietà nelle mani di una contadinotta rimestaintrugli piena di soldi che puzzano ancora di pessime pozioni. E nulla» disse «potrebbe essere più ingrato della condotta di Sowerby. Ha rappresentato la contea per venticinque anni senza spese e ora che è venuto il momento di pagare, fa storie sul prezzo». Non era nient’altro che un imbroglio, ecco come definiva la cosa – lui, il signor Gumption. A suo parere Sowerby stava cercando di imbrogliare il duca. Si può quindi facilmente immaginare che il signor Sowerby non traesse gran piacere dal frequentare South Audley Street.

Poi si sparse la voce tra tutte le sanguisughe negoziatrici di cambiali che ancora una volta c’era del sangue da succhiare dalla carcassa Sowerby. La ricca signorina Dunstable aveva rilevato i suoi debiti; tanto si era saputo nei dintorni de “La Capra e le Circonferenze”. Il fratello di Tom Tozer dichiarò che lei e Sowerby si sarebbero sposati e che qualsiasi pezzo di carta con sopra la firma di Sowerby sarebbe diventato moneta sonante. Ma Tom Tozer in persona – Tom che era il vero eroe della famiglia – espresse tutto il suo disprezzo arricciando il naso e alludendo nei termini più sprezzanti alla debolezza del fratello. Lui la sapeva più lunga – ed aveva ragione. La signorina Dunstable si stava comprando Sowerby e perbacco si sarebbe comprata anche loro – loro, i Tozer, come pure tutti gli altri! I Tozer conoscevano bene il proprio valore… quindi si diedero più da fare del solito.

Da loro e da tutta quella genia il signor Sowerby in quel periodo si sforzava di tenersi alla larga, ma i suoi sforzi non erano coronati dal pieno successo. Ogniqualvolta poteva scappare per un paio di giorni dagli avvocati correva a Chaldicotes, ma Tom Tozer nella sua perseveranza giunse a seguirlo fin là e spavaldamente si fece annunciare dal domestico all’ingresso principale.

«Al momento il signor Sowerby non è in casa» disse il ben addestrato domestico.

«Allora aspetterò» disse Tom, sedendosi sulla statua araldica di un grifone che fiancheggiava gli imponenti scalini di pietra davanti casa. In quel modo il signor Tozer raggiunse lo scopo. Sowerby stava ancora lottando per il seggio della contea e non gli conveniva offrire ai nemici l’occasione di dire che si nascondeva. Competere per il seggio era stato parte dell’accordo con la signorina Dunstable. La signorina si era messa in testa che il duca si fosse comportato male e aveva deciso di fargliela pagare. Il duca, diceva, si era intromesso abbastanza, si sarebbe visto se l’influenza di Chaldicotes non bastava da sola a far rieleggere il rappresentante di contea, anche contro la volontà del duca. Al momento il signor Sowerby era talmente stremato che avrebbe ceduto su quel punto, se fosse stato in suo potere farlo, ma la signorina Dunstable era decisa ed egli fu costretto ad acconsentire. In tal modo il signor Tom Tozer riuscì a vedere il signor Sowerby e una conseguenza della sua intrusione fu la seguente lettera del signor Sowerby all’amico Mark Robarts:

 

Chaldicotes, luglio 185*

Mio caro Robarts,

in questo momento sono così tormentato da un’infinità di problemi personali da essere quasi insensibile a quelli degli altri. Dicono che il benessere rende l’uomo egoista. Non ho mai avuto modo di sperimentarlo, ma sono sicuro che le avversità hanno questo effetto. Tuttavia sono preoccupato per quelle vostre cambiali…

 

«Mie cambiali!» disse tra sé Robarts mentre camminava su e giù per il sentiero d’arbusti della canonica leggendo la lettera. Ciò accadeva un giorno o due dopo la sua visita all’avvocato a Barchester.

 

… e sarei molto felice se potessi evitarvi ulteriori seccature a riguardo. Quell’avvoltoio, Tom Tozer, è appena stato da me e insiste perché entrambe le cambiali vengano pagate. Sa meglio di chiunque altro che non c’è stato nessun corrispettivo per l’ultima cambiale. Ma sa anche che la trattativa non è stata condotta con lui e nemmeno con suo fratello ed è pronto a giurare di aver pagato il valore di entrambe. Giurerebbe qualsiasi cosa per cinquecento sterline – o anche per la metà, quanto a questo. Non credo che il demonio abbia mai messo sulla terra un farabutto peggiore di Tom Tozer.

Dichiara che nulla lo indurrà ad accettare uno scellino meno di novecento sterline. È arrivato a questo sentendo che i miei debiti stanno per essere pagati. Il cielo mi aiuti! Ciò significa che quella disgraziata terra che ora è ipotecata con un milionario passerà nelle mani di un altro. Con questo scambio potrò forse ottenere il vantaggio di avere una casa in cui vivere per i prossimi dodici mesi, ma niente altro. Tozer, comunque, è decisamente sulla pista sbagliata e il peggio è che la sua animosità colpirà voi più di me.

Ecco quel che voglio che facciate: paghiamogli tra tutti e due cento sterline. Riuscirò a metterne insieme cinquanta, anche se dovrò vendere l’ultimo ronzino che ho, e so che a ogni modo potrete fare altrettanto. Poi firmate una cambiale, insieme a me, per ottocento sterline. Verrà firmata in presenza di Forrest e consegnata a lui, contemporaneamente avrete indietro le due vecchie cambiali. La nuova cambiale avrà una scadenza di novanta giorni e in quel periodo muoverò mari e monti perché venga inclusa nell’elenco generale dei miei debiti garantiti dalla proprietà di Chaldicotes.

 

Voleva dire che la signorina Dunstable sarebbe stata indotta a pagare i soldi con l’idea che fossero parte della somma coperta dall’ipoteca.

 

Quel che avete detto l’altro giorno a Barchester, a proposito di non voler mai più firmare una cambiale, va benissimo per le future transazioni. Nulla potrebbe essere più saggio di una simile decisione. Ma sarebbe una pazzia – più che una pazzia – permettere il sequestro dei vostri mobili quando i mezzi per prevenirlo sono a portata di mano. Lasciando la nuova cambiale a Forrest potete essere certo che sarete al sicuro dagli artigli di uccelli da preda come i Tozer. Anche se non mi riuscisse di liquidarla alla fine dei tre mesi, Forrest vi permetterà di sistemare l’affare nel modo migliore.

Per l’amor del cielo, mio caro amico, non rifiutate. Non potete immaginare quanto pesi su di me la paura che i messi del tribunale entrino nel salotto di vostra moglie. So che pensate male di me e non mi stupisce, ma sareste meno propenso a farlo se sapeste quanto è tremenda la mia punizione. Vi prego fatemi sapere che seguirete il mio consiglio.

Vostro fedelissimo

N. SOWERBY

 

In risposta il pastore scrisse una replica brevissima:

 

Framley, luglio 185*

Mio caro signor Sowerby,

non firmerò più cambiali per nessuna ragione.

Sinceramente

MARK ROBARTS

 

Dopo averla scritta, e mostrata alla moglie, tornò al sentiero e lo percorse avanti e indietro, guardando di tanto in tanto la lettera di Sowerby mentre ripensava ai trascorsi della sua amicizia con quel gentiluomo.

Il solo fatto che l’autore di quella lettera fosse suo amico, rappresentava motivo di vergogna per lui. Sowerby conosceva così bene se stesso e la propria reputazione da non sperare che quel che diceva venisse preso sul serio – neanche quando la promessa riguardava un atto della più ovvia onestà. “Le vecchie cambiali vi saranno restituite” aveva dichiarato con energia, sapendo che il suo amico e corrispondente non si sarebbe sentito protetto contro ulteriori frodi da nessuna garanzia meno convincente. Quel gentiluomo, rappresentante di contea, proprietario di Chaldicotes, con cui Mark Robarts era stato così ansioso di fare amicizia, era ormai giunto a un punto della vita in cui aveva rinunciato a parlare di sé come di un uomo onesto. Si era talmente abituato al sospetto che lo considerava ovvio. Sapeva che nessuno poteva fidarsi della sua parola, scritta o orale, e si accontentava di parlare e di scrivere senza nascondere quella convinzione.

E quello era l’uomo che Mark era stato così felice di chiamare suo amico, per cui era stato pronto a litigare con Lady Lufton e per le cui richieste aveva abbandonato, senza rendersene conto, così tanti dei migliori propositi della sua vita. Mentre camminava lentamente ripensò, tenendo ancora in mano la lettera, al giorno che si era fermato alla scuola e aveva scritto al signor Sowerby, promettendo di unirsi al party di Chaldicotes. Allora era stato così ansioso di fare a modo proprio da evitare di tornare a casa a discutere la questione con la moglie. Pensò anche a come era stato attirato a casa del Duca di Omnium e alla passata convinzione che cedere alla tentazione di andarci lo avrebbe portato alla rovina. Ricordò poi la sera in camera di Sowerby, quando era stata tirata fuori la cambiale e si era lasciato persuadere a firmarla – non perché fosse disposto ad aiutare l’amico in tal modo, ma perché era stato incapace di rifiutare. Gli era mancato il coraggio di dire «No» sebbene capisse in quel momento l’enormità dell’errore che stava commettendo. Gli era mancato il coraggio di dire «No» e di conseguenza erano piombati su di lui e la sua casa tutta quell’infelicità e quei motivi di amaro pentimento.

Ho scritto molto di ecclesiastici ma nel farlo ho cercato di ritrarli per l’influenza che hanno sulla vita sociale piuttosto che descrivere le modalità e il lavoro delle loro attività professionali. Se avessi seguito il secondo corso non sarei riuscito a tenermi alla larga da questioni su cui non è mia intenzione esprimere opinioni e avrei o appesantito il mio racconto con sermoni o degradato i miei sermoni in racconto. Quindi nella mia narrazione ho detto ben poco sui sentimenti e le azioni di quest’uomo in qualità di religioso.

Ma non per questo voglio che si creda il signor Robarts indifferente ai doveri della sua posizione. Aveva amato i divertimenti e aveva ceduto alla tentazione – come capita così spesso ai giovani ventiseienni che sono indipendenti e hanno mezzi a loro disposizione. Se fino a quell’età fosse rimasto un curato, sottoposto al controllo di un superiore in tutte le sue azioni, possiamo dire che non avrebbe firmato nessuna cambiale, non avrebbe partecipato a battute di caccia e non avrebbe saputo nulla delle iniquità di Chaldicotes. Ci sono uomini di ventisei anni già in grado di cavarsela da soli – pronti a diventare primi ministri, direttori di scuola, giudici… quasi pronti a diventare vescovi, ma Mark Robarts non era uno di loro. Vi era in lui una notevole disposizione al bene, ma non il fermo coraggio di agire in base a tale inclinazione. Il materiale che doveva costituire la sua maturità aveva avuto una crescita lenta, come capita a molti uomini, e di conseguenza davanti alla tentazione era caduto.

Ma soffriva profondamente per il suo errore e di tanto in tanto, quando lo assalivano i momenti di pentimento, decideva di mettersi ancora una volta al lavoro di buona lena, come si addice a chi combatte sulla terra la battaglia per cui aveva indossato la sua armatura. Mille volte aveva ripensato alle parole del signor Crawley e mentre percorreva avanti e indietro il sentiero sgualcendo in mano la lettera del signor Sowerby, ci pensò di nuovo: «È una terribile caduta, terribile per la caduta ma doppiamente terribile per la difficoltà di rialzarsi». Sì, si tratta di una difficoltà che si moltiplica in proporzione spaventosa mentre si continua allegramente a correre giù per la china… verso quale direzione? Era giunto al punto di non potersi più rialzare… di non poter mai più rialzare la testa con la coscienza pulita come pastore della sua parrocchia! Era Sowerby che lo aveva portato a tanta infelicità, che lo aveva condotto alla rovina! Ma d’altronde Sowerby non l’aveva forse pagato? Lo stallo che aveva a Barchester non era stato un regalo di Sowerby? Era ormai un uomo povero – un uomo tormentato, colpito dalla necessità, ma tuttavia desiderava con tutto il cuore non aver mai goduto dei vantaggi del capitolo di Barchester.

«Rinuncerò allo stallo. Penso di poter dire che ho deciso a riguardo» disse quella sera alla moglie.

«Ma, Mark, la gente non dirà che è strano?».

«Non posso farci nulla… lo dicano pure. Fanny, temo dovremo sopportare parole ben più dure».

«Nessuno potrà mai dire che hai fatto qualcosa di ingiusto o disonorevole. Se ci sono uomini come il signor Sowerby…».

«La gravità della sua colpa non scuserà la mia». Poi rimase seduto in silenzio, coprendosi gli occhi mentre la moglie, seduta accanto, gli teneva la mano.

«Non tormentarti, Mark. Le cose si aggiusteranno ancora. Non è possibile che la perdita di poche centinaia di sterline ti rovini».

«Non sono i soldi… non sono i soldi!».

«Ma non hai fatto nulla di male, Mark».

«Come farò ad andare in chiesa e prendere il mio posto davanti alla gente, quando tutti sapranno che a casa mia ci sono i messi del tribunale?». Poi lasciando cadere il capo sul tavolo singhiozzò forte.

L’errore di Mark Robarts era stato principalmente questo: aveva pensato di poter trattare con una persona equivoca senza sporcarsi. Guardando dalla sua bella canonica le affascinanti alte sfere del mondo che lo circondava, aveva visto che uomini e cose in quelle regioni erano molto attraenti. La canonica, con la dolce sposa, gli era estremamente cara e la affettuosa amicizia di Lady Lufton aveva un suo valore, ma simili cose non erano piuttosto noiose per uno che aveva vissuto con la migliore società a Harrow e Oxford… a meno che non potesse integrarle con intermezzi di vita più brillanti? I piaceri gli erano graditi come a coloro con cui un tempo aveva vissuto al college. Aveva la loro stessa capacità di apprezzare un cavallo e lo stesso desiderio di battere la campagna. E poi, per di più, aveva scoperto di piacere agli uomini… agli uomini e anche alle donne, uomini e donne che occupavano in società una posizione elevata. La sua vanità era stata solleticata e si era convinto di essere stato creato dalla natura per la compagnia di gente altolocata. Gli pareva di seguire il suo corso naturale facendo la conoscenza di uomini e donne di mondo a casa dei ricchi e delle persone alla moda. Non era il primo ecclesiastico ad aver vissuto a quel modo e ad aver fatto fortuna. Sì, degli ecclesiastici avevano vissuto così e avevano fatto il loro dovere nella sfera di vita a cui erano stati chiamati, con completa soddisfazione dei connazionali… e dei sovrani. In tal modo Mark Robarts aveva deciso di poter trattare con una persona equivoca ed evitare, se possibile, di insozzarsi. Coloro che hanno letto fin qui, sanno con quale risultato.

Il pomeriggio successivo, sul tardi, chi arrivò alla porta della canonica se non il signor Forrest, il direttore di banca di Barchester – il signor Forrest che Sowerby aveva sempre indicato come il Deus ex machina il quale, se doverosamente invocato, avrebbe potuto risolvere tutti i loro problemi e scacciare l’intera famiglia Tozer… non a ululare nel deserto, come si sarebbe desiderato fare con la genia dei Tozer, ma riempiendoli di bottino così da non dover più temere altre seccature da parte loro! Tutto ciò il signor Forrest poteva farlo, anzi, di più, l’avrebbe fatto di buon grado! Bastava solo che Mark Robarts si mettesse nelle mani del banchiere e firmasse docilmente qualsiasi documento che il banchiere gli chiedesse di firmare.

«È un affare molto sgradevole» disse il signor Forrest non appena si furono chiusi nella libreria di Mark. In risposta a tale affermazione il pastore riconobbe che era un affare molto sgradevole.

«Il signor Sowerby è riuscito a cacciarvi nelle grinfie di una delle peggiori bande di malandrini attualmente operanti in questo ramo a Londra».

«Lo supponevo; Curling mi ha detto la stessa cosa». Curling era l’avvocato di Barchester il cui aiuto era stato recentemente invocato.

«Curling li ha minacciati di rivelare tutti i loro traffici, ma uno di loro che è stato qui, un uomo di nome Tozer, ha risposto che voi avevate molto più da perdere di lui da una denuncia. Ha continuato aggiungendo che era pronto a sfidare qualsiasi tribunale in Inghilterra a negargli i suoi soldi. Ha giurato di aver scontato entrambe le cambiali secondo la regolare procedura d’affari e sebbene questo sia naturalmente falso, temo che sarà impossibile provarlo. Sa benissimo che siete un ecclesiastico e che pertanto ha maggior controllo su di voi che su altri uomini».

«La vergogna ricadrà su Sowerby» disse Mark che in quel momento non era mosso da un profondo sentimento di cristiana indulgenza.

«Temo, signor Robarts, che egli sia in un certo senso nella condizione dei Tozer, non ne risentirà come voi».

«Dovrò sopportarlo, signor Forrest, meglio che posso».

«Permettetemi, signor Robarts, di darvi un consiglio. Forse dovrei scusarmi per l’intromissione, ma poiché le cambiali sono state presentate alla mia banca e sono rimaste insolute, sono di necessità venuto a conoscenza della situazione».

«Vi sono molto obbligato» disse Mark.

«Dovete pagare questi soldi o a ogni modo la parte più considerevole della somma… tutta, a dire il vero, con la riduzione che un avvocato riuscirà a ottenere da quei predatori alla vista del denaro sonante. Forse settecentocinquanta o ottocento sterline vi tireranno fuori da quest’affare».

«Ma non ho da parte nemmeno un quarto della somma».

«No, suppongo di no, ma quel che vi raccomando di fare è di prendere in prestito il denaro dalla banca, dietro vostra responsabilità personale… con la garanzia di qualche amico che sia pronto ad aiutarvi firmando insieme a voi. Lord Lufton probabilmente lo farebbe».

«No, signor Forrest…».

«Ascoltatemi prima di decidere. Se farete questo passo, lo farete naturalmente con la ferma intenzione di restituire personalmente il denaro… senza contare ancora su Sowerby o qualunque altro».

«Non farò più affidamento sul signor Sowerby, potete esserne sicuro».

«Intendo dire che dovrete imparare a considerare il debito come vostro. Se ci riuscirete, con il vostro reddito potrete certamente pagarlo in due anni, con gli interessi. Se Lord Lufton firmerà con voi, io preparerò le cambiali in modo che i pagamenti siano ripartiti uniformemente durante quel periodo. In tal modo nessuno ne saprà niente e tra due anni sarete di nuovo un uomo libero. Molti uomini, signor Robarts, hanno pagato assai più care le loro esperienze, ve lo posso assicurare».

«Signor Forrest, è fuori questione».

«Intendete dire che Lord Lufton non firmerà per voi?».

«Di certo non glielo chiederò ma questo non è tutto. In primo luogo il mio reddito non sarà quello che pensate, perché probabilmente rinuncerò alla prebenda a Barchester».

«Rinunciare alla prebenda! Rinunciare a seicento sterline l’anno!».

«E inoltre credo di poter dire che nulla mi indurrà a firmare un’altra cambiale. Ho imparato una lezione che spero di non dimenticare mai».

«Allora che intendete fare?».

«Niente!».

«In tal caso quegli uomini venderanno ogni pezzo di mobilio che c’è in casa. Sanno che i vostri possedimenti qui sono sufficienti ad assicurare tutto quel che reclamano».

«Lo facciano, se ne hanno il potere».

«E tutto il mondo ne sarà informato».

«Così deve essere. Un uomo deve sopportare le conseguenze delle colpe che commette. Se si trattasse solo di me!».

«È questo il punto, signor Robarts. Pensate a quel che soffrirà vostra moglie nel sopportare una simile disgrazia. Fareste meglio a seguire il mio consiglio; Lord Lufton, ne sono sicuro…».

Ma il solo nome di Lord Lufton, l’innamorato della sorella, gli diede di nuovo coraggio. Pensò anche alle accuse che Lord Lufton gli aveva mosso quella sera, quando era andato da lui nel ristorante dell’albergo, e si rese conto che era impossibile rivolgersi a Lord Lufton per un aiuto del genere. Sarebbe stato meglio dire tutto a Lady Lufton! Che l’avrebbe aiutato, indipendentemente da quanto potesse costarle, non aveva dubbi. Solo che… nel rivolgersi a lei sarebbe stato costretto letteralmente a mordere la polvere.

«La ringrazio, signor Forrest, ma ho deciso. Non pensate che non vi sia grato per la vostra gentilezza disinteressata… perché so che è disinteressata, ma penso di poter dire con sicurezza che nemmeno per evitare una calamità così terribile firmerò di nuovo una cambiale. Anche se accettaste la mia promessa di pagare, senza l’aggiunta di una seconda firma, non lo farei».

Date le circostanze non c’era nulla che il signor Forrest potesse fare se non tornarsene a Barchester. Secondo i suoi principi aveva fatto il massimo per il giovane ecclesiastico e forse, sotto il profilo laico, il suo consiglio non era male. Ma Mark era terrorizzato dalla sola parola cambiale. Si era scottato in modo spaventoso e nulla lo avrebbe indotto ad avvicinarsi di nuovo al fuoco.

«Non era l’uomo della banca?» disse Fanny entrando nella stanza quando il suono delle ruote si fu spento.

«Sì, il signor Forrest».

«Allora, tesoro?».

«Dobbiamo prepararci al peggio».

«Non firmerai altre carte, eh, Mark?».

«No, ho appena rifiutato definitivamente di farlo».

«Allora posso sopportare qualunque cosa. Ma, carissimo, carissimo Mark, non posso dirlo a Lady Lufton?».

In qualsiasi modo considerassero la questione, la punizione era molto dura.