XXIII

«Caro Berna,» fece il Beretta «qui le cose si complicano oltre l’immaginabile».

«Non ci capisco più niente!» esclamò il gendarme. «Allora l’uomo trovato nel lago è il delinquente che ha rapito i bambini?».

«Appurato che gli indizi collocano il rapitore tra gli ospiti del barone, e accertato che il cadavere dell’obitorio è l’uomo che cerchiamo, non ci resta che fare uno più uno: con elevata probabilità il morto è l’introvabile Folker Meissen».

«Quindi?» incalzò il Bernasconi.

«Quindi c’è una coppia di custodi che ci ha raccontato un mucchio di fandonie».

«Se la tua ipotesi è vera, l’uomo che il Berger ha accompagnato alla stazione non era Folker Meissen. Forse si tratta di un complice?».

«Magari un complice che voleva la preda tutta per sé» rispose di getto il Beretta. Poi s’incupì per come, nel suo cinico modo di riflettere sui fatti, aveva chiamato la piccola Ombretta “preda”.

«Non mi pare logico, Beretta. Se il complice è il tipo che il Berger ha accompagnato alla stazione, perché mai avrebbe dovuto uccidere il Meissen, tenersi la bambina e poi andarsene da Lugano in fretta e furia?».

«Che idea ti sei fatto del caso?» domandò Ezechiele una volta rientrato nel dialogo dopo le riflessioni sul quel “preda”, come se gli interrogativi posti poc’anzi dal gendarme non li avesse nemmeno percepiti.

«Appunto!» fece un po’ stizzito il caporale accortosi che il Beretta non l’aveva ascoltato. «Non trovo uno straccio di argomentazione per dare un senso logico alla faccenda».

«Ti ascolto».

«Ammettiamo che i delinquenti siano due: il Meissen e l’uomo della stazione. Falliscono un primo rapimento, hanno successo col secondo e poi uno dei due uccide il complice e se ne va – forse – a Berlino... Questa ipotesi non ha senso».

Il delegato fissava l’appuntato senza rispondere. L’intuizione avuta osservando il referto medico legale si era rivelata esatta e il rapitore era stato identificato. Ora però la sua mente turbolenta stava costruendo un’altra ipotesi da far accapponare la pelle. Non sapeva se esporla al Bernasconi, oppure tenersela per sé finché non avesse avuto qualche prova supplementare. Decise infine di coinvolgerlo, così da avere un punto di vista più obiettivo del suo.

«Senti, Tranquillo, ho per la testa un’altra idea che mi tartassa e che sto cercando di mettere a fuoco. Una supposizione, per ora piuttosto fumosa e costruita su una tessera di questo complicato puzzle che tu non conosci e che apparteneva al nostro amico del lago...». E così dicendo gli parò sotto il naso il vasetto preparato dal dottor Viviani contenente il macabro resto del cadavere del lago.

Il Bernasconi indietreggiò di colpo, aggrottò le sopracciglia e raggrinzò labbra e naso in segno di disgusto, colpito più dalla runa Hakenkreuz – simbolo di Thor, dio del fulmine – che dal lembo di pelle su cui era tatuata; un simbolo che tutti, con palese timore, chiamavano svastica.

«Nazisti?» chiese esterrefatto l’appuntato.

In silenzio e con sguardo cupo il delegato fissava il sottoposto e i segni del suo turbamento. Capì che aveva fatto bene a gestire quel ritrovamento con estrema prudenza: la presenza di nazisti in città, forse coinvolti nel rapimento dei bambini, andava oltre la sua inchiesta e le sue competenze.

«Nazisti?» ripeté il Bernasconi con sorpresa mista a incredulità.

«Quell’uomo lo era ma, per ora, non significa nulla. Dovremo però usare molta cautela nel gestire la questione, evitando soprattutto di coinvolgere la politica».

Annuendo sconsolato, l’appuntato manifestò con un’espressione imbronciata la consapevolezza delle difficoltà che avrebbero avuto se per caso ci fosse stato l’intervento di qualche politico. Deciso disse: «Dobbiamo interrogare subito i Berger. Non l’hanno raccontata giusta, quei due».

«Sarà il nostro prossimo incontro. Li ho convocati per domani mattina...».

«Di’ un po’ Beretta, hai in mente qualcosa di grosso?».

«Non lo so. Il caso si prospetta sconcertante. Mi sfuggono ancora dei particolari e quanto scoperto non corrisponde a nessun fatto analogo conosciuto».

«Che cosa intendi?».

«È palese che non sia un rapimento a scopo di estorsione. Sono inoltre convinto, sia per quello che hai dedotto anche tu sul complice che se ne va dopo aver saputo della scomparsa del Meissen, sia per una sorta di fiuto professionale, che non si tratti di un caso di pedofilia locale».

«Locale?».

«L’ipotesi del commercio di esseri umani è quella che mi pare più verosimile: non un solitario ladro di bambini, ma piuttosto un’organizzazione internazionale».

La faccia del Bernasconi era l’esemplificazione dello sbigottimento. Nemmeno nel più profondo dei suoi incubi erano mai apparsi scenari simili. In tanti anni di servizio si era confrontato solo con contravvenzioni, liti e ladri di galline. Nella sua placida quotidianità, l’evento più sconvolgente che gli fosse mai capitato era il trovarsi a tu per tu con il cadavere di un annegato, o con la vittima di un qualche altro incidente. Fatti gravi, causati però dalla fatalità dell’esistenza e non della malvagità dell’uomo. Lo stupore dell’appuntato fu tale che il delegato si sentì in dovere di chiarire meglio cosa intendeva: «Esistono dei gruppi organizzati che lucrano, oltre che sugli adulti, su bambini e adolescenti, sfruttandoli in svariati modi: lavori rischiosi e inadatti, sfruttamento e violenze sessuali, vendita e tratta a scopo di schiavitù».

«Non sono così ingenuo, ma ho sempre pensato che queste cose succedessero in altri luoghi, non da noi».

«Per ora è solo una funesta ipotesi, comunque non siamo immuni da tanta bassezza».

«E a livello internazionale succede qualcosa?».

«Una decina di anni fa è entrata in vigore la Convenzione internazionale di Ginevra per la repressione della tratta delle donne e dei fanciulli; da quest’estate la Convenzione internazionale si è fatta più precisa e...».

«Convenzioni internazionali,» borbottò il Bernasconi «gliela darei io a quei delinquenti la convenzione internazionale, col manganello e il 31».

«Ehi Berna, non ti facevo così draconiano!».

«Quando si toccano i bambini lo sono».

Vi fu una lunga pausa. Il pensiero di entrambi andò a Ombretta e all’elenco delle malvagità in cui avrebbe potuto imbattersi se la teoria del Beretta fosse stata vera. A otto giorni dal rapimento, quella teoria era l’unica che la manteneva ancora in vita e i due ne erano pienamente consapevoli.