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Vorošenin sedette a pensare.
Il nome di Kishikawa non gli era nuovo.
Pochi minuti dopo gli tornò in mente qualcosa e andò al telefono. Mezz'ora dopo era in linea con Mosca, con il vecchio collega colonnello - ora generale - Gorbatov.
"Jurij, come stai?"
"A Pechino. Ti basta come risposta?"
"Ah. A cosa devo…"
"Ti dice niente il nome Kishikawa?"
"Io rappresentavo l'Unione Sovietica al processo alleato contro i criminali di guerra giapponesi, a Tokyo nel 1948," rispose Gorbatov. "Kishikawa era il nostro pesce più grosso. Perché me lo chiedi?"
"L'avete giustiziato?"
"Stavamo per farlo," rispose Gorbatov, "ma non ci siamo riusciti."
"Perché?"
"È una storia straordinaria, in effetti," disse Gorbatov. "C'era un giovanotto che lavorava come traduttore per gli americani e che in qualche modo era amico di Kishikawa. In verità era figlio di una nobile russa… aspetta… mi torna in mente… Ivanovna. Una contessa, nientemeno."
"Ti ricordi come si chiamava? Il giovanotto?"
"Era un tipo speciale. Molto controllato…"
"Il nome, Pëtr…"
"Hel. Nikolaj Hel."
Vorošenin si sentì letteralmente rizzare i capelli sulla nuca. "Che cos'è successo al generale?"
"Questa è la parte straordinaria," rispose Gorbatov. "Il giovane Hel l'ha ucciso. Nella sua cella. Davanti alle guardie, con una specie di colpo giapponese alla gola. Sembra che volesse risparmiargli la vergogna dell'impiccagione."
Vorošenin sentì che gli si chiudeva la gola. "E questo Hel è in mano nostra?"
"No, l'hanno preso gli americani. E siamo stati felici di lasciarglielo, credimi."
"Sappiamo che cosa ne è stato di lui?"
"Io no," disse Gorbatov, "me ne sono felicemente lavato le mani. Una storia molto inquietante, se vuoi il mio parere. A proposito, perché ti interessa, Jurij?"
"Fammi un favore, Pëtr," disse Vorošenin. "Dimentica questa telefonata."
E riagganciò.