XXXV
Kutuzov era seduto, con la testa canuta chinata e il pesante corpo rilassato, sulla stessa panca coperta da un tappeto, e in quello stesso luogo in cui Pierre l’aveva visto la mattina. Non impartiva nessun ordine, ma si limitava a dire sì o no alle cose che gli proponevano.
«Sì, sì, fate questo,» rispondeva alle varie proposte. «Sì, sì, va’, caro, dà un’occhiata,» diceva, volgendosi ora all’uno ora all’altro degli intimi collaboratori; oppure: «No, non occorre, meglio che aspettiamo,» diceva. Ascoltava i rapporti che gli facevano, dava ordini quando questo era richiesto dai suoi subordinati; eppure sembrava che nell’ascoltare i rapporti non si interessasse del significato delle parole che gli dicevano, ma lo interessasse qualcos’altro nell’espressione del viso, nel tono della voce di coloro che gli facevano il rapporto. Grazie alla sua lunga esperienza militare, Kutuzov sapeva, e con la sua intelligenza di vecchio capiva, che un uomo solo non può dirigere centinaia di migliaia di uomini che lottano con la morte, e sapeva che il destino delle battaglie non è deciso dagli ordini del comandante in capo, né dal luogo in cui si trovano le truppe, né dal numero dei cannoni e degli uomini uccisi, ma da quella forza inafferrabile che si chiama il morale delle truppe, ed egli vigilava su questa forza e la dirigeva per quanto era in suo potere.
L’espressione costante del volto di Kutuzov rivelava un’attenzione assorta e una tensione che vinceva a stento la stanchezza del corpo debole e vecchio.
Alle undici del mattino gli portarono la notizia che le flèches occupate dai francesi erano state di nuovo riprese ma che il principe Bagration era stato ferito. Kutuzov emise un sospiro e scosse il capo.
«Va’ dal principe Pëtr Ivanoviè e informati dettagliatamente di che si tratta e come è stato,» disse a uno dei suoi aiutanti, e subito dopo si rivolse al principe Wurttemberg, che stava dietro di lui: «Pregherei Vostra Altezza Reale di assumere il comando della seconda armata.»
Poco tempo dopo la partenza del principe, e prima ancora che egli fosse certamente potuto giungere a Semënovskoe, l’aiutante del principe tornò indietro e riferì a Sua Eccellenza Serenissima che il principe chiedeva delle truppe.
Kutuzov si accigliò: mandò a Dochturov l’ordine di assumere il comando della seconda armata e pregò il principe di ritornare da lui, dicendo che non poteva farne a meno in quegli importanti momenti. Quando fu portata la notizia che Murat era stato fatto prigioniero e gli ufficiali di stato maggiore si congratularono con lui, Kutuzov sorrise.
«Aspettate, signori,» disse. «La battaglia è vinta e nella cattura di Murat non c’è niente di straordinario. Ma è meglio aspettare a rallegrarci.»
Mandò, tuttavia, un aiutante a fare il giro delle truppe con quella notizia.
Quando dal fianco sinistro giunse al galoppo ·èerbinin con l’annuncio che i francesi avevano occupato le flèches e Semënovskoe, Kutuzov, che aveva già intuito dai rumori del campo di battaglia e dalla faccia di ??erbinin che si trattava di brutte notizie, si alzò in piedi come per sgranchire le gambe e, preso sotto braccio ??erbinin, lo trasse in disparte.
«Vacci tu, mio caro,» disse a Ermolov, «guarda un po’ se è possibile fare qualcosa.»
Kutuzov si trovava a Gorki, nel centro della posizione dell’esercito russo. L’attacco sferrato da Napoleone contro il nostro fianco sinistro era già stato respinto varie volte. Al centro i francesi non riuscivano ad avanzare oltre Borodino. Dal fianco sinistro la cavalleria di Uvarov mise in fuga i francesi.
Alle tre gli attacchi dei francesi cessarono. Su tutti i volti di coloro che giungevano dal campo di battaglia come anche per quelli di coloro che gli stavano intorno, Kutuzov leggeva una tensione giunta all’estremo.
Egli era soddisfatto del successo della giornata che era al di là di ogni sua aspettativa. Ma le forze fisiche abbandonavano il vecchio. Varie volte il suo capo si abbassò come se cadesse sul petto ed egli si assopì. Gli portarono il pranzo.
L’aiutante di campo dell’imperatore, Wohlzogen, lo stesso che, passando davanti al principe Andrej, aveva detto che la guerra si doveva im Raum verlegen e che era così odiato da Bagration, si avvicinò a Kutuzov mentre pranzava. Wohlzogen veniva da parte di Barclay de Tolly con un rapporto sull’andamento delle cose sul fianco sinistro.
Il giudizioso Barclay de Tolly, vedendo una folla di feriti che scappava e le retrovie scompigliate dell’armata, soppesate tutte le circostanze, aveva concluso che la battaglia era perduta e aveva mandato al comandante in capo il suo favorito con questa notizia.
Kutuzov masticava con fatica un pollo arrosto e sbirciò Wohlzogen con occhi socchiusi e gai.
A passi lenti, con un sorriso quasi sprezzante sulle labbra, Wohlzogen si avvicinò a Kutuzov, toccandosi leggermente la visiera con la mano.
Wohlzogen trattava Sua Eccellenza Serenissima con una certa ostentata noncuranza che doveva aver lo scopo di mostrare che lui, in quanto militare di grande cultura, lasciava che i russi si facessero un idolo di quell’inutile vecchio, mentre egli ben sapeva con chi aveva a che fare. « Der alte Herr (come i tedeschi fra loro chiamavano Kutuzov) macht sich ganz bequem,» pensò Wohlzogen e, gettata un’occhiata severa ai piatti che stavano dinanzi a Kutuzov, cominciò a informare il vecchio signore circa la situazione sul fianco sinistro, come gli aveva ordinato Barclay e come egli stesso l’aveva veduta e capita.
«Tutti i punti della nostra posizione sono nelle mani del nemico e non c’è modo di respingerlo, perché mancano le truppe; esse fuggono e non c’è la possibilità di fermarle,» riferiva.
Kutuzov smise di masticare e ora fissava stupito Wohlzogen, come se non capisse quello che gli si stava dicendo. Accortosi della commozione des alten Herrn, Wohlzogen disse con un sorriso:
«Non mi consideravo in diritto di nascondere a Vostra Eccellenza Serenissima quello che ho visto… Le truppe sono in completo sfacelo…»
«Voi avete visto? Voi avete visto?…» si mise a gridare Kutuzov accigliandosi, alzandosi rapidamente e muovendo verso Wohlzogen. «Come… come osate!…» gridò ancora facendo gesti di minaccia con le mani tremanti e con la voce strozzata. «Come osate, egregio signore, dir questo a me. Voi non sapete niente. Trasmettete da parte mia al generale Barclay che le sue informazioni sono false e che il reale andamento della battaglia è noto a me, che sono il comandante in capo, assai meglio che a lui.»
Wohlzogen avrebbe voluto replicare, ma Kutuzov lo interruppe.
«Il nemico è respinto sul fianco sinistro e sconfitto sul fianco destro. Se voi avete visto male, egregio signore, non permettetevi di dire cose che ignorate. Fatemi il piacere di andare dal generale Barclay e comunicargli la mia assoluta intenzione di attaccare domani il nemico,» disse egli severamente.
Tutti tacevano e si udiva solamente il pesante respiro del vecchio generale che ansimava. «Il nemico è respinto dappertutto, per la qual cosa ringrazio Dio e il nostro valoroso esercito. Il nemico è sconfitto e domani lo cacceremo dal sacro suolo della Russia,» continuò Kutuzov, facendosi il segno della croce, e a un tratto singhiozzò per le lacrime che gli urgevano.
Stringendosi nelle spalle e storcendo le labbra, Wohlzogen si allontanò pieno di stupore uber diese Eingenommenheit des alten Herrn.
«Sì, eccolo qui il mio eroe,» disse Kutuzov rivolgendosi a un bel generale, robusto e nero di capelli, che in quel momento stava salendo sul tumulo.
Era Raevskij, che aveva passato tutta la giornata nel punto principale del campo di battaglia di Borodino.
Dopo averlo ascoltato, Kutuzov disse in francese:
« Vous ne pensez donc pas comme les autres que nous sommes obligés de nous retirer? »
« Au contraire, Votre Altesse, dans les affaires indécises c’est toujours le plus opiniâtre qui reste victorieux, »
rispose Raevskij, « et mon opinion… »
«Kajsarov!» chiamò ad alta voce Kutuzov il suo aiutante di campo. «Siediti e scrivi l’ordine del giorno per domani. E tu,» si rivolse egli a un altro, «va’ sulle linee e annuncia che domani attaccheremo.»
Mentre si svolgeva la conversazione con Raevskij e si dettava l’ordine del giorno, Wohlzogen ritornò e riferì che il generale Barclay de Tolly avrebbe desiderato avere una conferma scritta dell’ordine che aveva dato il feldmaresciallo.
Senza guardare Wohlzogen, Kutuzov ordinò di scrivere quell’ordine, che l’ex comandante in capo desiderava, assennatamente, avere per evitare ogni responsabilità personale.
E a causa di quell’indefinibile, misterioso legame che manteneva in tutto l’esercito un solo stato d’animo comune, detto spirito d’un esercito, cosa che costituisce il nerbo principale della guerra, le parole di Kutuzov, il suo ordine per la battaglia dell’indomani si diffusero simultaneamente in tutti i reparti dell’esercito.
Non erano certamente le stesse parole, lo stesso ordine a giungere all’ultimo anello della catena. Anzi, non c’era nulla di simile a ciò che Kutuzov aveva detto nei racconti che passavano da un soldato all’altro, giungendo fino alle varie estremità dell’esercito, ma il senso delle sue parole si propagò dappertutto, perché ciò che Kutuzov aveva detto non scaturiva da ingegnose considerazioni ma dal sentimento che stava nell’anima del comandante in capo come nelle anime di ogni russo.
E, saputo che l’indomani noi avremmo attaccato il nemico, udito dalle alte sfere dell’esercito la conferma di ciò in cui tutti volevano credere, gli uomini esausti e vacillanti si confortavano e si rinfrancavano.