XIX
Nell’anima di Pierre adesso non accadeva nulla di simile a quanto gli era accaduto in analoghe circostanze durante il suo fidanzamento con Hélène.
Non si ripeteva come allora con dolorosa vergogna le parole che aveva detto, non diceva a se stesso: «Ah, perché non ho detto questo e perché, perché in quel momento ho detto: je vous aime? » Ora, al contrario, ogni parola di lei e ogni sua parola se le ripeteva nella mente con tutti i particolari del volto, del sorriso, e non desiderava togliervi né aggiungervi nulla. Ora non aveva dubbi se fosse bene o fosse male ciò che faceva. Un solo terribile dubbio talora gli balenava nella mente: «Non sarà tutto un sogno? Non si sarà sbagliata la principessina Mar’ja? Non sarò troppo orgoglioso e presuntuoso? Io ci credo, e invece, andrà cosi, la principessina Mar’ja glielo dirà e lei risponderà sorridendo: “Che strano! Di certo si è ingannato. Non sa forse di essere un uomo, semplicemente un uomo, mentre io…
io sono tutt’altra cosa, qualcosa di ben superiore.”»
Solo questo dubbio tormentava spesso Pierre. Ora non faceva progetti. La felicità che lo attendeva gli sembrava così inverosimile da bastargli che questo si avverasse; oltre a ciò non poteva esservi nient’altro. Tutto finiva lì.
Una gioiosa, imprevista follia, di cui si sarebbe ritenuto incapace, si era impadronita di Pierre. Tutto il senso della vita, non per lui solo, ma per tutta la gente di questo mondo, gli pareva racchiuso nel suo amore e nella possibilità che Nataša lo contraccambiasse. Certe volte tutta la gente gli sembrava preoccupata da un’unica cosa: la sua futura felicità. Talora gli pareva che se ne rallegrasse proprio come lui, e cercasse soltanto di nascondere questa gioia, fingendosi intenta ad altri interessi. In ogni parola e in ogni gesto vedeva un’allusione alla sua felicità. Spesso stupiva le persone con le quali si incontrava con i suoi sguardi e i suoi sorrisi felici e significativi, che esprimevano una segreta intesa. Ma quando si rendeva conto che gli altri potevano essere all’oscuro della sua felicità, li compiangeva con tutto il cuore e provava il desiderio di spiegar loro in qualche modo come tutto ciò che li interessava non fosse altro che un mucchio di sciocchezze e di assurdità che non meritavano la minima attenzione.
Quando gli proponevano un impiego o discutevano di qualche questione generale o della guerra, supponendo che da un dato esito degli eventi dipendesse la felicità di tutti, Pierre stava a sentire con un mite sorriso di compassione e stupiva gli interlocutori con le sue strane osservazioni. Ma sia gli uomini che a Pierre parevano capaci di comprendere il vero senso della vita, ossia il suo sentimento, sia quegli infelici che evidentemente non lo capivano, tutti quanti in questo periodo gli apparivano così illuminati dal suo sentimento che subito, senza il minimo sforzo, Pierre vedeva in chiunque s’imbattesse tutto ciò che era buono e degno d’amore.
Esaminando gli affari e le carte della sua defunta moglie, nei suoi confronti non provava altro sentimento che la compassione, per il fatto che non aveva conosciuto la felicità che ora conosceva lui. Il principe Vasilij, tutto orgoglioso del suo nuovo posto e della decorazione che aveva ricevuto, gli sembrava un buon vecchio, commovente e da compatire.
In seguito Pierre rammentò spesso questo tempo di felice follia. Tutti i giudizi che si era formato in questo periodo su uomini e su circostanze rimasero per lui validi per sempre. Non solo in seguito non rinnegò queste opinioni sugli uomini e sulle cose, ma, al contrario, quando esitava tra incertezze e contraddizioni interne faceva ricorso all’opinione che si era formato in quel periodo di follia e quell’opinione si rivelava sempre giusta.
«Forse,» pensava, «allora sembravo strano e ridicolo, ma non ero così pazzo come potevo sembrare. Al contrario, non sono stato mai così intelligente e acuto e capivo tutto ciò che nella vita merita di capire, perché… ero felice.»
La follia di Pierre consisteva nel fatto che non aspettava più, come prima, di avere dei motivi personali, motivi che egli chiamava qualità degli uomini, per amarli, ma l’amore colmava il suo cuore ed amando gli uomini senza un motivo, trovava via via indubbi motivi per i quali valeva la pena di amarli.