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Il vino
E arrivò l’anno del Signore 1517. L’inverno a Bellagio fu lungo e tedioso; quando il clima si fece più temperato, sul lago di Como cominciarono a giungere pescatori e commercianti e il luogo riacquistò un po’ di vita. Faceva ancora freddo, ma il peggio dell’inverno era ormai alle spalle, ed era evidente che le persone attendevano con ansia la stagione più mite.
I primi di marzo ci fu una fiera alla quale parteciparono anche gli abitanti delle zone limitrofe. Ambrosio lasciò di guardia alla torre uno dei suoi uomini e si recò presso la taverna insieme a Conrad, Thomas e al resto dei suoi. La locanda sorgeva in un edificio rifinito e presentava numerosi finestroni al piano superiore, tanti quante erano le stanze di cui era dotata. La parte bassa era dominata da un’ampia sala piena di tavoli, sui quali passavano vino, bevande alcoliche più forti, carne in abbondanza, carte, dadi e altri giochi che Thomas non conosceva.
Ambrosio e Conrad presero posto accanto al camino centrale, mentre le guardie e gli inservienti, incluso Thomas, si sedettero accanto a loro. Come ricompensa, Ambrosio ordinò una brocca di vino toscano per ognuno di loro. Era un rosso eccellente, dal gusto fruttato e leggero. Ambrosio terminò subito la sua e ne ordinò una seconda. Thomas, dalla sua postazione, ascoltava con interesse le vecchie storie di battaglie e avventure che i due uomini continuavano a raccontare. Ricordava che Úrsula gli aveva sempre detto quanto era importante saper ascoltare e lui stava mettendo in pratica quel consiglio. Ma non era abituato al vino; il primo boccale lo bevve con molta difficoltà, mentre il successivo andò giù come fosse acqua.
Mentre beveva, si guardava attorno. La taverna gli sembrò un posto affascinante, più allegra e colorata rispetto a quella di Augusta dove lui e Úrsula avevano conosciuto Conrad.
A un tratto, cominciò a notare che il locale si stava via via svuotando, nonostante fosse ancora presto. I clienti stavano abbandonando la taverna alla spicciolata e ormai all’interno non c’era quasi più nessuno.
«Che diamine succede?», domandò Ambrosio.
«È per via dell’esploratore, ha messo su il suo spettacolo in piazza e io non me lo voglio perdere», rispose un uomo basso dalla voce sguaiata, alzandosi e portando con sé il boccale di vino.
«Cos’è questa storia dell’esploratore, Ambrosio?», chiese Conrad.
«Ho qualche idea, ma andiamo a vedere se si tratta di quello che penso».
Thomas andò con loro. Quasi tutta la popolazione di Bellagio si era concentrata attorno a una spianata nelle vicinanze del fiume.
Un uomo dai capelli mori, possente, con una spada attaccata alla cintura e una lunga camicia bianca, aveva catturato il pubblico con i suoi racconti sulle meraviglie di alcune terre chiamate Nuovo Mondo. Descriveva animali spaventosi, prelibatezze per i sensi, strane piante e avventure incredibili che, stando a quanto diceva, conosceva per esperienza personale, avendo visitato quel nuovo paradiso.
Per la prima volta dopo tanto tempo, Thomas uscì dalla sua apatia, ma a dire il vero anche il vino aveva fatto la sua parte.
Molti abitanti di Bellagio erano scesi dalla città, e c’erano anche i contadini giunti dai frutteti attorno al fiume, semplici curiosi e viaggiatori che si trovavano nei dintorni, tutti richiamati da quell’avvenimento.
Al centro della spianata, sopra alcune casse di legno, quell’uomo misterioso era rimasto in silenzio, in attesa che i presenti prendessero posto.
«Buonasera, cari amici», esordì con voce profonda, «permettete che mi presenti. Sono Massimiliano Lamberti, umile marinaio e viaggiatore instancabile, appena arrivato nelle splendide terre di Milano».
Parlava un italiano approssimativo; alcuni dei presenti dissero che aveva un accento napoletano, ma si capiva chiaramente, anche perché era molto espressivo. Del suo abbigliamento, saltavano subito agli occhi le scarpe vistose, che presentavano tutta una serie di tagli da cui si intravedevano le calze sottostanti.
«Quello che vi mostrerò oggi è qualcosa che i lor signori presenti di certo non hanno mai visto, e non vedranno mai più. Sono le meraviglie del Nuovo Mondo, lontane al di là dell’oceano».
Quel ciarlatano, con l’aspetto da bandito, raccontò che circa venti anni prima un genovese chiamato Colombo era giunto per la prima volta nel Nuovo Mondo con tre navi spagnole. Che da allora aveva compiuto altri tre viaggi e che era morto pensando di aver scoperto una nuova rotta verso l’India e la Cina senza costeggiare l’intera Africa. Ma quell’uomo si era sbagliato, in realtà aveva scoperto nuove terre abitate da altre popolazioni, frutti e piante esotiche e animali mitologici.
«Colombo morì senza sapere della sua grande scoperta», declamò il napoletano, con tono teatrale.
«Che esperto!», gridarono alcuni.
«Continua!», dissero altri.
«Guardate», proseguì Massimiliano, «questa è la lettera in cui descrive ai re di Spagna la sua scoperta», e tirò fuori un documento stampato. «Io l’ho comprato a Roma e vi posso assicurare che tutto ciò che riporta è verità, lo ha assicurato perfino il Santo Padre».
Ci fu un mormorio.
«E la cosa più interessante è che nel Nuovo Mondo non ci sono solo uomini selvaggi, animali incredibili e terre fertili. Il Nuovo Mondo è pieno d’oro, tanto oro».
I presenti restarono in silenzio, prestandogli la massima attenzione.
«È vera questa storia dell’oro?», chiese un anziano.
«Certo, signore: ci sono montagne d’oro a cui i nativi del luogo non danno neppure valore, perché essi camminano nudi, venerano strane divinità e non conoscono la polvere da sparo, il ferro né tantomeno i cavalli».
«Santo Dio! Che posto è?», gridò un altro dei presenti.
«Il Nuovo Mondo, e io vi ho portato qui alcune delle sue meraviglie».
«Hai l’oro? Mostraci l’oro!».
«No, non ho oro, mi piacerebbe».
«E allora che sei venuto a fare? Che cosa ci mostrerai?», insistette il vecchio.
«Piante, stampe e un’erba per curare i loro malesseri che i nativi del posto bruciano per poi aspirarne il fumo dalla bocca». Si voltò per cercare qualcosa in alcune casse di legno. «Scusatemi, non ho un aiutante, ma se mi date qualche secondo ve la mostrerò…».
«Che assurdità è questa! Come si fa a far uscire il fumo dalla bocca?», chiesero alcuni, voltandogli le spalle e andando via.
«Signori, signori! Aspettate un momento, datemi modo di parlare delle meraviglie del Nuovo Mondo». Massimiliano cercava di trattenere il pubblico gesticolando, mostrando ciuffi di piante e stampe illustrate. «Ne resterete affascinati!».
«L’oro, è quello che devi mostrarci, altrimenti sarà meglio che tu taccia e te ne torni al tuo Nuovo Mondo», borbottò un uomo armato.
Gli spettatori gli diedero le spalle e tornarono alle loro faccende, qualcuno lo insultò e altri gli lanciarono delle pietre. L’uomo rimase in silenzio, stringendosi nelle spalle. Intristito, cominciò a raccogliere le sue cose per andarsene.
Ambrosio e Conrad tornarono alla taverna e ricominciarono a bere. Thomas aveva le vertigini, il vino gli stava provocando un terribile mal di testa.
«Che ti succede, ragazzo? Non ti piace il vino?». Ambrosio scoppiò a ridere.
«Non mi sento bene», rispose, nauseato.
«Vai fuori a prendere un po’ d’aria e riprenditi!». I due gli ridevano in faccia.
Thomas si alzò, ma faceva molta fatica a mantenersi in equilibrio e inciampò un paio di volte. All’aperto, l’aria fresca lo fece sentire un po’ meglio. In lontananza, vide quel ciarlatano ancora intento a caricare le sue casse sul carro e decise di avvicinarglisi.
«Non è stata una buona serata», gli disse, dandogli una mano a caricare sul carro un pesante pacco.
«Lo so, è che… non sarei dovuto venire in questo posto, ma le strade sono piene di soldati e preferisco dormire in zone fortificate, anche se lì non posso fare il mio spettacolo. Per quello ho bisogno di molto spazio e di un aiutante».
«E perché non ne avete uno?»
«L’ultimo è scappato con tutti i guadagni», rispose. «Maledetto ruffiano! Ma se lo rivedo», e guardò Thomas, «il vostro accento, voi non siete di queste parti».
«No…». Pensò che non fosse una buona idea confessare la sua provenienza a uno sconosciuto. «Sono di Francoforte, siamo in viaggio d’affari».
«Qui?»
«No, in cammino per…», Thomas esitò, «Venezia».
«Ma le rotte tra Francoforte e Venezia non passano da qui».
«Certo». Il vino lo aveva reso più maldestro. «Volevamo andare a Milano per un altro motivo, ma siamo stati allertati della guerra tra Spagna e Francia».
«Avete fatto bene a fermarvi qui, il lago di Como è più sicuro».
«Però voi ve ne state andando».
«Non posso fare altrimenti, questo è il mio lavoro, e poi sono stato in posti peggiori, ho attraversato quasi mezzo mondo».
«Non ci credo». Thomas non riusciva più a controllare quello che gli usciva dalla bocca.
«Potete scommetterci».
«Conoscete le isole delle Spezie?», chiese Thomas.
«Certamente, che Dio le benedica!».
«Le avete visitate?», insistette il giovane.
«No, altrimenti non sarei qui, ve lo assicuro. Per raggiungerle bisogna superare l’Africa e addentrarsi nel mare indiano. Sono necessari molti mesi di viaggio, molti patimenti, e si corrono anche molti pericoli», rispose. «Io ho preso parte al quarto viaggio di Colombo, un vero disastro… e da allora ho giurato che non mi sarei mai più imbarcato».
«Fu così terribile?»
«Finimmo per perdere le nostre quattro navi e naufragammo sull’isola di Santiago. Fummo salvati da una caravella inviata dall’isola Hispaniola e tornammo in Spagna con una nave mercantile», disse l’uomo, osservandolo bene. «Mi chiamo Massimiliano», e gli tese la mano.
«Thomas». Avvicinandosi a lui per salutarlo, inciampò e cadde a terra.
«Avete bevuto troppo vino». Massimiliano lo aiutò a rialzarsi. «Ho qualcosa che vi aiuterà a sentirvi meglio, anche se ci metterà un po’ a fare effetto».
«Non ho bisogno dei vostri preparati, e poi non ho soldi».
«Prendetelo o non arriverete vivo a casa», e tirò fuori un intruglio.
Thomas lo annusò e ne bevve un sorso.
«Basta, ragazzo! Un sorso è sufficiente. Ora scusatemi, ma devo raccogliere tutte le mie cose, domani all’alba parto per il nord. Sono stanco di questa terra e spero di avere più fortuna da altre parti».
«Sicuro che sarà così». Si salutarono e Thomas tornò alla taverna.
Conrad intanto era già completamente ubriaco e Ambrosio era sulla buona strada. Quest’ultimo insistette affinché Thomas bevesse ancora un po’ di vino, ma il ragazzo fece in modo di evitarlo. Il milanese continuò a insistere fino a risultare impertinente. Le guardie e i suoi inservienti non erano più lì. Il Rosso, dal canto suo, era in uno stato talmente pietoso che Thomas fu costretto a trascinarselo dietro di peso fino alla torre, mentre Ambrosio cantava e continuava a dirgli di bere. Thomas portò Conrad nella sua stanza e lo lasciò cadere sul letto.
«Sei un bravo ragazzo», biascicò l’uomo, «mi dispiace che tutto debba finire. Voglio un letto, è l’unica cosa che voglio, un letto tutto mio».
«Che state dicendo?».
L’uomo perse i sensi, stravaccato sopra il letto. La stanza puzzava di vino di scarsa qualità. Anche Thomas si sentiva pieno di alcol, gli girava la testa e faticava a ragionare con lucidità. Ma non poteva lasciarsi sfuggire quell’occasione: non si fidava di Conrad ed era la prima volta che lo aveva alla sua mercé.
Erano soli e nessuno poteva vederli; sapeva che non era corretto, ma Thomas cominciò a perquisirlo. Gli trovò addosso una borsa piena di monete e, per sua sorpresa, alcune lettere.
La curiosità lo spinse ad aprirle e leggerle. Rimase di sasso: le lettere provenivano da Augusta ed erano state inviate dai Welser. Nelle lettere si parlava di una ricompensa accettata e si stabilivano le condizioni per… la consegna di Thomas Babel.
Quell’uomo lo aveva venduto.
Thomas udì degli scricchiolii, rimise al loro posto la borsa, il pugnale e le lettere, si tirò su facendo molta attenzione, si diresse verso la porta e accostò l’orecchio al legno.
Sentì varie voci, dei passi che si avvicinavano e poi ancora voci, forse erano gli uomini di Ambrosio. Non c’era tempo da perdere.
Conrad era disteso a pancia in su e russava. Thomas guardò la finestra e si avvicinò con passo furtivo. Pur essendo piccola e stretta, il ragazzo non esitò un secondo, infilò dentro prima le braccia e poi, a fatica, le spalle. Fuori per metà e per colpa del vino, perse l’equilibrio e da quell’altezza cadde a terra. Si alzò col braccio destro dolorante, riusciva a muoverlo appena.
Sperava di non aver fatto troppo rumore. Intanto, però, gli si stavano schiarendo le idee: forse l’intruglio del napoletano cominciava a fare effetto. Corse alla stalla e sellò uno dei cavalli, ma ogni movimento gli risultava doloroso. Riuscì ugualmente a salire in sella e a fuggire proprio quando sentì le grida di allarme. Galoppò come se non ci fosse un domani per le strade strette di Bellagio fino a raggiungere la porta della città, ma la trovò chiusa e sorvegliata da uomini armati di picche. Guardò su proprio nel momento in cui la sentinella stava accendendo la miccia dell’archibugio. Fece girare il cavallo sulle zampe posteriori e tornò indietro, fuggendo verso il centro della città. Sapeva che da quella parte non sarebbe andato lontano, così girò verso il molo.
Una volta raggiunto il lago, si rese conto di avere una sola opzione. Scese da cavallo e gli diede una pacca sul dorso per farlo allontanare verso la parte opposta della città. Volse lo sguardo in direzione delle imbarcazioni. Thomas non ne aveva mai usata una, ma immaginò che non dovesse essere tanto difficile. Tra quelle ormeggiate ne vide una più piccola e pensò che facesse al caso suo. La staccò dall’ormeggio e ci saltò su, afferrò i remi e, cercando di fare meno rumore possibile, a poco a poco cominciò ad avanzare verso il centro del lago di Como, remando con più forza col braccio sinistro, perché l’altro continuava a fargli male.
Era una fuga disperata, ma cos’altro poteva fare?