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Itaca
L’isola vantava pochi rilievi e morbide colline verso la sua regione centrale, che era leggermente più alta. Se i portoghesi vi facevano tappa in segreto durante le loro traversate, era normale che fosse disabitata. Ciononostante, Thomas non si fidava. Inoltre, poteva arrivare da un momento all’altro una barca spagnola in ricognizione, perché non erano poi così lontani dall’Hispaniola.
La capanna nella radura era in pessime condizioni. Il tetto, formato da grandi rami con foglie larghe e piatte, si era infossato. Fu la prima cosa che provarono a riparare per avere un riparo in caso di pioggia, perché non sapevano con precisione quanti giorni avrebbero dovuto attendere prima dell’arrivo dei portoghesi.
Dentro non c’era molto spazio, perché la maggior parte della capanna era occupata dalle casse sbarcate. Era rimasta solo una piccola porzione sgombra, proprio davanti all’entrata.
«E se non viene nessuno?», domandò Úrsula mentre erano seduti in spiaggia, sulla sabbia, a contemplare la vastità dell’oceano.
«Durante il suo viaggio a Itaca, Ulisse affrontò una terribile tempesta: tuoni, fulmini, onde gigantesche… la sua nave si spezzò a metà come un fragile bastoncino e tutti i membri dell’equipaggio parvero annegare. Tutti meno Ulisse, che riuscì ad aggrapparsi a un tronco».
«E cosa ne fu di lui?»
«Le correnti lo trascinarono alla deriva per nove giorni, finché le onde non lo spinsero a riva, su una spiaggia come questa. Ulisse era arrivato sull’isola di Calipso, una dea immortale, di una bellezza assoluta, che non conosceva la vecchiaia né la morte, e che oltretutto era irresistibilmente attratta dal sesso».
«Che casualità che gli uomini immaginino una dea così… Non ce la vedo una donna a descrivere una divinità con tali attributi. Chissà perché, eh?»
«Hai pienamente ragione. Ma ascoltami, perché nelle storie di Omero è racchiuso tutto il sapere umano…».
«Continua, ti prego», e Úrsula sorrise. «Sono impaziente di sapere come finisce la storia».
«Come ti stavo dicendo, Calipso era bellissima, e sulla sua isola gli uomini potevano trovare tutto ciò che potevano sognare: deliziosi manicaretti, un clima mite, paesaggi mozzafiato e un esercito di ninfe ammaliatrici pronte a esaudire ogni desiderio dei loro amanti».
«Come immaginavo… il paradiso», lo interruppe Úrsula con un risolino.
«Esatto. Un luogo fuori dal mondo, dove il tempo si è fermato e dove tutto è perfetto».
«Per caso pensi che questa sia l’isola di Calipso?»
«Semmai penso che tu potresti essere la mia dea. E che qua tu e io abbiamo tutto ciò che abbiamo sempre sognato».
«Thomas…».
«Dimmi, Úrsula, ti ci vedi a vivere qui con me fino alla fine dei tuoi giorni?»
«Su quest’isola deserta, nel bel mezzo del nulla?», domandò lei con un mezzo sorriso.
«Quando vivevamo ad Augusta, da bambini, era tutto così diverso. Non avrei mai immaginato di fare le cose che ho fatto, né di potermi trasformare nell’uomo che sono diventato».
«Ti penti di qualcosa?»
«Sì, ho commesso molti errori, questo è vero. Sono stato impulsivo e molto ingenuo, ma non mi sono mai arreso. Credo sia questo l’importante».
«Ciascuno di noi soffre, Thomas. A volte penso che i momenti felici nella vita di una persona si possano contare sulle dita di una mano, mentre per contare quelli brutti non basterebbero neanche tutte le stelle del firmamento…».
«È così, mia cara, ma adesso siamo qui, insieme. Da soli su un’isola del Nuovo Mondo, dove nessuno può dirci cosa dobbiamo fare o toglierci nulla».
«Da soli? Ricorda che siamo accompagnati da dodici maiali, molto gagliardi», puntualizzò Úrsula.
«Certo, come ho fatto a dimenticarmene?», e si misero a ridere. «In vita mia ho sempre cercato di fare la cosa che credevo più giusta».
«Ma cosa è giusto e cosa è sbagliato?»
«La cosa giusta è quella dettata dal cuore, non dalla ragione, né da chi ti circonda e nemmeno dalla legge, imposta da chi ci governa». Thomas sospirò. «La cosa giusta è quella che senti dentro».
«E che cosa dice questo cuore di cui tanto parli?»
«Cosa dice il mio cuore? Mi sta suggerendo di baciarti».
«E perché non lo fai?».
Fu molto più di un bacio. Furono molte cose insieme, tanto che Thomas non sarebbe mai riuscito a ricordarle tutte. Ma le sentì una per una: l’amore della sua vita, l’infanzia stroncata, una vita piena di ruzzoloni, di errori commessi. Fino ad arrivare a quel bacio. Si era chiuso il cerchio; la sua era stata un’avventura circolare per tornare al punto di partenza. Un inizio per arrivare alla sua conclusione. E in quel bacio c’era Úrsula, perché c’era sempre stata lei, anche se a volte se ne era dimenticato. Per questo non poteva essere nessun’altra. Tutto esigeva un viaggio, una sofferenza, anche solo per recuperare ciò che si era perduto, come diceva Omero.
Non fu un bacio solo, furono molti baci. E carezze per esplorarsi a vicenda, e amarsi, annusarsi, abbracciarsi. Furono l’amore e la passione, fu quello che doveva essere da sempre.
Furono loro.
E diventarono un tutt’uno.
Furono svegliati da alcuni rumori e da varie voci. Thomas si svegliò di soprassalto e saltò su dal giaciglio di foglie sul quale avevano dormito. Vide una barca avvicinarsi all’isola e più in lontananza, all’orizzonte, scorse altre tre navi, tra le quali c’era almeno un galeone.
«Sono i portoghesi?». Úrsula, sdraiata al suo fianco, si tirò su.
«Credo di sì. Rivestiamoci, svelta».
«E poi?»
«Non lo so. Tu credi nella fortuna, Úrsula, amore mio? Nei segni del destino?»
«Ti ho ritrovato dopo vent’anni su un’isola remota all’altro capo del mondo. Destino, fortuna, caso… Chiamalo come vuoi, ma non abbiamo sofferto per nulla. Io credo in noi due».
«Hai ragione, Úrsula. Dobbiamo credere in noi due».
E si baciarono.
Uscirono dalla capanna, mostrandosi agli uomini che stavano scendendo a terra. Questi si allarmarono e presero posizione, sparpagliandosi sulla spiaggia e sollevando gli archibugi che portavano a tracolla. Due di loro si avvicinarono a Thomas e Úrsula, uno protetto da una corazza e con una spada in mano, l’altro meno giovane, che non sguainò nemmeno l’arma.
«Chi siete?», domandò in portoghese.
«Abbiamo sorvegliato i viveri, non manca nulla», rispose Thomas in castigliano. «Siamo Thomas e Úrsula Babel».
«Non sono spagnoli!». L’uomo con la corazza si agitò e alzò una mano.
«Aspetta, lasciali parlare», gli ordinò l’altro, che sembrava al comando del gruppo. «C’è qualcun altro?», gli chiese poi, stavolta in castigliano.
«Solo noi e dodici maiali».
«Io sono Jorge de Meneses, navigatore di Sua Maestà il re Juan iii di Portogallo, e questa è la mia flotta. Nessuno deve sapere che ci riforniamo qui, tantomeno gli spagnoli».
«Noi non siamo spagnoli, siamo tedeschi. Dovete sapere che l’imperatore ha ceduto una parte delle terre del Nuovo Mondo ai Welser», intervenne Úrsula con tono deciso.
«Non è possibile…».
«Temo di sì, invece», ribadì lei. «Siamo fuggiti dall’Hispaniola e chiediamo la clemenza di re Juan iii, nonché il permesso di farci tornare sulla terraferma».
«Siamo cristiani e preghiamo che Iddio ci aiuti», aggiunse Thomas.
«Tedeschi… Voi due siete proprio l’ultima cosa in cui mi sarei aspettato di imbattermi in questo viaggio, dico davvero».
«Vi stiamo chiedendo aiuto. Se ci portate con voi sulla costa, vi pagheremo e potremo lavorare sulle vostre navi», disse Thomas.
«Non stiamo puntando verso la costa».
«E dove state andando? Più a sud? Al Rio de la Plata?»
«Vedo che conoscete la cartografia delle Indie». Jorge de Meneses fece una smorfia. «Voi cosa ne pensate?», domandò all’altro portoghese.
«Non possiamo lasciarli qui, ormai sanno che quest’isola è il nostro scalo per gli approvvigionamenti. E non possiamo neanche ucciderli, non ci hanno fatto nulla di male. Sembrano davvero fuggiti dagli spagnoli e ci hanno detto di essere cristiani, ma… portarli con noi? Neanche per idea!».
«Potremmo venire con voi finché non arriverete alla costa», suggerì Úrsula, nascondendo quanto più possibile la sua disperazione.
Jorge de Meneses le lanciò un’occhiata, dubbioso.
«Non siamo lontani dallo stretto di Capo delle Vergini. Un capitano portoghese al comando di una flotta spagnola, Magellano, lo attraversò per la prima volta il 21 di ottobre. Sapete che festività ricorre in questa data?»
«Ma certo, la mia! Sant’Orsola!».
«Un momento», intervenne Thomas, «attraverserete quello stretto? È molto a sud. Dove siete diretti?».
I due portoghesi si scambiarono uno sguardo, ma non gli risposero. Allora Thomas visualizzò una mappa, rievocò il ricordo del globo terracqueo dello studio di don Fernando, e si sentì sopraffare dall’emozione di tutta una vita.
«Che ti prende, Thomas?», chiese Úrsula, quando vide che il viso del mercante di libri si era illuminato.
«Santo cielo… non può essere vero. È destino…». Thomas fece un passo indietro e prese Úrsula per mano. «Dove siete diretti, signori? Parlate, vi prego».
«Perché fai questa faccia? Che cosa succede?», disse lei, agitata, sussurrandogli all’orecchio.
«Non siamo venuti nelle Indie», Jorge de Meneses riprese la parola. «Abbiamo solo fatto scalo qua, ma la nostra flotta è diretta molto più lontano. D’accordo, salite a bordo e vi lasceremo sulla terraferma, ma dovete sapere che la nostra destinazione finale sono le isole delle Spezie. Vi porteremo lì».