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Dafne

 

 

 

 

 

 

 

 

Rosalía era nervosa e non riusciva a concentrarsi sui suoi compiti. Era la prima volta che le succedeva da quando l’avevano portata al palazzo. Ne era passato di tempo; don Fernando Colombo l’aveva comprata quando era solo una bambina, insieme a sua madre. Una donna forte, che le aveva dato tutto l’amore di cui una madre poteva essere capace e le aveva raccontato storie della sua terra natia e dei suoi antenati africani.

Quando sua madre era morta, Rosalía aveva appena dodici anni. Era stata stroncata da una febbre alta che l’aveva costretta a letto e se l’era portata via in meno di una settimana. Da allora la schiava bambina era stata affidata alle cure della cuoca, doña Manuela. Don Fernando non l’aveva mai sfiorata neppure con un dito e la trattava con rispetto, malgrado fosse una schiava. Anzi, non l’aveva nemmeno marchiata o privata della libertà, ma non poteva uscire dal palazzo se non in casi isolati, ossia quando doveva andare a fare delle commissioni per doña Manuela. Rosalía si sentiva al sicuro all’interno del lussuoso palazzo, ma più cresceva e meno si sentiva libera.

Rinchiusa là dentro com’era, ciò che le piaceva di più era il giardino, con le sue centinaia di piante, gli alberi maestosi e gli uccelli che andavano ad appollaiarsi tra i loro rami frondosi. Per questo si era sentita attratta da quel giardiniere silenzioso e discreto, che a sua volta si rifugiava in mezzo alla vegetazione. Erano diventati amici.

Rosalía conosceva quei terreni come il palmo della sua mano. Aveva visto crescere quegli alberi e quelle piante, conosceva i loro frutti, sapeva quando perdevano le foglie, di quanta acqua avevano bisogno. Quel giardino era tutto il suo mondo.

Ciononostante, negli ultimi tempi aveva cominciato ad andarle stretto. Nelle poche occasioni in cui usciva per andare in città, restava affascinata da tutto quello che vedeva. Gli edifici imponenti, i negozi pieni di merci, i vestiti dei passanti, i gioielli dei nobili. Tutto così vicino, e al tempo stesso così inarrivabile.

Ormai Rosalía aveva le idee chiare e sapeva che doveva fuggire da Siviglia per raggiungere un mondo migliore, e doveva farlo il prima possibile.

Thomas e Santiago si salutarono davanti alla Puerta de Carmona. Il vecchio soldato partì alla volta di Valladolid e Barcellona come se stesse tornando in guerra, deciso e concentrato sulla sua missione. Thomas non sapeva cosa ci fosse di vero e cosa di esagerato nelle storie del soldato, ma facevano parte del personaggio e le trovava curiose.

Non appena si separarono, ebbe la sensazione di essere osservato, ma guardandosi attorno non riuscì a scorgere nessuno. Quel giorno aveva molto da fare, così imboccò subito calle Sierpes, che era abbastanza frequentata. Avvicinandosi alla cattedrale, cominciò a scorgere una folla più numerosa, e quando arrivò al tempio vide le scalinate affollate di mercanti e clienti. Gli affari più importanti della città si concludevano sui gradini della cattedrale, all’ombra della Giralda, come un’onnipresente guardiana che vigilava su tutto quello che succedeva in città.

Aveva maturato un’idea, ed era il motivo per cui si era recato lì. Cercò qualcuno disposto a offrirgli un passaggio non convenzionale per le Indie e gli suggerirono di parlare con un portoghese, un certo André. Glielo descrissero come un uomo basso, con pochi capelli e dei baffi esagerati, che era sempre accompagnato da un fiero cane di razza nordica. Se quando ti avvicinavi ad André il suo cane abbaiava, potevi anche dimenticarti di fare affari con lui. Se invece ti si strusciava contro le gambe, potevi ottenere uno sconto di tutto rispetto. Il Portoghese era fatto così.

Lo trovò davanti a calle de los Genoveses, accanto a uno splendido animale che stava riposando ai suoi piedi. Thomas provò ad avvicinarsi con calma, per non disturbare il cane, ma questi si rialzò sulle quattro zampe non appena lo vide arrivare, lo annusò e diede l’impressione di volersi mettere ad abbaiare. Quando gli si avvicinò ulteriormente, però, la bestia si tranquillizzò e si sdraiò di nuovo a terra.

«Buongiorno, mi hanno detto che sei in grado di procurare dei passaggi in nave a chi desidera imbarcarsi per il Nuovo Mondo».

«Non per gli stranieri», rispose il Portoghese senza tanti giri di parole.

«Come fai a sapere che sono uno straniero?»

«Si capisce da come parli, dal tuo aspetto, persino dal tuo odore. Sei un forestiero».

«Ma ci sarà un modo per imbarcarsi comunque».

«Impossibile, non sai come funziona. La Casa de Contratación controlla ciascuna nave di ogni flotta, i membri dell’equipaggio, le merci, la rotta. Non è possibile far salire a bordo uno straniero come te, ti scoprirebbero subito».

«Se è un problema di soldi…».

«Te l’ho appena detto, è proibito. Scordati di partire per le Indie. Se un giorno cambieranno la legge, torna di corsa al molo, perché non sarai l’unico».

Thomas non si era aspettato una risposta del genere. Pensava che avrebbe avuto più fortuna con il Portoghese di quanta ne aveva avuta con l’Indio, ma si era sbagliato.

Lasciò il Portoghese e scese verso la Puerta de Jerez, dalla quale si poteva osservare il letto di un discreto corso d’acqua. A est la città era protetta dal Tagarete, un fiumiciattolo che fungeva da fossato naturale per le mura di Siviglia e si snodava dalla sua fonte, chiamata Calderón, fino al fiume, passando sotto la Puerta de Jerez, parallelamente alle mura, prima di deviare verso l’Alcázar e gettarsi nel Betis accanto alla Torre dell’Oro. Era talmente asciutto che a tratti il greto era quasi secco, con pozze d’acqua putrida e maleodorante.

L’insalubrità era dovuta al fatto che, ormai da secoli, il mattatoio, le concerie e le lavatrici della lana dei quartieri di La Calzada e San Bernardo, ma anche vari panifici e una fonderia, sversavano i loro rifiuti in quel corso d’acqua. Con l’arrivo dell’estate, si riempiva di fastidiose zanzare.

Un bambino si fermò a pochi metri da lui e si mise a fissarlo. Thomas si allarmò e si guardò attorno, ma nei paraggi non c’era nessun altro. Il ragazzino fece un passo avanti e, un attimo dopo, gli si parò di fronte.

«Tu, Sebas ti aspetta sul ponte di barche», e corse via.

Thomas pensò di inseguirlo, di chiedergli altri dettagli, ma ormai il bambino era già troppo lontano. Sospirò e ammirò una delle navi in partenza per il Nuovo Mondo.

“Un giorno o l’altro lo farò”, pensò. “È deciso”.

Si rimise in marcia verso la Torre dell’Oro, la dogana del porto, dove tutti dovevano andare a pagare le imposte. Osservò la muraglia, un tempo eretta a difesa contro i nemici esterni e ormai utile solo come protezione dal fiume e dalle sue esondazioni. Come quella a cui aveva assistito poco dopo il suo arrivo in città. Fuori dalle mura, le acque coprivano e devastavano le coltivazioni e i campi seminati, rovinando i raccolti e interrompendo le comunicazioni per intere settimane. In certe occasioni, la violenza dell’inondazione era tale da arrivare a distruggere il ponte di barche, isolando Siviglia da Triana e dai quartieri limitrofi.

Thomas sapeva che le mura fungevano anche da cordone sanitario e isolavano le città dai malati in tempo di epidemie. Siviglia non faceva eccezione. Non appena si avevano notizie di un focolaio contagioso, si mettevano dei soldati di guardia alle porte per essere certi che chi entrava non arrivasse da luoghi infetti. Una volta presa la decisione di sfuggire al contagio, la città chiudeva i battenti.

Si lasciò alle spalle la Torre dell’Oro e proseguì in direzione dell’Arenal, passando accanto al mercato del Malbaratillo e verso il ponte di barche.

«Che cosa ci fa un uomo della levatura di vostra grazia da queste parti?», domandò all’improvviso una voce alle sue spalle.

«Sebas…». Thomas gli sorrise.

«In carne e ossa. Che cosa ci facevi sulle scalinate della cattedrale? Stavi parlando con il Portoghese? Quell’uomo è un ruffiano. Vende i biglietti più cari che ci siano per le Indie».

«E anche i più difficili da ottenere, almeno a suo dire».

«Davvero insisti ancora con questa storia?». Sebas si schiarì la voce. «Perché vuoi raggiungere le Indie? Questa ossessione ti acceca e non ti permette di vedere la realtà. Guardati attorno, sei a Siviglia! Una corte senza re, una città che vanta l’opulenza e la ricchezza di due mondi, il Vecchio e il Nuovo, che si incontrano per conferire in piazza e tirare sul prezzo delle loro mercanzie».

«Non è l’oro a interessarmi».

«L’oro scarseggia, amico mio. Quello che arriva dal Nuovo Mondo è l’argento, e in quantità inimmaginabili». A Sebas brillavano gli occhi.

«È uguale».

«Siviglia è tutto e il contrario di tutto. Sai perché ha un così buon profumo a dispetto del sudiciume che infesta le sue strade?»

«A dire il vero», confessò Thomas, «non mi sono mai fermato a rifletterci».

«Ma la gente di questa città sì che ci ha pensato, e ha trovato una soluzione. Siviglia nasconde la puzza con i giardini, con gli orti e con la sua abbondante vegetazione».

«Quindi è per questo che ci sono così tanti giardini?»

«Dicono che ce ne siano più di duecento, tra palazzi e conventi», spiegò Sebas. «E poi ci sono migliaia di case, con i loro cortili mattonati, i porticati e i pozzi, e nei cortili non mancano mai né piante né vasi, gelsomini, rose, cedri, aranci, mirti e mille altre specie di fiori».

«Chi te l’ha raccontato?»

«Un monaco. Che te ne pare? È perché tu ti renda conto che non tutto è come sembra».

«Non ne dubito». Thomas lo guardò negli occhi. «Ma perché mi hai fatto chiamare? Hai scoperto chi ha ucciso Alonso?»

«Ogni cosa a suo tempo», e Sebas gli si avvicinò. «Prima dimmi, lo scrittore che stai cercando, hai scoperto qualcos’altro?»

«Dopo aver scritto il suo libro, Moncín si procurò dei biglietti per il Nuovo Mondo, ma adesso non sono così sicuro che sia salito su quella nave. Secondo me rimase a Siviglia. Cos’accadde dopo non lo so ancora. A quanto pare si era fatto dei nemici, perciò probabilmente sarà morto. Sono passati vent’anni…».

«Il contenuto di quel libro è così compromettente da giustificare il fatto che continuiate a cercarlo in ogni dove dopo due decenni?»

«Forse sì. Le sue pagine potrebbero alludere a una storia d’amore con una donna dell’alta società, una donna sposata. Immagina le conseguenze se diventasse di dominio pubblico…».

«Interessante, ma adesso dimentichiamocene. Tieni», e gli diede una tonaca da novizio, come quella che avevano usato per andare al palazzo di Colombo.

«Di nuovo… e adesso perché?»

«Ti stanno tenendo d’occhio. Meglio che tu la indossi, per precauzione».

«Chi è che mi sta tenendo d’occhio?»

«Non ne sono ancora sicuro, ma dammi retta».

Thomas prese la tonaca e si fece coraggio.

«E se ci scoprono mentre ci spacciamo per due religiosi?»

«Vuoi trovare l’assassino di Alonso, no? Allora mettiti quella tonaca e andiamo. E poi ti sta bene, Tomasito. Hai proprio una faccia da pretino».

«Che diavolo vorresti dire?».

Sebas si mise a ridere.

«Dove mi stai portando?». Di fronte a quella domanda, Sebas si strinse nelle spalle. «Non ho alcuna intenzione di passare per Triana».

«Mi hai chiesto di trovare l’assassino del tuo capo, quindi eccoti accontentato. La risposta è dall’altra parte del fiume», e cominciò ad attraversare il ponte.

Thomas maledisse la sua malasorte e Sebas, che lo faceva diventare matto. Sapeva che non doveva fidarsi di lui, ma poteva anche avere ragione. Alla fine, sollevò l’orlo della tonaca da novizio e lo seguì sulla passerella di legno posta sopra le imbarcazioni, che collegava le due sponde del fiume.

Mettere di nuovo piede sulla terraferma significava arrivare in un’altra città, perché, come si soleva dire, Siviglia non era Triana. Tanto per cominciare, si veniva accolti dall’imponente profilo del castello di San Giorgio, sede della Santa Inquisizione. Non molto distante c’era la chiesa di Sant’Anna e, in quel labirinto di viuzze, le taverne e le locande si mescolavano con i laboratori dei vasai, le fucine, le baracche e le umili abitazioni del popolino.

«Dove stiamo andando?», mormorò Thomas.

«Ssst, potrebbero sentirti. C’è sempre qualcuno in ascolto, Thomas. Questa è la prima lezione che devi imparare. Per quanto tu ti nasconda, per quanto sia buio o lontano il tuo rifugio, qualcuno ti osserverà sempre».

Arrivati davanti a una porta, Sebas bussò tre volte di seguito, aspettò e bussò di nuovo. La porta si aprì e dall’altro lato videro un bestione dagli occhi a mandorla e i capelli lunghi, legati in una coda di cavallo che gli arrivava fino alla vita. Aveva la stazza di almeno due uomini e braccia grandi quanto gambe.

Li osservò, bofonchiò qualcosa e Sebas comunicò con lui a gesti. L’uomo di guardia alla porta si fece da parte e li lasciò passare.

«C’è qualche posto in cui non riesci a entrare?»

«Per ora no», rispose Sebas.

Superata una seconda porta, a sua volta sorvegliata, entrarono in una stanza del tutto diversa, inondata di luce e piena di musica, persone, vino, odori intensi e un grande calore.

«Triana è un quartiere di marinai. La chiesa di Sant’Anna è stata costruita da questo lato del fiume proprio perché non entrassero in città. Sant’Anna è la protettrice dei marinai».

«E che posto è questo?», domandò Thomas, senza riuscire a nascondere il suo stupore.

«Passando per queste viuzze, l’ultimo re moro di Siviglia, Al-Mutamid, si innamorò di una schiava di Triana, Itimad, che diventò regina. Quando Itimad chiese al re di vedere la neve, lui ordinò di piantare dei mandorli nella sua sierra di Cordoba, affinché al momento della fioritura somigliasse a un paesaggio innevato agli occhi della sua amata».

«Bella storia, ma risale a tanto tempo fa».

«Certo, ma ci sono leggende che non si dimenticano mai. Non è l’unica qua a Siviglia, e devi conoscerle tutte per trovare quella che ti piace di più». Sebas sorrise. «Forza, rilassati e goditi la vita, una volta tanto».

Si avviarono verso una zona piena di tappeti e cuscini sparpagliati sul pavimento, si accomodarono e furono raggiunti da una donna velata, quasi completamente svestita e con una moltitudine di collane attorno al collo.

Versò loro del vino, si inchinò e si ritirò ancheggiando in modo molto sensuale. A Thomas ricordò l’andatura di Rosalía.

«Qua a Siviglia gli assassini abbondano. È un settore fiorente, perché ci sono molte attività e c’è sempre qualche concorrente da togliersi dai piedi», mormorò Sebas mentre beveva il vino.

«Molto incoraggiante…».

«È un lavoro come un altro. C’è chi ruba, chi truffa, chi estorce denaro e chi uccide. A Siviglia nessuno ti regalerà nulla, per cui abbiamo bisogno di qualcosa da barattare in cambio di informazioni sull’assassino del tuo capo».

«Ma io non ho molto denaro».

«Mi hai frainteso, Thomas. Quello di cui abbiamo bisogno sono altre informazioni con cui mercanteggiare. A Siviglia non ci sono né oro né argento che tengano. Ciò che conta sono le informazioni».

«E io cosa posso sapere?»

«Dimentichi dove lavori. Vivi nel palazzo di Colombo», gli ricordò Sebas, «il figlio dello scopritore del Nuovo Mondo. E non solo, perché è anche un cartografo della Casa de Contratación ed è stato consigliere dell’imperatore».

«Sì, questo è vero, ma cosa mi stai chiedendo di fare, esattamente?»

«Ascoltami, è semplice. Se vuoi scoprire chi è l’assassino, dobbiamo dare in cambio qualcosa di succoso. Abbiamo bisogno di un dettaglio importante, che ci dia la possibilità di negoziare».

«Mi stai chiedendo di tradire don Fernando! È inammissibile».

«Calmati», e Sebas gli fece cenno di abbassare la voce. «Ti ho solamente chiesto qualcosa con cui negoziare, non di mettere in pericolo Colombo».

«Qualcosa del tipo?»

«Informazioni sul Nuovo Mondo, un particolare sconosciuto di un’enclave, di una mappa, di una flotta che stanno formando e di cui ancora non si sa niente, o di una nuova rotta…», gli sussurrò all’orecchio. «Qualcosa per cui valga la pena uccidere, per intenderci. Qualcosa che ti capiti di sentire, di sapere prima che diventi di dominio pubblico, qualcosa che ci fornisca una buona opportunità. Oppure un segreto che sta per essere divulgato».

«E come faccio a entrare in possesso di certe informazioni?»

«Hai accesso al palazzo, e lì non è che possa entrare chiunque, te l’assicuro. Quel posto è peggio di un maledetto castello». Poi Sebas si schiarì la voce. «Alcuni sostengono che Cristoforo Colombo abbia scoperto le Indie per caso, mentre altri pensano che sapesse fin troppo bene dove stava andando. Suo figlio possiede tutti i libri del padre, li custodisce nella sua biblioteca. Prova ad arrivare a quei libri, potrebbero farci capire com’è andata realmente».

«E che interesse avrebbe?»

«Molto. Se Colombo arrivò nelle Indie per caso, probabilmente dopo provò a giustificarlo, e quei libri potrebbero esserne la dimostrazione. Per anni don Fernando ha litigato con la Corona per i diritti accampati dal padre sulle terre scoperte. Non stiamo parlando di oro o di argento, ma di possedimenti immensi».

Era la seconda volta che insinuavano che la biblioteca contenesse dei libri compromettenti. Anche se in quest’occasione non si trattava dei testi di Erasmo e Lutero, ma della verità sulla scoperta del Nuovo Mondo.

La situazione si stava complicando, e molto.

In quel momento la musica cessò. I musicisti cambiarono ritmo e iniziarono a suonare una melodia più movimentata, e subito dopo tre esotiche ballerine raggiunsero il centro della sala.

Thomas non lo voleva ammettere, ma era affascinato da quel luogo. Sembrava di essere in Oriente, in uno di quei palazzi dei sultani di cui tanto aveva letto, o nella lussuosa epoca musulmana vissuta dalla stessa Siviglia. Era come essere tornati indietro nel tempo; era sempre nello stesso posto, ma in un’altra epoca. Lo sorprendeva sempre, quella città.