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Il Guadalquivir
Tra i diversi strumenti inventati dall’uomo, il più spaventoso è il libro; tutti gli altri sono estensioni del suo corpo… Solo il libro è un’estensione dell’immaginazione e della memoria.
Jorge Luis Borges
Maggio 1523
Giunti a Siviglia, Thomas rimase impressionato dalla vista spettacolare che gli apparve davanti agli occhi. I galeoni risalivano il fiume che alcuni chiamavano Betis, come all’epoca romana, e altri Guad al-Quivir, in ricordo del passato musulmano della città. Quelle imponenti imbarcazioni, con le loro vele al vento, i loro carichi di uomini e ricchezze, creavano un paesaggio stupefacente. Thomas non avrebbe mai potuto immaginare un porto come quello, la folla, i rumori, le grida, il movimento incessante di ogni tipo di persona, animale o cosa. Lui, che preferiva il silenzio, rimase impressionato da tutto quel viavai. Anversa era tranquilla, pacata, quasi un’oasi di pace se paragonata a Siviglia.
In lontananza si scorgeva l’alto campanile della cattedrale, mentre un muro fortificato circondava l’intera città, con un arenile a separarla dal fiume. Dall’altro lato c’era un sobborgo grande quanto Annecy o Bellagio, e in fondo, quasi sul letto del fiume, una torre difensiva sembrava proteggere il porto.
Proseguirono verso una delle porte d’ingresso e Thomas cercò di guardare ogni cosa, ma faticava a catturare ogni dettaglio, tale era la magnificenza della città.
Le falegnamerie e le corporazioni in generale stavano facendo incetta di materiali, mentre taverne e bordelli si preparavano a ricevere marinai tanto assetati di alcol e di donne quanto pieni di soldi.
«Chiudi la bocca e fai l’indifferente, ragazzo, altrimenti ti prenderanno per un povero moccioso», lo riprese Alonso. «So che la prima volta è impressionante, ma fai in modo che lo stupore non ti si legga in faccia».
«Questa città è incredibile».
«Sii più discreto! Ti usciranno gli occhi fuori dalle orbite».
«Scusami», disse Thomas, cercando di cambiare atteggiamento.
«Questa è la città più ricca del mondo», affermò Alonso, «ci scommetterei la testa che quelle navi sono cariche d’oro e ricchezze. A Siviglia bisogna fare molta attenzione, è facile perdere la testa».
«Per l’oro?»
«Per tutto, Thomas. Dimenticati di qualsiasi altro posto in cui sei stato, qui ci sono altre regole e tutti i peccati possibili a portata di mano».
Percorsero i bastioni fino a raggiungere l’arenile, un enorme viale tra le mura fortificate e il fiume. Varie imbarcazioni stavano scaricando una grande varietà di prodotti: piante, schiavi, tesori, alimenti, armi e un amalgama infinito di colori. Le varie lingue si mescolavano tra di loro: portoghese, arabo, fiammingo, castigliano… e tutti si intendevano come se parlassero la stessa lingua.
«Siviglia è immensa, dicono che presto arriverà a centomila abitanti e che solo Roma, Venezia e Napoli la superino».
«Questo non credo sia possibile».
«E cosa ne sai tu? Sembrava impossibile anche la scoperta delle Indie, e invece guarda tutto quello che arriva da lì», disse Alonso, indicando un animale che era una via di mezzo tra una pecora e un asino.
«È un lama», e Thomas sorrise, ripensando a Luna.
«E tu come lo sai?»
«So molte cose sul Nuovo Mondo, ho avuto un ottimo maestro».
Il mercante di libri lo guardò sorpreso, ma anche soddisfatto per aver scelto bene il proprio aiutante.
Tra il fiume e le mura, il cosiddetto Arenal era pieno di gente e imbarcazioni più piccole che giungevano dal fiume. Il porto era più avanti, ma lì gettavano l’àncora solo le navi più grosse e i galeoni. Thomas tentò di paragonare Siviglia ad Anversa, ma non trovò alcuna similitudine tra loro, nonostante fossero i porti più grandi dell’intero regno cristiano.
Molte delle imbarcazioni che giungevano all’Arenal rifornivano le navi del porto, mentre altre erano di pescatori, commercianti o lavoratori che venivano dall’altra sponda del fiume, perché Siviglia aveva un unico ponte ed era fatto dalle imbarcazioni. Di fronte alle mura della città c’erano una moltitudine di capanne e una collinetta, ai cui piedi era ubicato quello che sembrava essere a tutti gli effetti un affollato mercato. Sull’altra sponda si intravedeva un ampio sobborgo, dal quale spiccava la figura di un enorme castello scuro, formato da dieci torri e alte mura di cinta.
«Ora ti devi concentrare, Thomas. Siviglia può risucchiarti se non stai attento».
«Non mi lascerò confondere».
«Meglio per te», affermò Alonso.
«Che facciamo?»
«Le librerie», rispose, «dobbiamo visitarle tutte. Se avremo fortuna, ne troveremo una che abbia l’esemplare di Amori impossibili, o magari si ricorderanno dell’autore Moncín».
«E da quale cominciamo?»
«Per prima cosa dobbiamo localizzare la via in cui si trovano tutte le librerie. I quartieri sono uguali in ogni città, le corporazioni si raggruppano tutte nella stessa zona, quindi dobbiamo soltanto scoprire in quale quartiere di Siviglia si vendono libri».
Chiesero a un paio di sacerdoti, che li indirizzarono nei pressi della cattedrale. Faceva molto caldo quella mattina e Thomas non era abituato a quelle temperature. Mentre percorrevano le strette viuzze cittadine erano protetti dall’ombra, ma ogni volta che raggiungevano una piazza si ritrovavano sotto un sole implacabile.
«Ti vedo accaldato, Thomas», rideva Alonso. «Con voi del nord è sempre così, un po’ di sole e non valete più nulla».
«Un po’… ma fa sempre così caldo?»
«Certo che no, oggi fa fresco». Alonso rise di gusto.
Thomas sentiva talmente tanto caldo da fare fatica a respirare, e non sopportava neppure il peso della sua borsa; se non fosse stato per il fatto che conteneva tutti i suoi averi, l’avrebbe lasciata in un angolo qualsiasi della città.
Raggiunsero una libreria dall’aspetto curato, con un telone che la proteggeva dal sole all’esterno mentre l’interno era estremamente fresco. Sugli scaffali erano esposti libri di ogni genere. Thomas analizzò la stampa di alcuni di essi: due colonne, corsivo all’inizio di ogni capitolo, ma la carta non sembrava di buona qualità, era color ocra, e ad Anversa nessuno avrebbe mai osato usare una pasta tanto scura e ruvida.
«Signori, in cosa posso aiutarvi?», chiese un libraio dalle spalle grandi e i capelli pettinati all’indietro.
«Veniamo da molto lontano, attratti dalla fama di questo posto», si vantò Alonso.
«Cosa mi dite!», e l’uomo si illuminò in volto.
«Esattamente ciò che avete sentito. Qualche mese fa dei conoscenti hanno acquistato un libro di sant’Antonio e ne sono rimasti affascinati».
«Di sant’Antonio… quel testo ha solo poche settimane. Eccolo lì», disse, indicando uno degli scaffali in prima fila.
«La questione è che ci hanno parlato di uno scrittore sivigliano e siamo giunti qui col desiderio di comprare una sua opera, e abbiamo pensato che non vi fosse posto migliore di questa famosa libreria».
«Mi compiaccio nel sentirvelo dire. Di quale scrittore si tratta?»
«Di Jaime Moncín».
«Non è un cognome del posto, non mi dice nulla».
«Ci è stato detto che l’autore scriveva in prosa, che è un testo che tratta il tema amoroso in modo abbastanza moderno e peculiare e che presenta stampe di grande qualità».
«Mi spiace, ma non l’ho mai sentito nominare… Jaime Moncín…». Il libraio si soffermò a pensare.
«Che delusione». Alonso fece finta di essere abbattuto. «Veniamo da molto lontano».
«Mi dispiace enormemente, ma vi giuro su santa Giusta e santa Rufina che non conosco quest’autore… e voi dite che è di Siviglia?»
«Così mi è stato assicurato. A quanto pare le stampe del libro sono piuttosto appariscenti e, come vi ho già detto, è un libro sull’amore».
«Mi dispiace ancora di più sapendo che venite da fuori, ma è strano che non lo conosca, se era di qui».
«Non vi angustiate, continueremo a cercare. Molte grazie».
Uscirono dalla libreria e Alonso storse il naso.
«Hai notato il libro di sant’Antonio non appena siamo entrati, vero?», gli chiese Thomas. «Niente male, Alonso».
«Era evidente che era nuovo, il cuoio della copertina era ancora lucido», rispose il mercante di libri. «Non sarà facile questa missione. Andiamo che oggi abbiamo parecchio da fare», e tornò a recuperare il suo buonumore. «Seguimi».
Una dopo l’altra, entrarono in tutte le librerie di Siviglia, facendo le stesse domande e ottenendo sempre le stesse risposte: nessuno conosceva Jaime Moncín.
La giornata stava per finire e non trovarono nessun libraio che potesse aiutarli. Ma Alonso era un instancabile professionista e il mattino seguente fu la volta delle tipografie. Per Thomas non fu affatto piacevole rientrarci. I ricordi gli riaffiorarono alla memoria senza che potesse controllarli.
L’odore, il rumore dei macchinari, i libri appena stampati, gli mancava tutto e gli mancava Edith, quando gli appariva accanto all’improvviso, in negozio o in laboratorio o nella sua stanza. Il costante ricordo della giovane, quello era l’unico che non voleva serbare.
Le tipografie di Siviglia erano molto diverse da quelle fiamminghe e, in generale, Thomas notò che la qualità dei loro lavori era inferiore. La giornata fu lunga e, dopo essere stati in varie tipografie senza risultati, giunsero finalmente alla famosa tipografia Cromberger.
«Questo cognome è tedesco», si azzardò a commentare Thomas.
«Magari sarà anche un tuo parente».
Thomas respirò sollevato quando seppe che il proprietario era nativo di Norimberga e non si trovava a Siviglia, in quanto, oltre alla tipografia, aveva anche altre attività.
«E di certo più redditizi dei libri», bisbigliò Alonso. «Si sa che si pubblicano più libri di quanti siano gli spagnoli in grado di leggerli».
«Non esagerate», lo riprese un uomo dal collo lungo e il naso a punta, «le cose stanno cambiando».
«Sciocchezze, vi dico che non ci sono abbastanza lettori per tanti libri», insistette Alonso. «Che mi dite dello scrittore che stiamo cercando?»
«Che questo cognome, Moncín…».
«Non è di qui, lo sappiamo già. E che altro? Possibile che abbiate stampato una sua opera?»
«Ora non saprei, ma il signor Jacobo lo saprebbe all’istante. Ha un’ottima memoria, ricorda tutto quello che ha pubblicato», disse, con chiaro accento straniero.
«Da quanto lavorate qui?»
«Cinque anni, mi chiamo Juan Pablos».
«Sembrate un uomo deciso, ma non siete spagnolo», sottolineò Alonso.
«Avete buon occhio».
«Più che altro buone orecchie. Siete italiano».
«Esatto, sono venuto qui per imbarcarmi per il Nuovo Mondo, come Cristoforo Colombo».
«Dunque siete un avventuriero!», ribatté Alonso.
«Magari, a noi stranieri non è permesso viaggiare per le Indie, ma sono certo che prima o poi non sarà più così e allora sarò il primo a imbarcarmi e a mettere su una libreria proprio in quelle terre».
«Una libreria nel Nuovo Mondo, di certo non ce ne saranno molte». Alonso sembrava gradire la conversazione con quel dipendente della tipografia Cromberger. «E ditemi, se volete essere così gentile, quando tornerà il proprietario?»
«Non lo so, il signor Jacobo è andato a vedere dei terreni che ha acquistato giù a valle».
«E non avete un registro con tutte le pubblicazioni della tipografia?», insistette Alonso.
«Sì, certo, ma non il tempo di mettermi a consultarlo. Sono molto occupato, come potete vedere».
«Di questo non dovete preoccuparvi, se ne occuperà il mio aiutante, Thomas».
«Dovreste aspettare il signor Jacobo».
«Juan, per favore, non vorrete infastidire il vostro capo con questi piccoli dettagli. Se poteste essere tanto gentile da lasciarci dare un’occhiata…», e lasciò alcune monete sul tavolo. «Per il vostro viaggio per il Nuovo Mondo».
«È che rischio di avere dei problemi».
«Ascoltate, Juan, io non volevo dirvelo, ma non mi resta altra alternativa». Alonso si passò le mani sulla testa e si guardò attorno per assicurarsi di non essere osservato. «Lavoriamo per un nobile molto influente e, se riuscissimo a trovare quel libro, ci pagherebbe la totalità di una nuova pubblicazione dell’opera. Immaginate i benefici, e il vostro capo saprebbe come ricompensarvi, vero?»
«Questo cambia tutto, specie se a me non sottrae del tempo».
«Assolutamente no, farà tutto il mio assistente».
«Allora vi porto i registri. Passate in questa sala, sarà meglio che non vi veda nessuno».
«Molto gentile, si vede che questa è una tipografia seria. L’avevo detto al mio assistente, che è tedesco come il signor Cromberger».
Juan Pablos tornò con due grossi tomi sui quali erano annotati tutti i libri stampati negli ultimi vent’anni; ci sarebbe voluto parecchio tempo. L’italiano insistette affinché fossero molto discreti e li lasciò da soli mentre lui faceva la guardia alla porta.
«Quando tornerà il capo, ti assicuro che non sarà contento di tutto questo», sussurrò Alonso, «quindi cerchiamo il cognome di quello scrittore, cominciamo da quelli più vecchi».
E così fecero, ma, essendo appunti scritti a mano e da mani diverse, Thomas fece molta fatica. A poco a poco cominciò a prendere familiarità con le varie calligrafie. A dire la verità, la tipografia Cromberger aveva avuto un’enorme mole di lavoro, di gran lunga superiore a quella dei Thys. Non era stata sempre gestita da un Cromberger; videro infatti appunti risalenti al secolo precedente, nei quali si menzionavano i due precedenti proprietari: Stanislao Polono e Meinardo Ungut.
Finalmente Thomas trovò il nome che cercavano.
«Eccolo! Guarda, Alonso, qui. Jaime Moncín».
«Ascoltate, Juan!», lo chiamò Alonso. «Venite, per favore».
«Ssst, senza gridare». Juan Pablos arrivò subito e guardò le annotazioni. «Ne sono stati stampati mille esemplari. Sono molti, fatemi vedere meglio».
Thomas si fece da parte e Juan Pablos osservò le annotazioni.
«Sapete quanti ne sono stati venduti?», chiese Alonso.
«Qui appaiono trenta vendite, una tragedia», e il giovane assunse un’aria perplessa. «Non è dal signor Jacobo sbagliare così con una pubblicazione, sebbene… aspettate un momento. Il libro è stato stampato in un periodo precedente, quando Cromberger non era ancora il proprietario».
«E chi era?»
«Il signor Jacobo entrò a lavorare qui come assistente, poi sposò la vedova del primo dei soci, Meinardo Ungut, e dopo pochi anni ne divenne l’unico proprietario».
«Che occasione propizia…».
«Non è da lui sbagliare una pubblicazione».
«Per caso», Alonso guardò più da vicino le annotazioni, «non avrete annotato anche il nome di qualche acquirente?»
«Sono passati quasi vent’anni, ma avete fortuna, qui ce n’è uno: Héctor Sanmartín». Storse il naso. «Sfortunatamente è morto qualche anno fa. Era un famoso collezionista di libri, soprattutto cavallereschi».
«E non sapete cosa ne è stato della sua collezione?»
«Be’, ora che mi ci fate pensare…», e Juan Pablos si alzò. «Un momento».
L’uomo lasciò la sala, e Alonso e Thomas si scambiarono uno sguardo; sembravano essere sulla strada giusta. Juan Pablos tornò accompagnato da una donna.
«Lei è María Ortega e si occupa della correzione dei testi, è la migliore che conosco».
«Non dite così, don Juan».
Era una donna sulla cinquantina, con lo sguardo sincero e la schiena dritta.
«Questi signori vogliono informazioni sulla collezione di Héctor Sanmartín».
«Siamo suoi familiari», aggiunse Alonso, con sorpresa di Juan Pablos. «Sapreste dirci che cosa ne è stato di quella collezione?»
«Il signor Jacobo voleva acquistarla nella sua totalità ma, per sfortuna, non è stato possibile. Fu acquistata quando il povero don Héctor era malato, e i suoi figli non aspettarono neppure che fosse morto».
«Che cattiveria!», esclamò Alonso.
«La gente è così, non apprezza il frutto del lavoro di tutta una vita». Juan Pablos scosse la testa.
«È vero, don Héctor possedeva una delle migliori collezioni di autori sivigliani», e la donna sospirò.
«Scusatemi, signora», intervenne Alonso, «ricordate chi comprò la sua collezione?»
«Certamente».
«Grande notizia». Alonso fu sul punto di abbracciarla. «Chi?»
«Il signor Fernando Colombo».
«Come avete detto?», chiese Alonso.
«Il figlio dell’ammiraglio Cristoforo Colombo», ripeté Juan Pablos. «È il principale acquirente di libri della città, ne possiede una collezione immensa».
«Ed è il figlio di Colombo?»
«Sì, ha fatto costruire da poco un palazzo nei pressi della Puerta de Goles che gli sarà costato una fortuna», sottolineò Juan Pablos.
«E colleziona libri?», chiese Thomas.
«Altroché!». Il dipendente della tipografia scoppiò in una risata forzata. «Li compra tutti! Libri, opuscoli, libelli d’informazione… abbiamo l’ordine di comunicargli tutto quello che pubblichiamo. Quell’uomo ha un potere e un’influenza incredibili».
«Ma dovete sapere», li avvertì la donna, «che non vi venderà nessun esemplare della sua collezione».
«Be’, ci dovrà provare», sorrise Alonso. «Anche le torri più alte possono crollare».
«Non sapete di chi stiamo parlando. Fernando Colombo non venderà un solo libro della sua biblioteca», insistette la donna. «Mai».