Capitolo 62
Sapevo che ti avrei trovato, mia regina. Adesso hai raggiunto il tuo re. Il vostro regno del terrore è finito, per sempre, e quella bambina non sarà più costretta a vivere nella paura per colpa vostra.
Ho sempre saputo, sin dall’inizio, di agire in nome della giustizia. Sapevo di avere l’approvazione del cielo. Se esiste un Dio, ho la certezza che mi stia guardando e che attenda che le vostre anime si presentino davanti a lui per il giudizio finale, quando vi spedirà dritti all’inferno per l’eternità.
È il suo modo di chiedermi perdono per non avere ascoltato le mie preghiere.
Oh, no, non succederà di nuovo. Non tornerò in quel luogo. Mi rifiuto di rivivere quel dolore. Ho la prove, e mi bastano.
È giunto il momento di segnare che l’impresa è compiuta.
Prendo il libro e la penna nera con la punta grossa. Adesso posso tirare un rigo sulla pagina. Posso eliminare la coppia dalla lista.
Mi soffermo a pensare al perché la tua morte non mi abbia riempito della stessa gioia, della stessa sensazione di trionfo che mi ha regalato il re.
Mi chiedo se sia dovuto alle circostanze. Nel tuo caso, non ho avuto il tempo di prepararmi: è stato Dio a metterti sulla mia strada come il miraggio di un’oasi nel deserto, e allora non ho avuto scelta.
No, non è neanche questo il motivo. Ho avuto modo di formulare un piano mentre ti guardavo mangiare, mentre mi parlavi come già avevi fatto durante il nostro primo incontro. Sapevo dove ti avrei portata, dove potevo lasciarti il messaggio. Mi parlavi di Mia e delle decisioni che finalmente avevi preso per metterla al sicuro. Troppo tardi, ahimè.
Mi hai raccontato di un biglietto alquanto criptico che avevi ricevuto; Luke non era l’unica persona da temere. Mi è venuta voglia di sorridere: eri ignara che il nemico fosse seduto proprio di fronte a te.
Ti fidavi e sei salita sulla mia auto. Hai accettato senza troppi complimenti il pasto che ti ho offerto. Poi sei tornata con me in macchina con la promessa di un letto per la notte, perché non sapevi dove sbattere la testa. Scusate la battuta.
Ho iniziato a pregustare la tua paura quando ti sei resa conto che ero proprio la persona da cui stavi scappando.
Ho parcheggiato, ho rivolto il viso verso di te, senza nascondere il disprezzo che ne distorceva i lineamenti, e finalmente hai capito.
Hai annuito piano, mestamente.
Ti sei arresa. Non hai lottato.
Capisco che la tua vita sia stata dura, che tu sia stata la prima vittima delle circostanze. Forse avevi sofferto quanto me, sballottata da una casa famiglia all’altra. Ma quello che hai fatto è imperdonabile. Sei tornata da quel bastardo che abusava di tua figlia. Eri sua madre. E per questo dovevi scomparire.
Adesso ho capito perché la tua morte non mi ha dato soddisfazione. Non hai fatto niente per opporti. Non hai tentato di salvarti la vita. Non avevi paura. Della tua vita ormai non ti importava più niente e non temevi di perderla. Mentre mi fissavi, il tuo sguardo era privo di emozioni. Hai accolto la tua fine.
«Fallo, sbrigati», mi hai detto.
Ti ho risposto che sarebbe stata una morte lenta, che ti avrei fatto soffrire. Hai scrollato le spalle. Neppure quello è servito a scuoterti. Desideravi troppo la morte per avere paura. Sapevi che, per quanto potesse durare, la fine era a un passo.
Ti ho stretto le mani intorno al collo e ho premuto forte. Nessuna paura. I tuoi occhi mi imploravano di andare fino in fondo. Eri contenta.
Ti ho colpito. Ti ho urlato in faccia e tu sei rimasta lì, con la tua aria sconfitta.
«Prenderò tua figlia», ti ho minacciata. «Lotta, oppure la troverò e la ucciderò».
Sul tuo viso è comparso un sorriso triste. «Non la troverai», hai detto. «Non potrai farle del male».
Come facevi a sapere che sarebbe finita così? Stavo per ammazzarti, e tu lo sapevi già.
Adesso provo rabbia. Mi hai derubato, mia regina. Volevo la tua paura. Volevo vedere il terrore nei tuoi occhi, lo stesso terrore che ha provato Mia.
Mi faccio una promessa: dalla prossima volta, otterrò quello che voglio.