Prologo

«Non sei spaventato?», ti chiedo, fissando i tuoi occhi senz’anima.

Sei disteso, immobilizzato. Questa volta sei tu quello ridotto all’impotenza.

Se non fosse per il bavaglio che ti copre la bocca, quali sarebbero le tue ultime parole? Imploreresti il mio perdono? Mi supplicheresti di risparmiarti? Faresti delle promesse? Porgeresti delle scuse?

Mi chino e sposto la stoffa per soddisfare la mia curiosità.

«Lasciami andare, maledizione…».

Uno strattone, e rimetto la striscia di tessuto al suo posto. Non sei tu a decidere. Non hai niente di interessante da dire. Non mostri alcun rimorso, ovviamente.

Ma va bene così. Tanto, che tu ti penta o meno, non cambia niente. La tua sorte rimane la stessa. La tua incapacità di provare compassione per gli altri esseri umani rende il mio compito ancora più dolce.

Nella tua espressione si mescolano rabbia e paura.

«Ritrovarsi dall’altra parte non è poi così divertente, eh?», ti chiedo, ridacchiando. Voglio rendere il mio messaggio ancora più chiaro, voglio che tu capisca bene.

«Non illuderti, stai per morire», annuncio, agitandoti il coltello davanti alla faccia per ribadire il concetto. «E ho intenzione di farti soffrire».

Scruto di nuovo la tua espressione e stavolta scorgo solamente paura.

Mi credi, finalmente. Ruoti gli occhi a destra e a sinistra, e dentro di te si fa strada un disperato istinto di sopravvivenza.

«Non c’è niente che tu possa fare. È troppo tardi», dico per porre fine alle tue sofferenze. Voglio vedere i tuoi occhi colmi di paura. Non voglio che tu nutra una qualche speranza di sopravvivere. Non hai alcuna speranza.

«Gira tutto intorno a te, non è vero? Ti importa solamente di te stesso e delle tue perversioni malate. Be’, è arrivato il momento di pagare per tutto quello che hai fatto, e io so cosa hai fatto, mio re. Conosco tutte le cose brutte che hai combinato».

La chiazza di urina che compare sui tuoi pantaloni mi riempie di piacere.

«Ti sei pisciato addosso», dico, scoppiando a ridere e agitando il coltello intorno al tuo membro. La tua debolezza mi dà forza. Vederti soffrire mi appaga. Ora hai assaggiato la paura che in passato hai inflitto agli altri.

Dovrò accontentarmi di questo. È il momento di farla finita.

Torreggio su di te. Ti ho strappato lo scettro del potere. Ora sono più grande, più forte, ho io il comando.

«Adesso senti la mia forza?», ti chiedo.

Annuisci con foga, come se potesse cambiare qualcosa. Assecondandomi credi di rabbonirmi, fingendo di essere mio amico pensi di salvarti la vita.

«E adesso morirai».

Serro la presa sul manico del coltello che tengo in mano. Non sto nella pelle dalla voglia di soddisfare il mio desiderio, è quasi come uno spasmo.

Mi piego. Il mio volto pieno d’odio sarà l’ultima cosa che vedrai prima di lasciare per sempre questo mondo e di presentarti davanti al giudizio finale. Indugio un secondo appena per assaporare il mio trionfo, poi ti taglio la gola con la lama.

Attimi di orrore. Attimi di paura mentre il sangue sgorga dal tuo corpo portandoti via la luce dagli occhi.

Rimango a guardare gli ultimi sprazzi di vita che abbandonano le tue membra. Quando esali l’ultimo respiro, mi sento in pace. Una purezza nuova.

Fino a questo momento ho agito per gli altri, per risparmiare loro dolore e sofferenza. Quello che farò d’ora in avanti, invece, sarà solo per me.

Stringo il coltello insanguinato con tutta la forza che ho in corpo.

È ora di mettersi all’opera.