Capitolo 79

Kim prese posto nella stanza delle telecamere, con il viso rivolto verso i monitor, per parlare con l’addetto alla sicurezza.

Non riusciva a smettere di pensare a ciò che Stacey le aveva riferito al telefono. Il nome di Tommy Deeley si trovava sul registro degli aggressori sessuali. Ripensò al video dell’interrogatorio di Butcher Bill, quando il senzatetto l’aveva chiamato “bastardo”. Conosceva il segreto di Tommy Deeley? Sapeva che aveva scontato vent’anni per avere violentato una ragazzina di dodici anni quando faceva il volontario al circolo giovanile di Wednesfield? A un tratto si chiese se Butcher Bill fosse l’artefice di tutti i delitti, ma le bastò un attimo per rinsavire. Sarebbe già stato un miracolo se quel tizio fosse riuscito a legarsi le scarpe, considerando quanto beveva.

Una parte di lei era ancora convinta che tutti gli omicidi fossero collegati. E una vocina le diceva che qualcuno, in quel luogo, era coinvolto, ma non aveva la più pallida idea di come conciliare le due ipotesi.

Scacciò quel pensiero e tentò di concentrarsi solo sui casi di sua competenza.

Rivolse l’attenzione alla guardia. «Mi dica, Jason, da quanto tempo lavora qui?»

«Tre anni e mezzo. Prima facevo il buttafuori, ma a un certo punto la situazione è sfuggita di mano. Troppa droga, e troppi coltelli».

Kim lo capiva. Gli accoltellamenti erano in continuo aumento e ogni agente di polizia, al momento di indossare l’uniforme per iniziare il turno di notte, sapeva che sarebbe potuto incappare in quel genere di situazioni.

Era un omone, ma ciò non comportava automaticamente che gli piacesse lo scontro.

«Quindi avrà visto passare un bel po’ di ospiti», aggiunse la detective, indicando i monitor.

Mentre l’uomo rifletteva sulla risposta, Kim si soffermò sulle scene riprese dalle videocamere. Non erano molto diverse da quelle a cui aveva assistito due giorni prima.

Dawn, la nutrizionista, era in cucina con un gruppetto di donne, altre stavano aspettando il loro turno per tagliarsi i capelli. Curt, o forse Carl, era su una scala nel corridoio del primo piano, mentre l’altro gemello stava conversando con una delle ospiti mentre cambiava una lampadina.

«Sì, ne ho viste passare un bel po’, ma non entro mai in confidenza con le ospiti», precisò, dandole un’informazione non richiesta.

«Non ho mai pensato il contrario, Jason».

La guardia giurata lanciò un’occhiata verso il cancello, poi tornò a guardare i monitor. «Io sto qui. Mi devo occupare dell’ingresso, assicurarmi che non entrino estranei. Raramente vado di là», disse, indicando la porta che conduceva all’atrio e al resto dell’edificio.

«E Hayley Smart, la conosceva bene?», chiese Kim.

«Non proprio. Era una persona molto riservata. Scambiava due parole con un paio di ospiti, ma per lo più passava il tempo a giocare con la sua bambina».

«Luke Fenton è mai venuto qui?», domandò Kim. Non era insolito che i fidanzati e i mariti si presentassero alla porta delle case d’accoglienza e facessero una scenata.

Lui annuì. «Una volta è venuto. Non gli abbiamo aperto il cancello. Abbiamo telefonato alla polizia, ma lui nel frattempo è scappato, così abbiamo annullato la chiamata e uno dei ragazzi è uscito per accertarsi che se ne fosse andato».

«Ragazzi?», chiese.

«I gemelli», rispose la guardia, indicando con un cenno i monitor. «Non ricordo quale dei due», aggiunse con un sorriso.

Kim tornò a guardare le riprese in diretta.

Il gruppo che prima era stato in cucina si era sparpagliato; restava solamente Dawn, intenta a lavare i piatti.

Sulla poltrona, affidata alle cure di Nigel, ora c’era un’altra donna. E la scala di Curt, o di Carl, si era spostata in un’altra stanza della villa.

L’altro gemello stava ancora cambiando la lampadina.