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E adesso venga pure la fine, venga pure la notte. Sono pronto ad accoglierle. Venga pure un nuovo inizio, perché è solo quando tutto finisce che incomincia davvero qualcosa.
Quella sera, a casa di Jacqueline, in mezzo a noi non c’era nessuno. Georges era un fantasma che vagava fra i suoi ricordi, del quale si stava liberando. Voleva dirmi di lui perché con noi non restasse la sua ombra. Ma io non ho capito la sua lealtà, non ho aspettato che la storia uscisse intera da quelle labbra che avevo baciato con tanta passione.
A volte la vita è strana. Può assomigliare a un dramma di Shakespeare, dove un equivoco uccide l’universo. La mia fuga nella notte è il fazzoletto di Desdemona che porta Otello al delirio, la pozione di Romeo che distrugge gli amanti più famosi della letteratura.
Con Jacqueline c’è stato quello sguardo, il primo giorno a Banja Luka. È uno sguardo che mi tiene ancora avvinto, prigioniero di un sogno che non so realizzare. Noi due insieme non faremo mai uno.
Forse una sera, suonando al buio la mia chitarra, mi sembrerà che lei sia lì, a suggerirmi le strofe di una vecchia canzone: mais j’entends siffler le train… So già cosa farò, per scacciarne l’immagine accenderò la luce e spegnerò il ricordo. Resterò con la sua assenza, come il vigliacco di quei versi, che non va in stazione per non dirle addio e, per tutta la vita, continua a sentire nella mente il fischio di un treno.
La cena a tre salta per ovvie ragioni, l’arresto di Bisenic´ cancella qualunque programma. Perdiamo un’altra occasione. Una settimana dopo Jacqueline riparte per Ginevra, dove l’attende l’annuncio di una nuova missione. Sarà l’Afghanistan il prossimo fronte che la vedrà impegnata. Io invece ritorno alle Langhe, alla mia vita di prima.
Il tempo scorre come sabbia in una clessidra. Forse si fa beffe di noi. Forse si limita a osservarci, indifferente. Non sono mai riuscito a capirlo.