Capitolo sedicesimo

Non capii bene perché, ma a un certo punto Chuck, Eddie, Gene e Frank decisero di farmi giocare. Credo che fosse perché era arrivato un altro tizio e ci voleva il sesto. Io avevo ancora bisogno di un bel po’ di esercizio, ma comunque stavo migliorando. Il sabato era la giornata buona. Era di sabato che si facevano le partite migliori, con altri ragazzi, per la strada. Per giocare a tackle ci voleva il prato. Per la strada giocavamo a touch.

In casa c’era casino, mio padre e mia madre litigavano sempre, e di conseguenza si dimenticavano di me. Potevo giocare a football tutti i sabati. Durante una partita uscii allo scoperto alle spalle dell’ultimo difensore, e vidi Chuck fare un lancio. Era un lancio lungo e alto, a spirale, e io continuai a correre. Mi guardai alle spalle e vidi arrivare la palla. Mi cadde dritta in mano. Riuscii a trattenerla. Ero ormai al di là della linea di meta.

Poi sentii la voce di mio padre urlare « Henry! ». Era nel prato davanti a casa. Lanciai la palla a parabola a uno della mia squadra di modo che potessero calciare e andai da mio padre. Sembrava arrabbiato. La sentivo, la sua rabbia, non mi sbagliavo mai. Spostava un piede in avanti, la faccia gli si faceva tutta rossa, e la pancetta andava su e giù col respiro. Era alto quasi un metro e novanta e, come ho già detto, quand’era arrabbiato sembrava tutto orecchie, naso e bocca. Non riuscivo a guardarlo negli occhi.

« Va bene », disse, « sei grande abbastanza da falciare il prato, adesso. Sei grande abbastanza da falciare il prato e i bordi, e innaffiare l’erba e i fiori. È ora che faccia qualcosa anche tu, qui intorno. È ora che impari ad alzare il culo! ».

« Ma sto giocando a football coi ragazzi. Possiamo giocare solo il sabato ».

« Cos’è, ti metti a discutere? ».

« No ».

Vidi mia madre che ci guardava da dietro una tenda. Tutti i sabati pulivano la casa. Passavano l’aspirapolvere sui tappeti e lucidavano i mobili. Tiravano su i tappeti, davano la cera ai pavimenti di legno, e rimettevano giù i tappeti. Non si vedeva nemmeno, che avevano dato la cera.

La falciatrice e la macchinetta per i bordi erano nel vialetto. Mio padre me le indicò. « Ora, prendi la falciatrice e vai su e giù per il prato. E sta’ attento a non dimenticare qualche pezzo. Devi svuotare il contenitore dell’erba, quando è pieno. Poi, quando avrai finito di falciare tutto il prato in una direzione, prendi la falciatrice e lo falci nell’altra. Capito? Prima da nord a sud, poi da est a ovest. Hai capito? ».

« Sì ».

« E non fare quella faccia da piagnone altrimenti te lo do io, un buon motivo per piangere ! Quando avrai finito di falciare, attacca i bordi. Devi tagliarli con quella piccola falciatrice che c’è sulla macchinetta. Spingila anche sotto la siepe, bisogna che arrivi a ogni più piccolo filo d’erba! Poi devi tagliare il prato lungo tutto il bordo con la lama circolare. Dev’essere perfettamente dritto, il bordo del prato. Capito? ».

« Sì ».

« Quando avrai finito, prendi queste… ».

Mio padre mi mostrò un paio di cesoie.

« … ti metti in ginocchio e pareggi tutti i fili che spuntano. Poi prendi la canna e bagni le siepi e le aiuole. Poi azioni lo spruzzatore e innaffi ogni parte del prato per quindici minuti. Tutto questo per il prato e il giardino davanti a casa. Poi ci sono il prato e il giardino sul retro. Chiaro? ».

« Sì ».

« Va bene, adesso ti dico una cosa. Quando avrai finito verrò fuori a controllare, e non voglio vedere un solo filo d’erba fuori posto nel prato davanti a casa o nel prato dietro casa! Non un solo filo! Se ne trovo anche uno solo più lungo degli altri… ».

Si voltò, risalì il vialetto, attraversò la veranda, aprì la porta, la sbattè e sparì dentro casa. Io presi la falciatrice, la trascinai su per il vialetto e cominciai a spingerla sul prato, da nord a sud. Sentivo i ragazzi giocare a football in fondo alla strada…

Finii di falciare e pareggiare il prato davanti a casa. Innaffiai le aiuole, azionai lo spruzzatore e mi diressi verso il prato sul retro. Nel mezzo del vialetto che portava sul retro c’era un pezzetto di prato. Falciai anche quello. Non riuscivo a capire se ero infelice. Stavo troppo male per essere infelice. Era come se il mondo intero si fosse trasformato in prato e io dovessi falciarlo tutto. Continuavo a spingere la falciatrice come un automa, ma a un certo punto, all’improvviso, smisi di sperare. Ci sarebbero volute ore, tutto il giorno, per finire quel lavoro, e i ragazzi avrebbero smesso di giocare. Sarebbero andati a casa a mangiare, il sabato sarebbe finito, e io sarei stato ancora lì a falciare.

Mentre cominciavo a falciare il prato dietro casa vidi mia madre e mio padre ritti sulla veranda: mi guardavano. Se ne stavano lì in silenzio, senza muoversi. A un certo punto, mentre passavo davanti a loro con la falciatrice, sentii mia madre dire a mio padre: « Guarda, non suda come te. Guarda com’è calmo, lui ».

« Calmo? Non è calmo, è morto! ».

Quando ripassai davanti alla veranda, lo sentii dire:

« Spingi quel coso! Sei più lento di una lumaca! ».

Spinsi più forte. Era faticoso, ma faceva bene.

Spinsi ancora più forte. Stavo praticamente correndo, con quella falciatrice. L’erba si staccava con tanta violenza da volare praticamente sopra il contenitore. Sapevo che questo l’avrebbe mandato in bestia.

« Brutto figlio di puttana! », gridò.

Lo vidi scendere di corsa i gradini della veranda e andare nel garage. Uscì fuori con un pezzo di legno lungo circa trenta centimetri. Con la coda dell’occhio, vidi che lo lanciava. Mi colpì sul lato posteriore della gamba destra. Il dolore fu tremendo. La gamba si irrigidì, e dovetti fare un grande sforzo per continuare a camminare. Continuai a spingere la falciatrice, cercando di non zoppicare. Quando mi voltai per attaccare un altro pezzetto di prato, vidi il pezzo di legno in terra. Ostruiva il passaggio. Lo raccolsi, lo spostai di lato, e continuai a falciare. Poi mio padre mi si materializzò accanto.

« Fermati! ».

Mi fermai.

« Voglio che torni indietro e falci di nuovo il prato nei punti in cui l’erba è volata fuori dal contenitore! Hai capito? ».

« Sì ».

Mio padre tornò dentro casa. Vidi lui e mia madre sulla veranda. Mi guardavano.

L’ultima parte del lavoro consisteva nel ripulire il marciapiede dall’erba che ci era finita sopra, e lavarlo. Avevo quasi finito, dovevo solo innaffiare il prato dietro casa con lo spruzzatore, quindici minuti per ogni pezzo. Stavo trascinando la canna sul prato per infilarla nello spruzzatore, quando mio padre venne fuori.

« Prima che cominci a innaffiare, sarà meglio che io controlli questa parte del prato ».

Andò in mezzo al prato, si mise carponi, e appoggiò una guancia sull’erba in cerca di qualche filo fuori posto. Restò così a lungo, torcendo il collo, scrutando dappertutto. Io aspettavo.

« Ah aah! ».

Saltò in piedi e corse verso casa.

« Mamma! Mamma! ».

Corse dentro.

« Cosa c’è? ».

« Ho trovato un filo ! ».

« Davvero? ».

« Vieni che ti faccio vedere! ».

Uscì di casa in fretta e furia, con mia madre dietro.

« Qui! Qui ! Adesso te lo faccio vedere! ».

Si mise carponi sul prato.

« Eccolo! Ce ne sono due ! ».

Mia madre si mise carponi a sua volta. Dovevano essere pazzi.

« Li vedi? », le chiese lui. « Due fili. Li vedi? ».

« Sì, papà, li vedo… ».

Si alzarono in piedi. Mia madre tornò dentro casa. Mio padre mi guardò.

« Dentro… ».

Salii i gradini della veranda e andai in casa. Mio padre mi seguì.

« In bagno ».

Mio padre chiuse la porta.

« Tirati giù i pantaloni ».

Lo sentii prendere la coramella del rasoio. La gamba destra mi faceva ancora male. Aver provato quella coramella tante volte non migliorava le cose. Il mondo intero era là fuori, indifferente, ma nemmeno questo migliorava le cose. C’erano milioni di persone, là fuori, cani, gatti e talpe, case, strade, ma nemmeno questo migliorava le cose. Esistevamo solo io, mio padre, la coramella e il bagno. Lui la adoperava per affilare il rasoio, quella coramella, e la mattina presto, quando lo vedevo davanti allo specchio con la faccia bianca di schiuma, lo odiavo con tutto il cuore. Poi arrivò il primo colpo. La coramella faceva un rumore forte e secco, tremendo quanto il dolore. Colpì ancora. Mio padre era come una macchina, con quella striscia di cuoio in mano. La sensazione era quella di essere in una tomba. La coramella colpì ancora e io pensai, questo di certo è l’ultimo. Ma non era l’ultimo. La coramella colpì ancora. Non lo odiavo. Era solo incredibile, volevo andarmene via, lontano da lui. Non riuscivo a piangere. Stavo troppo male per piangere, ero troppo confuso. La coramella colpì ancora. Poi smise. Restai fermo ad aspettare. Lo sentii riappendere la coramella.

« La prossima volta », disse, « non voglio vedere fili fuori posto ».

Lo sentii uscire dal bagno. Chiuse la porta. Le pareti erano belle, la vasca era bella, il lavandino era bello e la tenda della doccia era bella. Perfino la tazza del cesso era bella. Mio padre se n’era andato.