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L’ufficio del maggiore Böhm era zeppo di libri. Quando in Rue Paradis erano arrivate le casse, tre giorni prima del suo occupante, il caporale che le aveva aperte all’inizio aveva pensato che fossero state consegnate per errore. Per quanto gli alti ufficiali della Gestapo, quasi tutti laureati perlopiù in legge, fossero spesso amanti della lettura, non si portavano dietro così tanti libri. Il caporale era in procinto di fare rapporto su una consegna sbagliata, quando sulla terza cassa trovò incollato un foglio dattiloscritto con le istruzioni su come andavano sistemati i volumi. Istruzioni molto dettagliate.

Quando andò a sedersi dietro la scrivania, quel mattino, per passare un paio d’ore a mettere ordine fra una pila di documenti, mandati d’arresto e richieste di informazioni, Böhm aveva anche altre ragioni di essere contento. Le notizie giunte dalla Russia erano buone, il loro esercito aveva rioccupato la città di Charkiv, ed era stata presa la decisione di liquidare il ghetto di Cracovia. Un lavoro necessario, ancorché brutale e rozzo. Lui stesso, quand’era di stanza in Polonia, si era reso conto di essersi abbrutito. Molti uomini dei ranghi più bassi si erano dimostrati privi della necessaria fibra morale, e per tollerare il lavoro che dovevano svolgere quotidianamente ricorrevano all’alcol o a quelle cosiddette pillole di vitamine che gli ufficiali distribuivano come caramelle. In quel periodo Böhm aveva teso l’orecchio alle voci che parlavano di metodi più efficienti per liberarsi delle persone indesiderate, e si augurava che tali metodi potessero rendere meno difficile ai soldati il compito di ripulire il Reich dalla feccia.

Gli slavi non erano meglio degli ebrei. L’unica linea di condotta adeguata imponeva di farli sparire dalla faccia della terra nella maniera più rapida ed efficiente possibile. L’Europa dell’Est era un posto dove bisognava lavorare picchiando come martelli, lì in Francia invece occorreva lavorare di bisturi, e Böhm era esattamente questo: una lama sottile, precisissima e ben calibrata.

Quando il capitano Heller bussò alla porta e l’aprì, il maggiore alzò gli occhi dai documenti.

«Sì?»

«Signore, volevo mostrarle questo.»

Heller posò un foglio di carta dozzinale sulla scrivania. In stampatello, nel goffo tentativo di celare l’identità dell’autore, c’era scritto: «HENRI FIOCCA SPENDERE I PROFITTI IN ARMI, NON I SUOI OPERAI. TUTTI SANNO».

Böhm evitò di toccare il foglio. «Chi l’ha scritto?»

«Un certo Pierre Gaston, signore. Licenziato dalla fabbrica di Fiocca il mese scorso perché era sempre ubriaco.»

Böhm sospirò. Era patetico vedere quanti francesi cercavano di approfittare della Gestapo per realizzare meschine vendette personali. Tuttavia quell’ultima frase, «Tutti sanno», gli parve in qualche modo rivelatrice.

«Ha interrogato Monsieur Gaston?»

Heller annuì. Una contrazione nella guancia suggerì l’idea che l’operazione era stata sgradevole, e non tanto perché lui trovasse riprovevole l’uso della violenza, quanto perché disprezzava profondamente l’uomo su cui aveva dovuto usarla.

«Alcolizzato e un po’ idiota, ma è rimasto fedele alla sua prima versione» disse Heller. «Pare che gli operai facciano molti discorsi sediziosi. Fra i suoi compagni in fabbrica gira voce che il padrone intrattenga rapporti stretti con la Resistenza.»

Böhm osservò Heller. Era evidente che voleva aggiungere un’altra cosa, e che non vedeva l’ora di farlo.

«E poi? Avanti, dica.»

«Signor maggiore, seguendo le sue disposizioni, considerate queste precise circostanze ho fatto un controllo incrociato sui nomi che il francese ci ha fornito e quelli nei nostri archivi, e ho trovato un uomo già fermato con l’accusa di commerci clandestini. È tra gli operai sospetti, secondo quanto dichiara Gaston. Lo abbiamo fermato senza dare nell’occhio e quando gli ho spiegato qual era l’alternativa, si è mostrato più che disponibile a collaborare. È certo: Fiocca finanzia la Resistenza e Michel, la mia fonte, ci ha fornito un paio di nomi della rete più esterna. Stiamo seguendo ogni movimento dei sospettati. Secondo Michel fanno parte del gruppo del Topo Bianco. Dice anche che Fiocca ha finanziato specificamente la fuga di venti prigionieri su un’imbarcazione che la settimana scorsa è stata avvistata sulla spiaggia a est di Marsiglia.»

Böhm era colpito. Con un adeguato addestramento Heller avrebbe fatto molta strada. Era un ottimo esempio del genere d’uomo sulle cui spalle si sarebbe costruito il Reich millenario.

«Ha la trascrizione dell’interrogatorio di questo Michel?»

Heller posò sopra la lettera anonima una cartellina, con l’atteggiamento di un gatto che porta un topo ai piedi del suo padrone. Böhm la prese e l’aprì; cominciò a leggere la relazione facendo ogni tanto un cenno di assenso col capo.

«E nessuno sa che stiamo parlando con questo individuo?»

«No, signore» disse Heller. «A meno che non l’abbia detto lui.»

«Ottimo lavoro, Heller.»

Il capitano era raggiante. «Ha altri ordini, maggiore?»

Böhm appoggiò la cartellina e sorrise a Heller come un insegnante benevolo. «La sua prossima mossa quale sarebbe, capitano?»

Heller batté rapido le palpebre dietro le lenti degli occhiali. «Ecco, signor maggiore, non mostrerei le nostre carte arrestando immediatamente gli uomini che stiamo pedinando, però potremmo portare qui Fiocca e interrogarlo, facendogli sapere che la dritta ce l’avrebbe data un suo ex operaio alcolizzato, e vedere se riusciamo a ricavarne qualcosa.»

«Molto bene. Credo di aver bisogno di fare due passi. Heller, venga qua sotto con la macchina e andiamo insieme a prendere il signor Fiocca. Ah, quando torniamo mi faccia mandare in ufficio i rapporti su quella fuga dalla spiaggia. Mi piacerebbe dargli un’altra occhiata stasera.»

Böhm tese una mano e Heller gli porse il mandato di arresto per Fiocca e quello per il sequestro del suo archivio. Lo firmò con uno svolazzo.

Liberazione
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